Il Signore ci benedica e la Vergine ci protegga!
VII Domenica del tempo Ordinario anno C (23 febbraio 2025)
Lettura dal Primo Libro di Samuele (26,2.7-9.12-13.22-23)
Saul fu il primo re del popolo d’Israele, intorno al 1040 a.C. I testi dicono che «nessun figlio d’Israele era più bello di lui, e superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo» (1 Sam 9,2). Era un contadino, originario di una famiglia semplice della tribù di Beniamino, scelto da Dio e consacrato re dal profeta Samuele che inizialmente esitò perché diffidava della monarchia in generale, ma dovette obbedire a Dio. Saul fu consacrato con l’unzione dell’olio e portava il titolo di “messia”. Dopo un buon inizio, Saul purtroppo diede ragione ai peggiori timori di Samuele: il suo piacere personale, l’amore per il potere e per la guerra prevalsero sulla fedeltà all’Alleanza. Fu così grave che, senza attendere la fine del suo regno, Samuele, su ordine di Dio, si mise a cercare il suo successore e scelse Davide, il piccolo pastore di Betlemme, l’ottavo figlio di Iesse. Davide fu accolto alla corte di Saul e divenne pian piano un abile capo di guerra, i cui successi erano sulla bocca di tutti. Un giorno, Saul udì il canto popolare che circolava ovunque: «Saul ha ucciso i suoi mille, e Davide i suoi diecimila» (1 Sam 18,7) e fu preso dalla gelosia che divenne così feroce nei confronti di Davide da farlo impazzire. Davide dovette fuggire più volte per salvarsi, ma contrariamente ai sospetti di Saul, Davide non venne mai meno alla sua lealtà verso il re. Nell’episodio che ci viene qui narrato è Saul a prendere l’iniziativa: i tremila uomini di cui si parla furono radunati da lui con il solo scopo di soddisfare il suo odio per Davide. “Saul scese nel deserto di Zif con tremila uomini scelti d’Israele per cercare Davide” (v 2) e chiara era la sua intenzione: eliminarlo appena possibile. Ma la situazione si ribalta a favore di Davide: durante la notte Davide entra nel campo di Saul e trova tutti addormentati e quindi l’occasione favorevole per ucciderlo. Abisai, la guardia del corpo di Davide, non ha dubbi e si offre di ucciderlo: “Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo” (v 8). Davide sorprende tutti, incluso Saul, che stenterà a credere ai suoi occhi quando vedrà la prova che Davide lo ha risparmiato. Si pongono due domande: perché Davide ha risparmiato colui che voleva la sua morte? L’unica ragione è il rispetto per la scelta di Dio: “Non ho voluto stendere la mano contro il messia del Signore” (v.11). Perché la Bibbia racconta questo episodio? Ci sono certamente diversi motivi. Anzitutto, l’autore sacro vuole delineare il ritratto di Davide: rispettoso della volontà di Dio e magnanimo, che rifiuta la vendetta e comprende che la Provvidenza non si manifesta mai attraverso la semplice consegna del nemico nelle proprie mani. In secondo luogo, perché il re regnante è intoccabile e non va dimenticato che questo racconto fu scritto alla corte di Salomone, il quale aveva tutto l’interesse a far passare questo insegnamento. Infine, questo testo rappresenta una tappa nella storia biblica, un momento nella pedagogia di Dio: prima di imparare ad amare tutti gli uomini, bisogna iniziare a trovare qualche buona ragione per amarne alcuni. Davide risparmia un nemico pericoloso perché questi è stato, a suo tempo, l’eletto di Dio. L’ultima tappa sarà comprendere che ogni uomo va rispettato ovunque perché in lui è segnata l’immagine di Dio. Siamo tutti creati a immagine e somiglianza di Dio.
