(Mt 16,13-19)
Gesù guida i suoi intimi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale, affinché prendano distanza da condizionamenti e apprezzamenti.
[Il relativo successo ottenuto dal Maestro in Galilea aveva ravvivato le speranze degli apostoli].
Il territorio di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina, era incantevole; celebre per fertilità e pascoli rigogliosi - zona famosa per la bellezza del contesto e la fecondità di greggi e armenti.
Anche i discepoli sono affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.
Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui - e così vuole si rendano conto degli effetti nefasti della loro stessa predicazione.
Il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana propone, e imbambolava i Dodici.
Mentre gli dèi mostrano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che (appunto) ammaliava tutti - Cristo cosa offre?
Il Maestro si accorge che i discepoli erano ancora fortemente condizionati dalla propaganda del governo politico e religioso (cf. vv.6.11), che assicurava benessere (vv.5-12; cf. Mt 15,32-38).
Gesù li istruisce ancora, affinché almeno i suoi più intimi possano superare la cecità, la crisi prodotta dalla sua Croce (v.21) e dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.
Egli non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè, con lo zelo di Elia.
Neppure voleva limitarsi a purificare la religione da elementi spuri, bensì ‘sostituirsi’ al Tempio (Mt 21,12-17.18-19.42; 23,2.37-39; 24,30) - luogo dell’incontro tra il Padre e i suoi figli.
Su tale questione, in quel momento erano particolarmente vive le distanze non solo col paganesimo, ma anche le contrapposizioni tra giudei convertiti al Signore e osservanti secondo tradizione.
Infatti, nei libri sacri del giudaismo tardivo si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.
Ma anche all’interno delle comunità perseguitate di Galilea e Siria di Mt si constatava una scarsa capacità di comprensione, e tutta la difficoltà d’abbracciare la nuova proposta che non garantiva gloria, né traguardi materiali.
Ci si rendeva conto che la Fede non si accordava facilmente con i primi impulsi umani: era sconcertante per le vedute ovvie e le sue pulsioni.
Così Gesù contraddice lo stesso Pietro (vv.20.23), la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» (vv.16.20: «quel») Messia atteso.
Da ciò il ‘segreto messianico’ imposto a chi lo predica in quel modo equivoco (v.20).
Il capo degli apostoli - debole nella Fede - deve smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» lui (v.23), deviandoLo!
Simone - ciascuno dei responsabili di chiesa - deve ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare strade, sequestrando Dio in nome di Dio.
Egli è stato costretto dal Signore a rendersi conto in prima persona della Novità di Dio.
Le sue «Chiavi» non sono dunque per chiudere il Regno, bensì per spalancare le sue Porte, ossia far diventare la Chiesa una Comunità umanizzante, aperta; libera da condizionamenti unilaterali.
Ecco il nuovo compito della ‘Cattedra di Pietro’: aiutare i credenti a uscire da un canovaccio di aspettative scontate, o élitarie, normalizzanti e artificiali, incapaci di rigenerare il mondo.
[Cattedra di s. Pietro, 22 febbraio]