Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Ecco i commenti delle letture di questa domenica
Solennità del Battesimo di Gesù anno C [12 gennaio 2025]
*Lettura dal libro del profeta Isaia (40, 1-5.9-11)
Questo è l’inizio di uno dei passaggi più belli del Libro di Isaia, chiamato il “Libretto della Consolazione d’Israele” perché le prime parole sono: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”. Questa frase, da sola, è già una buona notizia sorprendente, quasi inaspettata, per chi la sa ascoltare. Le espressioni “il mio popolo” e “il vostro Dio” richiamano l’Alleanza ed esprime la consapevolezza che se anche la relazione tra Dio e il suo popolo è in crisi l’amore non è finito. In effetti proprio questa era la preoccupazione degli esiliati. Durante l’esilio a Babilonia, cioè tra il 587 e il 538 a.C., ci si poteva chiedere: Dio ha abbandonato il suo popolo? Ha forse rinunciato alla sua Alleanza? Si è stancato delle nostre infedeltà reiterate a tutti i livelli? L’obiettivo principale del Libretto della Consolazione di Isaia è affermare che non è così e Dio ribadisce ancora: “Sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio”.
Mi limito a seguire il testo con qualche commento:
+“Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta”, dice Isaia. Questo significa che la schiavitù a Babilonia è finita; è quindi un annuncio di liberazione e del ritorno a Gerusalemme.
+“La sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati”. Secondo la legge di Israele, un ladro doveva restituire il doppio dei beni rubati (ad esempio due animali per uno). Parlare al passato di questa doppia punizione era un modo figurato per dire che la liberazione era vicina, poiché la pena era stata scontata. I “peccati” di Gerusalemme e il suo “crimine”, menzionati dal profeta, erano tutte le infrazioni all’Alleanza: i culti idolatri, le violazioni del sabato e delle altre prescrizioni della Legge, ma soprattutto le numerose mancanze di giustizia e, più grave di tutto, il disprezzo per i poveri. Il popolo ebraico ha sempre considerato l’esilio come la conseguenza di tutte queste infedeltà, poiché all’epoca si credeva ancora che Dio punisse le colpe.
+“Una voce grida” (v. 3): l’autore di questo libretto non ci dice chi sia e si presenta come la voce che grida da parte di Dio; tradizionalmente viene chiamiato il secondo Isaia. “Una voce grida: Nel deserto preparate la via del Signore”. Una volta, nella storia di Israele, Dio preparò nel deserto la strada che condusse il popolo dalla schiavitù alla libertà, dall’Egitto alla Terra Promessa; ebbene, dice il profeta, come il Signore ha liberato il suo popolo dall’oppressione egiziana, oggi lo libererà da quella babilonese.
+La strada della libertà. “Spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata”. Era usanza dei vincitori costringere i vinti a enormi lavori di livellamento per preparare una via trionfale per il ritorno del re vittorioso. Peggio ancora: una volta all’anno, a Babilonia, durante la festa del dio Marduk, gli schiavi ebrei dovevano compiere questi lavori di livellamento per preparare il passaggio del corteo con il re e le statue dell’idolo in testa. Per gli ebrei credenti, era un’umiliazione e un dolore profondi. Ora Isaia, incaricato di annunciare la fine della schiavitù e il ritorno a casa, dice: questa volta, sarà nel deserto tra Babilonia e Gerusalemme che traccerete una strada. E non sarà per un idolo pagano, ma per voi e il vostro Dio che vi guiderà.
+“Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno perché la bocca del Signore ha parlato”. Si potrebbe tradurre: Dio sarà finalmente riconosciuto come Dio e tutti vedranno che Egli ha mantenuto le sue promesse.
+“Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion”. “Alza la voce non temere, annuncia alla città di Giuda”. Si noti il parallelismo di queste due frasi: un parallelismo perfetto, volto a sottolineare questa Buona Notizia indirizzata a Sion o Gerusalemme, ovvero al popolo, non alla città. Il contenuto della Buona Notizia segue immediatamente: “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore viene con potenza; il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede”.