*Salmo 102 (103), 1-2, 3-4, 8. 10. 12-13
Questo salmo s’incontra più volte nei tre anni liturgici e possiamo ammirare il parallelismo dei versetti, una sorta di alternanza dei versi che si rispondono l’un l’altro. Sarebbe bene recitarlo o cantarlo a due voci, riga per riga o a due cori alternati. Primo coro: “Benedici il Signore, anima mia”… Secondo coro: “quanto è in me benedica il suo santo nome santo”… Primo coro: “Egli perdona tutte le tue colpe … Secondo coro: “Non ci tratta secondo i nostri peccati”. E così via. Un’altra caratteristica è la tonalità gioiosa del rendimento di grazie. L’espressione “Benedici il Signore, anima mia” si ripete come inclusione nel primo e nell’ultimo versetto del salmo. Tra tutti i benefici, i versetti scelti per questa domenica insistono sul perdono di Dio: “Egli perdona tutte le tue colpe… Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore; non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe.” Più volte lo abbiamo notato: una delle grandi scoperte della Bibbia è che Dio è solo amore e perdono. Ed è proprio per questo che è così diverso da noi e costantemente ci sorprende. Quando il profeta Isaia afferma: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, dice Dio; le vostre vie non sono le mie vie” (55,6-8), invita a cercare il Signore mentre si fa trovare, a invocarlo mentre è vicino. Invita l’empio ad abbandonare la sua via e l’uomo perverso i suoi pensieri, e aggiunge: “Ritorni al Signore che avrà misericordia di lui, al nostro Dio che largamente perdona” - e aggiunge - ”perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri”. Proprio la congiunzione “perché” dà il senso a tutta la frase: è proprio la sua misericordia inesauribile a fare la differenza tra Dio e noi. Circa cinquecento anni prima di Cristo, si era già compreso che il perdono di Dio è incondizionato e che precede tutte le nostre preghiere o pentimenti. Il perdono di Dio non è un atto puntuale, un evento, ma è la sua essenza stessa. Tuttavia, siamo solo noi a poter compiere liberamente il gesto di andare a ricevere questo perdono di Dio e rinnovare l’Alleanza; Egli non ci forzerà mai e allora andiamo da lui con fiducia, compiamo il passo indispensabile per entrare nel perdono di Dio che è già acquisito. A ben vedere si tratta di una scoperta che risale a tempi molto antichi. Quando Natan annunciò al re Davide, che si era appena sbarazzato del marito della sua amante, Betsabea, il perdono di Dio, Davide in verità non aveva ancora avuto il tempo di esprimere il minimo pentimento. Dopo avergli ricordato tutti i benefici con cui Dio lo aveva colmato, il profeta aggiunse: “E se questo fosse poco, aggiungerei ancora di più” (2 Sam 12,8). Ecco il significato della parola perdono, formata da due sillabe che è bene separare “per – dono” a indicare il dono perfetto, dono al di là dell’offesa e al di là dell’ingratitudine; è l’alleanza sempre offerta nonostante l’infedeltà. Perdonare chi ci ha fatto del male significa continuare, nonostante tutto, a offrirgli un’alleanza, una relazione di amore o di amicizia; significa accettare di rivedere quella persona, tendergli la mano, accoglierla comunque alla nostra tavola o nella nostra casa; significa rischiare un sorriso; significa rifiutare di odiare e di vendicarsi. Tuttavia, questo non significa dimenticare. Spesso si sente dire: posso perdonare ma non dimenticherò mai. In realtà, si tratta di due cose completamente diverse. Il perdono non è un colpo di spugna, non è né dimenticanza né cancellazione di quanto è successo perché nulla lo cancellerà, sia che si tratti di un bene o di un male. Ci sono offese che non si potranno mai dimenticare, perché è successo l’irreparabile. È proprio questo che conferisce grandezza e gravità alle nostre vite umane: se un colpo di spugna potesse cancellare tutto, che senso avrebbe agire bene? Potremmo fare qualsiasi cosa. Il perdono quindi non cancella il passato, ma apre al futuro. Spezza le catene della colpa, porta la liberazione interiore e ci permette di ripartire. Quando Davide fece uccidere il marito di Betsabea, nulla poté riparare il male commesso. Ma Davide, perdonato, poté rialzare la testa e cercare di non fare più il male. Quando i genitori perdonano l’assassino di un loro figlio non significa che dimenticano il crimine commesso ma proprio nel loro dolore trovano la forza necessaria per perdonare e il perdono diventa un atto profondamente liberatore per loro stessi. Chi viene perdonato non sarà mai più un innocente, ma può rialzare la testa. Senza arrivare a crimini così gravi, la vita di ogni giorno è segnata da gesti più o meno gravi che seminano ingiustizia o dolore. Perdonando e ricevendo il perdono si smette di guardare al passato e si volge lo sguardo verso il futuro. Avviene così nel nostro rapporto con Dio dato che nessuno può dirsi innocente, ma tutti siamo peccatori perdonati.
