Senza fermarsi a metà, e senza mode. Nuova Fiaccola
(Mal 3,1-4; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40)
Il contesto di Mal 3,1-4 è straziante: i sacerdoti avevano ridotto il tempio a una banca; i professionisti del culto si comportavano da funzionari, disinteressandosi dell’adesione sincera.
Quel Bimbo ricorda che Dio incessantemente Viene col suo rovente Fuoco da fonditore (Mal 3,2-3) non solo per operare una purificazione, un miglioramento, un potenziamento, un aggiustamento, un rabberciamento, una parentesi.
Non irrompe per rendere più attuale la medesima realtà, o più simpatici gl’identici contenuti formali e accondiscendenti. Viene a sostituirli.
Non Viene ad affinare, bensì a spalancare. Non Viene a intaccare, ma a soppiantare. Non a benedire situazioni domate, ma a denunciarle.
Forse Viene per farci tornare ai «giorni antichi», agli «anni lontani» - ma non come immaginava Mal 3,4 - bensì per sorvolare la stessa palude della solita religione, quella con la testa sempre all’indietro a indagare per riproporre il passato.
E neppure Egli propugna figure astratte, disincarnate, che distraggono l’attenzione; persino se fossero alla moda [“attuali” ma evasive o personalmente opprimenti, incapaci di accendere realtà da dentro].
D’ora in poi si manifesta vivente, spalancando le porte del nostro Santuario - non più «assoggettato a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,15; seconda Lettura).
«Egli infatti non si prende cura degli angeli» (Eb 2,16) sempre disponibili ma senza istanze di slancio appunto personale - senza passioni naturali, privi d’indipendenza - e col cervello sempre lì, nel sacro.
Il passo del Vangelo di Lc narra la risposta sorprendente del Padre alle previsioni d’adempimento circa le profezie messianiche.
Ci si attendeva una manifestazione eloquente e perentoria della potenza del Dio d’Israele e la sottomissione di coloro che non adempivano la Legge.
Tutti immaginavano di assistere all’ingresso trionfale d’un condottiero - circondato da capi militari o schiere angeliche (Mal 3,1) che avrebbe assoggettato i pagani portando nella città santa i loro beni, garantito al popolo eletto molti schiavi, e imposto l’osservanza.
Gesù? Eccolo sì nel Tempio, ma indifeso; accompagnato da gente insignificante. Nessuno si accorge di loro, sebbene a tutte le ore il luogo sacro brulicasse di visitatori.
Non basta essere persone pie e devote per rendersi conto della presenza di Cristo - per vedere Dio stesso, i fratelli, le cose, con gli occhi del Padre.
Come sfondare il muro delle consuetudini chiuse in sé - come intaccare il mondo artificioso delle apparenze contrarie, per volgersi all’Ignoto creativo?
Lc risponde: con l’aiuto di persone particolarmente sensibili, in grado di comprendere il Nuovo Progetto.
Sono coloro che non contrappongono al Disegno dell’Altissimo i propositi banali, o i sogni correnti; le aspettative abituali (altrui) - pretendendo dal Signore solo l’aiutino per realizzarli.
Ecco allora sorgere Simeone e Anna (vv.25.36-38), donne e uomini corifei del Popolo autentico più sensibile, grazie a un ottimo lavoro sull’anima.
Provenendo sia da dentro che da fuori il Tempio - tali profeti tentano di bloccare (vv.28.38 testo greco) il piccolo corteo famigliare, ancora legato alle convenzioni giudaiche (vv.21-23).
Rispetto agli stereotipi cultuali e legalisti, i membri della sacra Famiglia devono intraprendere tutt’altra Via, consapevole.
Percorso che la porterà a una crescita imprevista, in favore di tutti.
Così, il Piccolo Resto sacro di donne e uomini animati dallo Spirito irrompe (sempre) come fosse straniero…
Popolo di minuscoli adoratori, di genuini fuori del coro, i quali tentano addirittura d’impedire il “medesimo” inutile rito di clan!
Gesto che pretendeva - ancora - di trasformare (e ridurre) in ossequioso figlio di Abramo Colui che era stato annunciato come Figlio di Dio.
Insomma, nelle figure di Simeone e Anna, Lc vuole trasmetterci un insegnamento fondamentale.
Se la mèta è il trionfo della vita, la storia passata non deve prevalere sulla Rivelazione inedita.
L’Unicità divina si manifesta in ciò che accade.
