La cattiva reputazione è normale tra i Profeti
(Mc 8,34-9,1)
La Croce è normale fra i Profeti, i quali non hanno certo un grande riscontro di folle inneggianti, nel costruire la propria limpida città.
Essa non permane mai a dimensione d’idoli facili. Ma è questa la paradossale forma di «comunione» che misteriosamente attira l’umano.
Convivialità che trascina i cuori, malgrado attorno non si attenuino gli scontri per ambizione, o il gioco degli opportunismi.
Neppure oggi sembra placarsi il caos dei rovesci, mentre si affacciano crisi e commistioni, anche nel positivo intreccio dei paradigmi culturali.
Cosa fare?
«Sollevare» (v.34 testo greco) il braccio orizzontale del patibolo e caricarselo sulle spalle significava perdere la reputazione.
È un problema capitale, inscindibile dall’atteggiamento motivato e responsabile.
Infatti, se un seguace aspirasse alla gloria, tenesse alla propria onorabilità, non accettasse la solitudine… non potrebbe farsi autentico testimone del Cristo.
Sarebbe un pezzo di mondanità prolungata.
Invece la sorte del Maestro coinvolge anche quella dei discepoli.
Vale in ogni tempo, e per noi: il dono sino in fondo non viene sulla terra passando attraverso fama, successo, considerazione; l’essere costantemente accompagnato, approvato e sostenuto.
Simone attendeva non un esito problematico, tagliente, bensì consensi facili: uno svincolo, come tra amici di merende che si danno pacche sulle spalle.
Sognava una sequela conclamata, quindi un futuro di riconoscimenti - e rimane disorientato.
Non capendo il progetto, Pietro [«presolo con»] afferra Gesù come fosse un suo ostaggio.
E «cominciò a esorcizzarlo» (v.32 testo greco) affinché proprio il Maestro mettesse finalmente la testa a posto, e gli stesse dietro.
Qui trapela la base storica di tale “gesto” del capo degli apostoli - ossia il tentativo a lungo perpetrato dalla prima comunità di Gerusalemme, di trovare un compromesso col potere sacerdotale e politico d’allora.
Ebbene, tutto questo non è «salvare la vita» (v.35): in senso biblico, raggiungere pienezza umana e somiglianza alla condizione divina.
La mistica dozzinale successiva, suggestionata da filosofie cerebrali, su tale espressione ha messo tra parentesi l’avventura di Fede e inventato un netto contrasto tra vita corporale e spirituale.
Convincimento banale, che ha come vivisezionato le stesse persone ignare, indirizzate talora al masochismo.
Ma qui Gesù non parla di pene artificiose da accollarsi, né mai ha imposto mortificazione alcuna. Tantomeno in grado di produrre una qualche ‘salvezza dell’anima’ staccata dalla realtà.
«Sollevare positivamente la Croce»: affinché subentrino diverse energie, altre relazioni, situazioni imprevedibili, che ci fanno spostare lo sguardo e le attività.
Non in vista d’una qualche giusta retribuzione, ma per il nocciolo irriducibile d’ogni credente (o non) e di qualsivoglia questione.
Da ciò l’esigenza di non estraniarsi dai Vangeli, per la compiutezza di sé, una testimonianza viva, e la soluzione dei problemi - attraversati a partire ‘da dentro’.
Insomma, di Gesù possiamo annunciare la proposta, i criteri, e la stessa Presenza... nei fatti e nella integrità della vita - non chissà quando dopo la morte (Mc 8,38-9,1).
Altra definitività.
[Venerdì 6.a sett. T.O. 21 febbraio 2025]