*Seconda Lettura dalla Prima Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,45-49)
Continua la meditazione di san Paolo sulla resurrezione di Cristo e sulla nostra e si rivolge a cristiani di origine greca che vorrebbero avere una risposta chiara e precisa sulla resurrezione della carne, sul quando e sul come avverrà. Paolo ha già spiegato domenica scorsa che la resurrezione è un articolo di fede per cui non credere nella resurrezione dei morti, significa non credere nemmeno nella resurrezione di Cristo. Adesso affronta la domanda: Come risorgono i morti e con quale corpo ritornano? In verità riconosce di non sapere come saranno i risorti, ma ciò che può affermare con certezza è che il nostro corpo risorto sarà completamente diverso da quello terreno. Se pensiamo che Gesù apparso dopo la risurrezione non veniva subito riconosciuto dai suoi discepoli e Maria Maddalena lo ha scambiato per il giardiniere, ciò dimostra che era lo stesso e, allo stesso tempo, completamente diverso. Paolo distingue un corpo animale da un corpo spirituale e l’espressione corpo spirituale ha sorpreso i suoi ascoltatori che conoscevano la distinzione greca tra corpo e anima. Egli però, essendo ebreo, sa che il pensiero ebraico non contrappone mai il corpo e l’anima e la sua formazione giudaica lo ha condotto invece a contrapporre due tipi di comportamento: quello dell’uomo terreno e quello dell’uomo spirituale, inaugurato dal Messia. In ogni uomo, Dio ha insufflato un soffio di vita che lo rende capace di vita spirituale, ma rimane ancora un uomo terreno. Solo nel Messia abita pienamente lo Spirito stesso di Dio, che guida ogni sua azione. Paolo per argomentare fa riferimento alla Genesi, nella quale legge la vocazione dell’umanità, ma non la interpreta in modo storico. Per lui Adamo è un tipo di uomo o, meglio, un tipo di comportamento. Questa lettura può sembrarci insolita, ma dobbiamo abituarci a leggere i testi della creazione nella Genesi non come un resoconto degli eventi, bensì come racconti di vocazione. Creando l’umanità (Adamo è un nome collettivo), Dio la chiama a un destino straordinario. Adamo, l’essere terrestre, è chiamato a diventare il tempio dello Spirito di Dio. E va ricordato che nella Bibbia la Creazione non è considerata un evento del passato perché la Bibbia parla molto di più di Dio Creatore che della Creazione; parla del nostro rapporto con Dio: siamo stati creati da Lui, dipendiamo da Lui, siamo sospesi al suo soffio e non si tratta del passato, bensì del futuro. L’atto creativo ci viene presentato come un progetto ancora in corso: nei due racconti della creazione, l’uomo ha un ruolo da svolgere. “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” nel primo racconto (Gn 1,28). “Il SIGNORE Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” nel secondo racconto (Gn 2,15). E questo compito riguarda tutti noi, poiché Adamo è un nome collettivo che rappresenta tutta l’umanità. La nostra vocazione, dice ancora la Genesi, è essere l’immagine di Dio, cioè abitati dallo Spirito stesso di Dio. “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò.” (Gn 1,26-27). Adamo è anche il tipo di uomo che non risponde alla sua vocazione; si è lasciato influenzare dal serpente, che gli ha instillato, come un veleno, la sfiducia verso Dio. Questo è ciò che Paolo chiama un comportamento terreno, come il serpente che striscia rasoterra. Gesù Cristo, il nuovo Adamo, invece, si lascia guidare solo dallo Spirito di Dio. In questo modo, egli realizza la vocazione di ogni uomo, cioè di Adamo; è questo il senso della frase di Paolo: “Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente ma l’ultimo Adamo ( cioè il Cristo) divenne spirito datore di vita.”
