(Mt 23,23-26)
Quando i capi di una religiosità equivoca vogliono accreditarsi, insistono sulle idee astratte o sui dettagli, e fanno finta di non vedere l’abnorme.
Anticamente, la doppiezza fra ciò che mostravano e ciò che coltivavano era proverbiale.
Per coprire il loro ignobile spirito di rapina (v.25), eccoli far spuntare ogni sorta di sottigliezze legalistiche, e mettere in ombra le esigenze sostanziali.
Anche in Israele, mai erano sulla linea dei Profeti: calcolavano di far soffrire Gesù che li smascherava, per scoraggiarlo con oltraggi beffardi e accuse - allo scopo di minarne l’audacia.
Eppure il nuovo Rabbi continuava nella sferzante condanna del formalismo religioso, che creava barriere ad ogni ricerca profonda delle motivazioni dell’agire.
Tuttavia la sua vicenda ci fa comprendere che anche le condizioni aspre e gli atteggiamenti ambigui degli stessi leaders possono essere un’occasione e uno spunto.
Forse un dono, per agire. L’uomo interiore vivifica anche rompendo una maschera, un ruolo, una mansione formale, un personaggio; un’icona consolidata del voler apparire e non essere.
Si tratta comunque anche per noi oggi, di correre il massimo rischio con Cristo, in favore d’una lunga avventura interiore.
Qui si toccano quegli spazi ove l’Appello per Nome non assomiglia a nessun altro.
Lì dove incontriamo noi stessi, la nostra identità vocazionale profonda, i talenti inespressi, e la firma d’Autore divina, nell’Unicità.
Se non lo tacitiamo, ecco allora affiorare in noi il Seme vocazionale che non mente, e guida; il Risorto presente, che si svela comprensivo, delicato, attento, assolutamente personale, ma nitido.
La cura di dettagli e minuzie è buona e propulsiva (v.23) solo se si unisce a quest’intima scoperta della propria singolare Missione.
Qui il richiamo ai valori sostanziali non comporta noncuranza o disprezzo per ciò che sembra secondario: tale appello può celare un carattere irripetibile.
Privo di sollecitazioni estreme, il movente delle nostre azioni resterebbe forse il tornaconto e la preoccupazione della propria fama, e così via.
Ciò che pervaderebbe l’anima dal non fare o dal non dirsi nulla, rendendo arido e screditato il vissuto di Fede.
In tal guisa, anche una contraddizione interna o esterna può contribuire a partorire il nostro lato più profondo.
Perfino la rabbia per un disordine può attivare lo sviluppo, affinché corrispondiamo al nostro Nome.
Così… farci affondare le radici, e rinsaldare il tronco; stimolare intima giovinezza. Avendo di mira il Seme nascosto, prima d’innalzare rami.
Il Maestro propone una risalita all’essenzialità - anche affinché possiamo seguire la «via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi» [Gaudete et Exsultate n.11].
Tutto in una grande voglia di nascere ancora, nel piccolo e nel grande, per partorire il nostro lato più profondo.
[Martedì 21.a sett. T.O. 27 agosto 2024]