+“Come un pastore fa pascolare il suo gregge e con il suo braccio raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Qui ritroviamo in Isaia l’immagine cara a un altro profeta contemporaneo, Ezechiele. La giustapposizione di queste due immagini (un re trionfante, un pastore) può sorprendere, ma l’ideale del re in Israele comprendeva entrambi gli aspetti: un buon re era un pastore pieno di premure per il suo popolo, ma anche un re trionfante sui nemici, proprio per proteggere il suo popolo. Questo testo risuonava come una straordinaria notizia per i contemporanei di Isaia, nel VI secolo a.C. Cinque o sei secoli dopo, quando Giovanni Battista vide Gesù di Nazaret avvicinarsi al Giordano per ricevere il Battesimo, queste parole di Isaia risuonarono in lui, e fu colto da un’evidenza folgorante: ecco colui che radunerà definitivamente il gregge del Padre… Ecco colui che trasformerà i sentieri tortuosi degli uomini in strade di luce… Ecco colui che restituirà al popolo di Dio la sua dignità… Ecco colui nel quale si rivela la gloria (cioè la presenza) del Signore. Finito il tempo dei profeti, ormai Dio stesso è in mezzo a noi
*Salmo responsoriale (103 (104),1c-3a.3bc-4.24-25.27-28.29-30)
Il salmo 103/104, di cui leggiamo oggi alcuni estratti può essere confrontato con l’inno del faraone Akhenaton. Si tratta di una preghiera che proviene dall’Egitto: un inno rivolto al sole dal re Amenofi IV, marito di Nefertiti. È noto che questo faraone dedicò una parte significativa delle sue energie all’instaurazione di una nuova religione: sostituì il culto di Amon (il cui clero gli sembrava troppo potente) con quello del Dio Aton, ossia il sole. In questa occasione, prese il nuovo nome di Akhenaton. La sua preghiera è stata trovata incisa su una tomba a Tell El-Amarna, in Egitto (sulle rive del Nilo). Vale la pena leggere il testo:
“Tu ti levi splendido all’orizzonte del cielo, Sole vivente che vivi dall’origine. Risplendi all’orizzonte dell’est, hai riempito ogni terra con la tua bellezza. Sei splendido, grande, brillante, ti innalzi sopra tutte le terre. Quante sono le tue opere, misteriose ai nostri occhi! Unico Dio, non hai simili, hai creato la terra secondo il tuo cuore. Gli esseri si formano sotto la tua mano come li hai voluti. Tu risplendi ed essi vivono; tu tramonti ed essi muoiono. Tu hai la durata della vita in te stesso, si vive di te. Gli occhi si volgono alla tua bellezza fino a che ti nascondi, e ogni lavoro termina quando tramonti a occidente.”
Appare evidente che questo inno, rivolto in Egitto al dio-sole, somigli moltissimo al salmo 103/104, composto in Israele. Tuttavia, il testo egizio è più antico: risale al XIV secolo a.C., un periodo in cui gli ebrei erano schiavi in Egitto. Si può dunque supporre che abbiano avuto occasione di ascoltare questo poema rivolto al dio-sole, e lo abbiano adattato trasformandolo alla luce della loro nuova religione, quella del Dio che li aveva liberati dall’Egitto. Sebbene però i due testi si somiglino, differiscono ancora molto e soprattutto su due punti fondamentali:
1. Il Dio d’Israele è personale e unico, che ha offerto al suo popolo una relazione di alleanza. È un Dio con un progetto sull’umanità, un Dio che vuole l’uomo libero. Ad esempio, il salmo inizia e termina con l’acclamazione: “Benedici il Signore, anima mia,” espressione tipica dell’alleanza tra il popolo d’Israele e il suo Dio. Inoltre, il nome usato per designare Dio è il famoso nome dell’alleanza, rappresentato dalle quattro lettere YHVH, che non si pronunciano ma ricordano la presenza eterna di Dio con il suo popolo. Questo nome è tradotto nel testo con la parola “Signore”.
2. Dio è il creatore, il sole è una creatura. Nella visione biblica, a differenza della preghiera del faraone Akhenaton, solo Dio è Dio e il sole non è altro che una creatura priva di volontà propria. In altri versetti del salmo, si afferma: “Hai fatto la luna per segnare i tempi e il sole che sa l’ora del tramonto. Stendi le tenebre e viene la notte” (v.v. 19-20).
In altre parole, se il sole ha un qualsiasi potere, è Dio, e solo Dio, che glielo ha dato. Allo stesso modo, nel libro della Genesi, per sottolineare il ruolo subordinato del sole e della luna, l’autore del primo capitolo della Genesi non li nomina nemmeno, ma li chiama semplicemente: “I due grandi luminari: il maggiore per governare il giorno, il minore per governare la notte” (Gn 1,16). In sostanza, sono strumenti della creazione.
In Israele Il Salmo 103/104 veniva cantato per lodare Dio creatore, re di tutta la creazione. È particolarmente evidente nella frase:“Mandi il tuo soffio: sono creati; rinnovi la faccia della terra”, che richiama il testo della Genesi: “Il Sgnore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo; soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7).
Per esprimere che Dio è re, si usa il linguaggio di corte: “Sei rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un mantello!” Come se Dio indossasse un mantello regale! Altrove, il salmista esclama:
“Sei tanto grande, Signore, mio Dio!” : un’acclamazione regale tradizionale in Israele.