Chiaro il messaggio: il comportamento di Adamo conduce alla morte, quello di Cristo conduce alla vita. Noi però siamo costantemente combattuti tra questi due comportamenti, tra cielo e terra e possiamo fare nostra l’espressione di Paolo quando grida: “Infelice uomo che sono! Non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio.” (Rm 7,24.19). In altri termini la storia individuale e quella collettiva di tutta l’umanità è un lungo cammino per lasciarci abitare sempre di più dallo Spirito di Dio. Scrive Paolo: “Il primo uomo tratto dalla terra è fatto di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli della terra e come è l’uomo celeste, così anche i celesti”. E san Giovanni osserva: “Carissimi, fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.» (1 Gv 3,2). L’immagine perfetta di Dio in Gesù Cristo, gli apostoli l’hanno vista sul volto di Cristo durante la Trasfigurazione.
Nota: il serpente strisciante per terra tenta l’umanità (Adamo – adam uomo collegato a adamah terra, non è il nome di una persona ma indica l’umanità intera fatta di terra Gn1,26-27) e il nome del serpente è nahash parola che può significare sia serpente che il dragone dell’Apocalisse: Gn3,15; Ap 12)
*Dal Vangelo secondo Luca (6, 27-38)
“Siate misericordiosi come il vostro Padre è misericordioso” e sarete allora figli dell’Altissimo, perché lui è buono con gli ingrati e i cattivi. Questo è il programma di ogni cristiano, è la nostra vocazione. L’intera Bibbia appare come il racconto della conversione dell’uomo, che impara gradualmente a dominare la propria violenza. Non è certo un processo facile, ma Dio è paziente, perché, come dice san Pietro , un giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno (cf 2 Pt 3,8) ed educa il suo popolo con tanta pazienza, come leggiamo nel Deuteronomio: “Come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te” (Dt 8,5). Questa lenta estirpazione della violenza dal cuore dell’uomo è espressa in modo figurato fin dal libro della Genesi: la violenza viene presentata come una forma di animalità. Riprendiamo il racconto del giardino dell’Eden: Dio aveva invitato Adamo a dare un nome agli animali, a simboleggiare la sua superiorità su tutte le creature. Dio aveva infatti concepito Adamo come il re della creazione: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza. Domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (Gn 1,26). E lo stesso Adamo si era riconosciuto diverso, superiore: «L’uomo diede un nome a tutti gli animali, agli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche; ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse» (Gn 2,20). L’uomo non trovò il suo pari. Ma due capitoli dopo, troviamo la storia di Caino e Abele. Nel momento in cui Caino è preso da una folle voglia di uccidere, Dio gli dice: «Il peccato è accovacciato (come una bestia) alla tua porta. È in agguato, ma tu devi dominarlo» (Gn 4,7). E a partire da questo primo omicidio, il testo biblico mostra la proliferazione della vendetta (Gn 4,1-26). Fin dai primi capitoli della Bibbia, la violenza è dunque riconosciuta: esiste, ma viene smascherata e paragonata a un animale. L’uomo non merita più di essere chiamato uomo quando è violento. I testi biblici intraprendono quindi l’arduo cammino della conversione del cuore dell’uomo. In questo percorso possiamo distinguere delle tappe. Fermiamoci sulla prima: «Occhio per occhio, dente per dente» (Es 21,24). In risposta al terribile vanto di Lamech (Gn 4,23), pronipote di Caino, che si glorificava di uccidere uomini e bambini per vendicare semplici graffi, la Legge introduce un primo limite: un solo dente per un dente, e non tutta la mascella; una sola vita per una vita, e non un intero villaggio in rappresaglia. La legge del taglione rappresentava dunque già un progresso significativo, anche se oggi ci appare ancora insufficiente. La pedagogia dei profeti affronta costantemente il problema della violenza, ma si scontra con una grande difficoltà psicologica: l’uomo che accetta di non vendicarsi teme di perdere il proprio onore. I testi biblici allora mostrano all’uomo che il suo vero onore è altrove: consiste proprio nell’assomigliare a Dio, che è «buono con gli ingrati e i malvagi». Il discorso di Gesù, che leggiamo questa domenica, rappresenta l’ultima tappa di questa educazione: dalla legge del taglione siamo passati all’invito alla dolcezza, al disinteresse, alla gratuità perfetta. Egli insiste: per due volte, all’inizio e alla fine, dice «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano»… «Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla in cambio». E così il finale ci sorprende un po’: fino a questo punto, sebbene non fosse facile, almeno era logico. Dio è misericordioso e ci invita a imitarlo. Ma ecco che le ultime righe sembrano cambiare tono: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. Perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Siamo forse tornati a una logica del “do ut des”? Ovviamente no! Gesù qui ci sta semplicemente indicando un cammino molto rassicurante: per non temere di essere giudicati, basta non giudicare né condannare gli altri. Giudicate le azioni, ma mai le persone. Instaurate un clima di benevolenza. In questo modo, le relazioni fraterne non verranno mai spezzate. Quanto alla frase: «La vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo», essa esprime la meraviglia che sperimentano coloro che si conformano all’ideale cristiano della mitezza e del perdono. È la profonda trasformazione che avviene in loro: perché hanno aperto la porta allo Spirito di Dio, e lui abita in loro e li ispira sempre di più. A poco a poco vedono compiersi in loro la promessa formulata dal profeta Ezechiele: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.» (Ez 36,26).
+Giovanni D’Ercole
Sintesi su richiesta: Commento breve.
Lettura dal Primo Libro di Samuele (26,2.7-9.12-13.22-23)
Saul fu il primo re del popolo d’Israele, intorno al 1040 a.C. Era un contadino, originario di una famiglia semplice della tribù di Beniamino, scelto da Dio e consacrato re dal profeta Samuele che inizialmente esitò perché diffidava della monarchia in generale, ma dovette obbedire a Dio. Dopo un buon inizio, Saul purtroppo diede ragione ai peggiori timori di Samuele: il suo piacere personale, l’amore per il potere e per la guerra prevalsero sulla fedeltà all’Alleanza. Fu così grave che, senza attendere la fine del suo regno, Samuele, su ordine di Dio, si mise a cercare il suo successore e scelse Davide, il piccolo pastore di Betlemme, l’ottavo figlio di Iesse. Davide fu accolto alla corte di Saul e divenne pian piano un abile capo di guerra, i cui successi erano sulla bocca di tutti. Un giorno, Saul udì il canto popolare che circolava ovunque: «Saul ha ucciso i suoi mille, e Davide i suoi diecimila» (1 Sam 18,7) e fu preso dalla gelosia che divenne così feroce nei confronti di Davide da farlo impazzire. Davide dovette fuggire più volte per salvarsi, ma contrariamente ai sospetti di Saul, Davide non venne mai meno alla sua lealtà verso il re. Nell’episodio che ci viene qui narrato è Saul a prendere l’iniziativa: i tremila uomini di cui si parla furono radunati da lui con il solo scopo di soddisfare il suo odio per Davide. “Saul scese nel deserto di Zif con tremila uomini scelti d’Israele per cercare Davide” (v 2) e chiara era la sua intenzione: eliminarlo appena possibile. Ma la situazione si ribalta a favore di Davide: durante la notte Davide entra nel campo di Saul e trova tutti addormentati e quindi l’occasione favorevole per ucciderlo. Abisai, la guardia del corpo di Davide, non ha dubbi e si offre di ucciderlo: “Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo” (v 8). Davide sorprende tutti, incluso Saul, che stenterà a credere ai suoi occhi quando vedrà la prova che Davide lo ha risparmiato. Si pongono due domande: perché Davide ha risparmiato colui che voleva la sua morte? L’unica ragione è il rispetto per la scelta di Dio: “Non ho voluto stendere la mano contro il messia del Signore” (v.11). L’autore sacro vuole delineare il ritratto di Davide: rispettoso della volontà di Dio e magnanimo, che rifiuta la vendetta e comprende che la Provvidenza non si manifesta mai attraverso la semplice consegna del nemico nelle proprie mani. In secondo luogo, perché il re regnante è intoccabile e non va dimenticato che questo racconto fu scritto alla corte di Salomone, il quale aveva tutto l’interesse a far passare questo insegnamento. Infine, questo testo rappresenta una tappa nella storia biblica, un momento nella pedagogia di Dio: prima di imparare ad amare tutti gli uomini, bisogna iniziare a trovare qualche buona ragione per amarne alcuni e Davide risparmia un nemico pericoloso perché come re è l’eletto di Dio. L’ultima tappa sarà comprendere che ogni uomo va rispettato perché siamo tutti creati a immagine e somiglianza di Dio.
