Dall’affascinante proposta di Fede alla fatica del ripiegamento
(Mt 13,36-43)
La parabola del Seminatore come storicamente narrata da Gesù (vv.3-8) e quella delle zizzanie (vv.24-30) denotano la totale positività del suo Messaggio.
Il Signore proclamava un mondo nuovo; anzitutto un Cielo differente, tollerante e benevolo.
Perfino i vv.18-23 contengono una Lieta Novella, più che un giudizio: nel nostro campo sorgono spontaneamente sia buon grano che zizzanie, ma tutto ciò non è una maledizione a prescindere; anzi (v.23c).
Bisogna tuttavia ammettere che la metafora dei vv.37-43 trasforma la parabola originaria (vv.24-30) in allegoria morale.
Con elementi simbolici, le differenti espressioni figurate riprendono la narrazione originaria di Gesù, cercando d’interpretarla secondo i codici comuni della tradizionale predicazione rabbinica.
Come per i maestri d’Israele, anche qui l’intento prossimo è quello di scuotere gli ascoltatori, onde sottolineare l’importanza personale, comunitaria e spirituale, delle scelte dirimenti - nell’oggi.
In Casa (v.36) ossia nella Chiesa, si crea un dibattito anzitutto sulla spiegazione del perché Gesù non imponga una sterilizzazione preventiva del campo di grano.
Nell’incertezza, si tentano precisazioni particolari - secondo le quali però il brano [frutto di redazione, dibattito e riflessione successiva] rischia di rovesciare il senso della parabola gesuana stessa.
Infatti, nel suo popolo di fratelli e nella società, il Maestro non intendeva cancellare a priori il senso proficuo delle dinamiche ineffabili e misteriose del ‘mescolamento’: realtà di questo mondo a pieno titolo.
Tale l’Annuncio essenziale, universalista, del giovane Rabbi, a dispetto dei cliché puristi antichi.
La religiosità legalista era selettiva, élitaria, conformista; attenta al mantenimento delle gerarchie sociali.
In tal guisa, essa costituiva una cappa culturale a maglie fitte, e valutava in modo astratto, preventivo, ciò che dovesse venire considerato bene o male per tutti.
Eppure l’idea di perfezione algida [sterile di vita] non consentiva alle energie preparatorie dell’esistenza concreta di predisporre il futuro e generare la stessa Novità dello Spirito.
L’Incontro di Cristo col credente cambia tutto nella sua vita, certo - ma non a partire da una gradazione presupposta di valori, procedure e sentenze già scritte.
In realtà si diventa attenti a percepire l’eccentricità dei fratelli per il fatto che si è sperimentato l’abbraccio benedicente del Padre sui propri “difetti”.
Non per un senso di paternalismo emotivo, ma perché non di rado le risorse che risolvono i veri problemi e attivano la Redenzione di Dio vengono dal turbine di preziose contraddizioni e indigenze che abbiamo dentro.
Proprio esse ci rendono meno unilaterali, più duttili e completi. Eccezionali, vivi; in grado di affidarsi al mondo interno, invece che a quello esterno.
Quindi capaci di svolta.
Lo vediamo: per far crescere il mondo e farlo rinascere dalla crisi globale, ciascun soggetto (anche istituzionale) è chiamato a reinventarsi fuori d’ogni spartito già disposto e riconosciuto.
E oggi forse proprio a partire da ciò che nella consuetudine di pensiero non era considerato altro che pecca, o fastidiosa dissonanza; incompiutezza, limite… così via.
D’improvviso e in modo palese gli squilibri e le oscillazioni fanno la differenza anche dal punto di vista della qualità. Diventano occasioni da non perdere: una marcia in più; potenza sorgiva, spinta ad attivare l’inedito, e aprirsi.
Ecco una sostanziale differenza tra religiosità comune e vita di Fede. Il carattere di Duplicità ci fa più sani e perfetti - e Dio non è prevenuto.
Anzi, agli occhi del Padre sono proprio le incertezze irripetibili [non da protocollo] che rendono speciale, unico, ogni suo figlio.
Insomma, si cresce, ci si arricchisce, e si corrisponde alla propria Vocazione personale, solo mettendo in gioco, integrando e trasmutando i confini - non rinnegandoli.
[Martedì 17.a sett. T.O. 30 luglio 2024]