Seduto e con l’occhio sui registri, solo poi ricco - anzi, ‘signore’
(Mc 2,13-17)
Nell’epoca in cui Mc redige il suo Vangelo nelle comunità di Roma sorge un attrito sul genere di partecipazione ammissibile alle riunioni, e sullo Spezzare il Pane.
Conflitto di opinioni che metteva di fronte uno contro l’altro il gruppo dei convertiti provenienti dal paganesimo e quello giudaizzante.
Mc narra l’episodio di Levi [evitando di chiamarlo esplicitamente Matteo] per accentuare la sua derivazione - e in tal guisa descrivere come Gesù stesso aveva affrontato il medesimo conflitto: senz’alcuna attenzione rituale o sacrale, se non all’uomo.
L’evangelista intendeva così aiutare i fedeli a comprendere il balzo dalla religiosità comune alla Fede nella Persona del Cristo, e la fiducia nei fratelli, senza distinzioni.
A tale scopo il passo di Vangelo sottolinea che gli stessi apostoli (v.15) non erano stati affatto chiamati dal Signore alla rigorosa prassi di segregazione tipica delle credenze etnico-puriste.
La Lieta Notizia di Mc è che la vita di Comunione non è una gratificazione, né un riconoscimento.
L’Eucaristia non è premio per i meriti, né un discrimine a favore di emarginazioni sacrali.
La proibizione dev’essere sostituita dall’amicizia. L’intransigenza va soppiantata dall’indulgenza, la durezza dalla condiscendenza.
I seguaci del Signore devono condividere la vita con chiunque - persino pubblici peccatori come il figlio di Alfeo.
Ciò senza prima pretendere alcuna patente, né lunghe discipline dell’arcano - o pratiche che celebrino distanze [come le abluzioni che precedevano il pasto].
Nel testo parallelo di Mt 9,9-13 l’esattore è chiamato esplicitamente per nome: Matteo, onde sottolineare l’identico richiamo alla comunità.
Matathiah significa infatti «uomo di Dio», «dato da Dio»; precisamente «Dono di Dio» [Matath-Yah].
Secondo l’insegnamento diretto dello stesso Gesù - persino nei confronti di uno degli apostoli - l’unica impurità è quella di non dare spazio a chi lo chiede perché non ne ha.
Il Signore vuole condivisione coi trasgressori, non a motivo d’una banalità ideologica: è l’invito a riconoscersi. Non per sottometterci a qualche paternalismo umiliante, ma perché lasciarsi trasformare da poveri o ricchi in ‘signori’, è una risorsa.
«E avviene che Egli si adagia a Mensa nella Sua Casa e molti pubblicani e peccatori erano stesi con Gesù e i suoi discepoli, perché erano moltitudini e lo seguivano» (v.15).
«Erano stesi [a mensa]»: secondo il modo di celebrare i banchetti solenni da parte degli uomini ‘liberi’ - ormai tutti liberi.
Che meraviglia, un ‘ostensorio’ del genere! Un Corpo vivo di Cristo che profuma di concreta Unione, convivialità delle differenze - non di respingimenti per trasgressione!
È questa tutta empatica e regale la bella consapevolezza che spiana e rende credibile il contenuto dell’Annuncio (v.17) - sebbene urti la suscettibilità dei maestri ufficiali.
Ma Gesù inaugura un nuovo tipo di relazioni, e un’Alleanza Nuova, di feconde divergenze - anche dentro noi.
Non è la ‘perfezione’ che ci fa amare l’Esodo.
[Sabato 1.a sett. T.O. 18 gennaio 2025]