*Salmo 102 (103), 1-2, 3-4, 8. 10. 12-13
Questo salmo sarebbe bene recitarlo o cantarlo a due voci, a due cori alternati. Primo coro: “Benedici il Signore, anima mia”… Secondo coro: “quanto è in me benedica il suo santo nome santo”… Primo coro: “Egli perdona tutte le tue colpe … Secondo coro: “Non ci tratta secondo i nostri peccati”. E così via. Un’altra caratteristica è la tonalità gioiosa del rendimento di grazie. L’espressione “Benedici il Signore, anima mia” si ripete come inclusione nel primo e nell’ultimo versetto del salmo. Tra tutti i benefici, i versetti scelti per questa domenica insistono sul perdono di Dio: “Perché Egli perdona tutte le tue colpe… Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore; non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe …”perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri”. Proprio la congiunzione “perché” dà il senso a tutta la frase: è proprio la sua misericordia inesauribile a fare la differenza tra Dio e noi. Circa cinquecento anni prima di Cristo, si era già compreso che il perdono di Dio è incondizionato e che precede tutte le nostre preghiere o pentimenti. Il perdono di Dio non è un atto puntuale, un evento, ma è la sua essenza stessa. Tuttavia, siamo solo noi a poter compiere liberamente il gesto di andare a ricevere questo perdono di Dio e rinnovare l’Alleanza; Egli non ci forzerà mai e allora andiamo da lui con fiducia, compiamo il passo indispensabile per entrare nel perdono di Dio che è già acquisito. A ben vedere si tratta di una scoperta che risale a tempi molto antichi. Quando Natan annunciò al re Davide, che si era appena sbarazzato del marito della sua amante, Betsabea, il perdono di Dio, Davide in verità non aveva ancora avuto il tempo di esprimere il minimo pentimento. Dopo avergli ricordato tutti i benefici con cui Dio lo aveva colmato, il profeta aggiunse: “E se questo fosse poco, aggiungerei ancora di più” (2 Sam 12,8). Ecco il significato della parola perdono, formata da due sillabe che è bene separare “per – dono” a indicare il dono perfetto, dono al di là dell’offesa e al di là dell’ingratitudine; è l’alleanza sempre offerta nonostante l’infedeltà. Perdonare chi ci ha fatto del male significa continuare, nonostante tutto, a offrirgli un’alleanza, una relazione di amore o di amicizia; significa rifiutare di odiare e di vendicarsi. Tuttavia, questo non significa dimenticare. Spesso si sente dire: posso perdonare ma non dimenticherò mai. In realtà, si tratta di due cose completamente diverse. Il perdono non è un colpo di spugna. Ci sono offese che non si potranno mai dimenticare, perché è successo l’irreparabile. È proprio questo che conferisce grandezza e gravità alle nostre vite umane: se un colpo di spugna potesse cancellare tutto, che senso avrebbe agire bene? Potremmo fare qualsiasi cosa. Il perdono quindi non cancella il passato, ma apre al futuro. Spezza le catene della colpa, porta la liberazione interiore e ci permette di ripartire. Quando Davide fece uccidere il marito di Betsabea, nulla poté riparare il male commesso. Ma Davide, perdonato, poté rialzare la testa e cercare di non fare più il male. Quando i genitori perdonano l’assassino di un loro figlio non significa che dimenticano il crimine commesso ma proprio nel loro dolore trovano la forza necessaria per perdonare e il perdono diventa un atto profondamente liberatore per loro stessi. Chi viene perdonato non sarà mai più un innocente, ma può rialzare la testa. Senza arrivare a crimini così gravi, la vita di ogni giorno è segnata da gesti più o meno gravi che seminano ingiustizia o dolore. Perdonando e ricevendo il perdono si smette di guardare al passato e si volge lo sguardo verso il futuro. Avviene così nel nostro rapporto con Dio dato che nessuno può dirsi innocente, ma tutti siamo peccatori perdonati.