L’Eccezionalità dello Spirito si propone (dimessamente) adesso.
Imprevisto cui siamo chiamati a dare voce piena - e farsi eco.
Lo svelamento è ora.
Il “qui” apre immediatamente un arco di esistenza piena.
[Basta col ripetersi “come dovremmo essere” secondo le usanze o i padri…].
Dov’è tutto combinato, non troveremo le risposte che risolvono i veri problemi, né tempi magici - quelli che ci motivano.
Le anime di Dio genuine non si occupano di assecondare obblighi, bensì di vivere intensamente il momento presente con l’energia che traccia futuro, senza esitare con gli eccessi di controllo.
Uscire dalla normalità del modo stabilito - anche attraverso doglie di parto (vv.34-35) - crea lo spazio per accogliere la Novità che salva.
Nel percorso, quei pensieri e doveri che non corrispondono più al destino di ciascuno saranno disinnescati, evaporeranno da sé.
Così in Maria: Madre icona di tutta la Chiesa delle attese vere - tagliata (v.35) dalla folla abitudinaria.
Ella ha deposto tutte le dipendenze.
E l’Innocente è gloria della “nazione”, in Spirito - perché ne viene fuori!
Nella sua figura imprevedibile e sana risiede una Luce che illumina tutti (v.32).
Un tratto d’infanzia e semplice immediatezza che diventa «redenzione di Gerusalemme» (v.38).
È infatti un Chiarore che produce conflitto con l’ufficialità, uno Splendore profondo destinato a ogni tempo - mentre gli astuti non ne vogliono sapere di perdere coordinate, ruoli, posizioni.
Una «spada» (v.35) che nella Madre Israele realizzerà lacerazioni fra qualcuno che si apre alla fiaccola dell’Evangelo e altri che viceversa arroccano.
Lc ha presente le situazioni di comunità, ove i credenti in Cristo vengono scartati da amici e famiglie di estrazione culturale difforme (Lc 12,51-53).
Ma l’atteso e vero Messia dev’essere consegnato al mondo - sebbene i meglio disposti a riconoscerlo siano i componenti della tribù d’Israele più piccola [Asher, nella figura di Anna: vv.36-38].
Sono gli stessi profeti che nella vita hanno vibrato per un solo grande Amore (vv.36-37), poi hanno vissuto l’assenza dell’Amato - fino ad averlo riconosciuto in Cristo. Trasalendo di sorpresa; cogliendo corrispondenze personalissime dentro sé, in Spirito; gioendo, lodando il Dono di Dio (v.38).
Il brano si conclude col ritorno a Nazaret (vv.39-40) e l’annotazione riguardante la crescita di Gesù stesso «in sapienza, statura e grazia» [testo greco].
Morale: non siamo al mondo per rimanere avvinghiati a ombre e blocchi del passato, con i suoi sentimenti perenni - stati d’animo di sempre, soliti pensieri preponderanti, medesimo modo di fare (anche le piccole cose).
Meccanismi e paragoni che chiudono le nostre giornate, la vita intera e lo spazio emotivo delle passioni - tarpando le ali a testimonianze che vogliono sovrastare il corso riconosciuto sin dagli antenati.
Viceversa, proprio questa è la grande Sfida che attiva la Rinascita giovane del Sogno di Dio. E ci lancia nel passaggio dal senso religioso alla Fede personale.
Tale l’unica energia che sveglia, desta entusiasmo, comunica virtù semplice, spazza via gli strati di polvere che ancora ci coprono di conformismi senza slancio intimo.
I modi ricalcati e collettivi di scendere in campo [più o meno “morali”] additano, deviano, sovraccaricano la nostra essenza - facendo leva sulla paura di essere rifiutati.
Per infilarci con sforzo nelle convenzioni e nelle maniere della nostra cultura locale [ovvero à la page] spesso rischiamo di smarrire la Chiamata per Nome, l’irripetibilità del cammino che vibra dentro e ci appartiene davvero.
Rispetto alla guerriglia “religiosa” che portiamo avanti perfino con noi stessi, serve una tregua dalle forme comuni - anche devote; cultuali e puriste, o glamour.
Ecco introdursi una pausa dall’immagine sociale di sé: per consentirci di abbandonare forme esterne e tossiche, recuperare energie taciute.
E lanciarsi verso esperienze nuove a partire dall’anima [che non sbaglia] - che vogliamo e siamo chiamati a sposare, con entusiasmo, senza prima calarsi in un ruolo.