(Mc 10,46-52)
Il passo di Mc è l’agile frutto dell’intreccio fra una catechesi di spiegazione del brano immediatamente precedente [le mire degli Apostoli] e l’insegnamento su primissime forme di liturgia battesimale riservate ai nuovi credenti, chiamati ‘photismòi-illuminati’ [coloro che dal buio della vita pagana aprivano finalmente gli occhi alla Luce].
Il brano illustra cosa accade a una persona quando incontra Cristo e ne riceve l’orientamento esistenziale: abbandona le posizioni consolidate ma non personalmente rielaborate, e diviene testimone critico.
La narrazione è impostata sul confronto tra sguardi materiali verso il basso (come quelli dei pagani o dei seguaci arroganti) e sguardi aperti, in grado di sollevare l’occhio dell’uomo da pastoie di sembianti, abitudinarietà, e potenze esteriori o interiori distruttive.
Cosa dunque è necessario per vedere con la percezione di Dio, oltre le apparenze, e risollevarsi da una grigia vita di elemosine, letteralmente a terra? Come curare la visuale di chi non si raccapezza?
Bartimeo [testualmente, il ‘figlio dell’apprezzato’] ci rappresenta: non è uomo libero, capace di attivarsi - ma suggestionato da un’affannosa ricerca di prestigio e riconoscimenti.
Il «figlio dell’onorato» non è biologicamente cieco, ma uno che si regola a casaccio. Non riesce a «guardare in su» [il verbo-chiave greco ai vv.51-52 è aná-blépein] perché non coltiva ideali; si accontenta di quello che passa il contorno, che lo anestetizza.
Se ci si ritrova a questo livello di miopia, meglio «sollevare lo sguardo» ripiegato sul proprio ombelico, per piccinerie da tornaconto a breve.
Bartimeo è uomo abitudinario, viene accompagnato agli stessi posti ogni giorno dalle medesime persone.
Sta fermo, «seduto» (v.46) ai margini di una strada dove la gente procede e non si limita come lui a sopravvivere rassegnata, senza scatti.
I tipi alla Bartimeo tutto si attendono dal riconoscimento altrui; vivono solo di questua. Non fanno che ripetere parole e gesti sempre identici.
Il loro orizzonte a portata di mano non consente di entrare nel flusso della Via dove le persone si danno da fare edificando, evolvendo, esprimendo se stesse, provvedendo ai fratelli meno fortunati.
Una esistenza trascinata ai margini di qualsiasi interesse che non sia il proprio neghittoso sacchetto.
Vivono del movimento altrui; campano di piccole benevolenze e opinioni barattate da chi passa, per svogliatezza mai riesaminate e fatte proprie.
Ma la Parola del Nazareno fa scattare l’indolente. E la sua nuova attitudine diventa quella del “neonato”. In tal guisa, si adopera in un modello di vita industrioso, creativo, pratico - avveniristico.
Risorge dinamico, sbarazzandosi degli stracci sui quali si attendeva che altri deponessero qualcosa in suo favore.
L’abito vecchio finisce nella polvere - gettato lontano come nelle antiche liturgie battesimali: a qualsiasi età intraprende, surclassando sicurezze di piccolo cabotaggio.
Cambia vita, la guarda in faccia; sebbene sappia di complicarsela, rendendola impegnativa e controcorrente.
Il contatto personale con Gesù ha corretto lo sguardo, gli ha fatto recuperare l’ottica ideale.
Ora egli comprendere il senso primordiale e rigenerante - anzi, ricreante - della Novità di Dio.
L’Incontro faccia a faccia gli ha trasmesso un modello diametralmente opposto di uomo riuscito; non sottomesso al tatticismo.
Insomma, Gesù corregge la miopia inerte di chi è affezionato al suo posto mediocre.
Religiosità o Fede personale: la scelta è dirimente.
Significa adattarsi pigramente alle mode di circostanza o al vestito vecchio dei comportamenti già “detti” e solite amicizie, aspettando solo qualche soluzione-fulmine che non coinvolga troppo...
Ovvero partire via da lì, reinventarsi la vita, abbandonare il ‘mantello’ [cf. Mc 10,50] sul quale si raccoglievano commenti e oboli comuni.
Aprendo gli occhi e «sollevandoli», come farebbe un uomo già divino. Intascando null’altro che perle di luce, invece di elemosine.
Su strade fangose ci si può sporcare e si è incerti, ma vi possiamo procedere nel movimento del sacerdozio di Cristo, con percezione sana.
Infatti - come in questo episodio - non di rado i Vangeli insistono sul criterio (devotamente assurdo) che il nemico di Dio non sia il peccato, bensì la ‘vita media’ e passiva dell’«onorato», ormai identificato e piazzato.
[30.a Domenica T.O. (anno B), 27 ottobre 2024]