*Seconda Lettura dalla Prima Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,45-49)
Continua la meditazione di san Paolo sulla resurrezione di Cristo e sulla nostra e si rivolge a cristiani di origine greca che vorrebbero avere una risposta chiara e precisa sulla resurrezione della carne, sul quando e sul come avverrà. Paolo ha già spiegato domenica scorsa che la resurrezione è un articolo di fede per cui non credere nella resurrezione dei morti, significa non credere nemmeno nella resurrezione di Cristo. Adesso affronta la domanda: Come risorgono i morti e con quale corpo ritornano? In verità riconosce di non sapere come saranno i risorti, ma ciò che può affermare con certezza è che il nostro corpo risorto sarà completamente diverso da quello terreno. Se pensiamo che Gesù apparso dopo la risurrezione non veniva subito riconosciuto dai suoi discepoli e Maria Maddalena lo ha scambiato per il giardiniere, ciò dimostra che era lo stesso e, allo stesso tempo, completamente diverso. Paolo distingue un corpo animale da un corpo spirituale e l’espressione corpo spirituale ha sorpreso i suoi ascoltatori che conoscevano la distinzione greca tra corpo e anima. Egli però, essendo ebreo, sa che il pensiero ebraico non contrappone mai il corpo e l’anima e la sua formazione giudaica lo ha condotto invece a contrapporre due tipi di comportamento: quello dell’uomo terreno e quello dell’uomo spirituale, inaugurato dal Messia. In ogni uomo, Dio ha insufflato un soffio di vita che lo rende capace di vita spirituale, ma rimane ancora un uomo terreno. Paolo per argomentare fa riferimento alla Genesi e vede Adamo come un tipo di comportamento perché il racconto della creazione nella Genesi non è il resoconto degli eventi, bensì il racconto di una vocazione. Creando l’umanità (Adamo è un nome collettivo), Dio la chiama a un destino straordinario. Adamo, l’essere terrestre, è chiamato a diventare il tempio dello Spirito di Dio. E va ricordato che nella Bibbia la Creazione non è considerata un evento del passato ma parla del nostro rapporto con Dio: siamo stati creati da Lui, dipendiamo da Lui, siamo sospesi al suo soffio e non si tratta del passato, bensì del futuro. L’atto creativo ci viene presentato come un progetto ancora in corso: nei due racconti della creazione, l’uomo ha un ruolo da svolgere. “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” (Gn 1,28). “Il SIGNORE Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). E questo compito riguarda tutti noi, poiché Adamo è un nome collettivo che rappresenta tutta l’umanità. La nostra vocazione, dice ancora la Genesi, è essere l’immagine di Dio, cioè abitati dallo Spirito stesso di Dio. “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò.” (Gn 1,26-27). Adamo è anche il tipo di uomo che non risponde alla sua vocazione; si è lasciato influenzare dal serpente, che gli ha instillato, come un veleno, la sfiducia verso Dio. Questo è ciò che Paolo chiama un comportamento terreno, come il serpente che striscia rasoterra. Gesù Cristo, il nuovo Adamo, invece, si lascia guidare solo dallo Spirito di Dio. In questo modo, egli realizza la vocazione di ogni uomo, cioè di Adamo; è questo il senso della frase di Paolo: “Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente ma l’ultimo Adamo ( cioè il Cristo) divenne spirito datore di vita.”
Chiaro il messaggio: il comportamento di Adamo conduce alla morte, quello di Cristo conduce alla vita. Noi però siamo costantemente combattuti tra questi due comportamenti, tra cielo e terra e possiamo fare nostra l’espressione di Paolo quando grida: “Infelice uomo che sono! Non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio.” (Rm 7,24.19). In altri termini la storia individuale e quella collettiva di tutta l’umanità è un lungo cammino per lasciarci abitare sempre di più dallo Spirito di Dio. Scrive Paolo: “Il primo uomo tratto dalla terra è fatto di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli della terra e come è l’uomo celeste, così anche i celesti.
*Dal Vangelo secondo Luca (6, 27-38)
“Siate misericordiosi come il vostro Padre è misericordioso” e sarete allora figli dell’Altissimo, perché lui è buono con gli ingrati e i cattivi. Questo è il programma di ogni cristiano, è la nostra vocazione. L’intera Bibbia appare come il racconto della conversione dell’uomo, che impara gradualmente a dominare la propria violenza. Non è certo un processo facile, ma Dio è paziente ed educa il suo popolo con tanta pazienza. Questa lenta estirpazione della violenza dal cuore dell’uomo è espressa in modo figurato fin dal libro della Genesi: la violenza viene presentata come una forma di animalità. Dio aveva invitato Adamo a dare un nome agli animali, a simboleggiare la sua superiorità su tutte le creature. E lo stesso Adamo si era riconosciuto diverso, superiore e non trovò il suo pari. Ma dopo troviamo la storia di Caino e Abele. Nel momento in cui Caino è preso da una folle voglia di uccidere, Dio gli dice: «Il peccato è accovacciato (come una bestia) alla tua porta. È in agguato, ma tu devi dominarlo» (Gn 4,7). E a partire da questo primo omicidio, il testo biblico mostra la proliferazione della vendetta (Gn 4,1-26). Fin dai primi capitoli della Bibbia, la violenza è dunque riconosciuta: esiste, ma viene smascherata e paragonata a un animale. L’uomo non merita più di essere chiamato uomo quando è violento. I testi biblici intraprendono quindi l’arduo cammino della conversione del cuore dell’uomo. In questo percorso possiamo distinguere delle tappe. Fermiamoci sulla prima: «Occhio per occhio, dente per dente» (Es 21,24). In risposta al terribile vanto di Lamech (Gn 4,23), pronipote di Caino, che si glorificava di uccidere uomini e bambini per vendicare semplici graffi, la Legge introduce un primo limite: un solo dente per un dente, e non tutta la mascella; una sola vita per una vita, e non un intero villaggio in rappresaglia. La legge del taglione rappresentava dunque già un progresso significativo, anche se oggi ci appare ancora insufficiente. La pedagogia dei profeti affronta costantemente il problema della violenza, ma si scontra con una grande difficoltà psicologica: l’uomo che accetta di non vendicarsi teme di perdere il proprio onore. I testi biblici allora mostrano all’uomo che il suo vero onore è altrove: consiste proprio nell’assomigliare a Dio, che è «buono con gli ingrati e i malvagi». Il discorso di Gesù, che leggiamo questa domenica, rappresenta l’ultima tappa di questa educazione: dalla legge del taglione siamo passati all’invito alla dolcezza, al disinteresse, alla gratuità perfetta. Egli insiste: per due volte, all’inizio e alla fine, dice «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano»…. Dio è misericordioso e ci invita a imitarlo. Ma ecco che le ultime righe sembrano cambiare tono: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. Perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato (Lc 6,37-38). Siamo forse tornati a una logica del “do ut des”? Ovviamente no! Gesù qui ci sta semplicemente indicando un cammino molto rassicurante: per non temere di essere giudicati, basta non giudicare né condannare gli altri. Giudicate le azioni, ma mai le persone. Instaurate un clima di benevolenza. In questo modo, le relazioni fraterne non verranno mai spezzate.
+Giovanni D’Ercole