Va poi considerato questo salmo in connessione con il Battesimo di Gesù che oggi celebriamo. Quando la liturgia propone questo salmo per la festa del Battesimo di Cristo, a prima vista può sembrare un accostamento sorprendente. Tuttavia, il legame emerge in due aspetti: 1.Proclamazione di Gesù come Figlio di Dio: Durante il Battesimo, una voce dal cielo dichiara: “Tu sei il Figlio amato; in te ho posto il mio compiacimento.”
2. Nuova creazione: L’episodio del Battesimo richiama il soffio di Dio che aleggiava sulle acque nella Genesi (Gn 1,2). Quando Gesù viene battezzato, il cielo si apre e lo Spirito Santo discende su di lui come una colomba, segnando l’inizio della nuova creazione.
*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito (2,11-14 ; 3,4-7)
Riprendo qui quanto già ho pubblicato commentando questa stessa lettera a Natale sia nella messa della notte che nella messa dell’aurora. San Paolo affidò al suo discepolo Tito la responsabilità delle comunità cristiane di Creta. Il compito non era facile, poiché i Cretesi avevano una pessima reputazione all’epoca; un poeta locale, Epimenide di Cnosso, nel VI secolo a.C., li definì “Cretesi, sempre bugiardi, brutte bestie, fannulloni”. Paolo, citandolo, conferma: “Questa testimonianza è vera” (Tt 1,12-13). Nonostante ciò, Paolo e Tito cercarono di trasformare questi Cretesi pieni di difetti in cristiani. La lettera a Tito contiene i consigli del fondatore della comunità a colui che ne è ora responsabile. Include raccomandazioni molto concrete per i membri della comunità: anziani e giovani, uomini e donne, padroni e schiavi. Anche i responsabili non sono trascurati; Paolo insiste sulla serietà della vita richiesta a loro, facendo capire che questo non era scontato (Tt 1,7-8). E la serie di consigli che l’postolo da, evidenzia i progressi ancora da compiere. Per Paolo, la morale cristiana si radica nell’evento che segna la svolta nella storia del mondo: la nascita di Cristo. Quando Paolo afferma “la grazia di Dio si è manifestata”, intende dire “Dio si è fatto uomo”. Da allora, il nostro modo di essere umani è trasformato: “Egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo” (Tt 3,5). La trasformazione dell’intera umanità è in programma, poiché il progetto di Dio, previsto da tutta l’eternità, è di riunirci tutti attorno a Gesù Cristo, superando divisioni, rivalità e odi, per diventare un solo uomo. Paolo afferma: “Nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,13). “Nell’attesa” implica che, prima o poi, ciò avverrà.
Questa certezza e l’attesa sono il motore di tutta la liturgia: durante la celebrazione, i cristiani non sono rivolti al passato, ma sono già un solo uomo in piedi, rivolto al futuro. Quando verrà la fine del mondo, si potrà dire: “E si alzarono come un solo uomo. E quest’uomo aveva per nome Gesù Cristo”.
Una nota storica: Sulla nascita di una comunità cristiana a Creta, alcuni studiosi ipotizzano quanto segue: secondo gli Atti degli Apostoli, la nave che trasportava Paolo prigioniero in attesa di un giudizio a Roma fece scalo in un luogo chiamato “Bei Porti” (Kaloi Limenes) nel sud dell’isola. Tuttavia, Luca non menziona la nascita di una comunità in quell’occasione, e Tito non faceva parte del viaggio. È noto che, dopo numerose peripezie, questo viaggio si concluse come previsto a Roma, dove Paolo fu imprigionato per due anni in condizioni assimilabili a una “residenza sorvegliata”. Si suppone che questa prigionia romana si sia conclusa con una liberazione. Paolo avrebbe quindi intrapreso un quarto viaggio missionario, durante il quale evangelizzò Creta. Per ragioni di stile, vocabolario e persino di verosimiglianza cronologica, molti esperti delle lettere paoline ritengono che questa lettera a Tito (così come le due lettere a Timoteo) sia stata scritta solo alla fine del I secolo, circa trent’anni dopo la morte di Paolo, ma in fedeltà al suo pensiero e per sostenere la sua opera. Indipendentemente dall’epoca in cui questa lettera è stata redatta, è evidente che le difficoltà dei Cretesi persistevano.
*Vangelo secondo san Luca (3,15-22)
Tutti e tre i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) narrano l’evento del Battesimo di Cristo, ciascuno a modo suo. Giovanni, invece, non lo racconta direttamente, ma vi fa riferimento. Luca ha un approccio particolare, che cercherò qui di evidenziare. Ad esempio, il suo testo inizia con “Mentre tutto il popolo veniva battezzato”: Luca è l’unico a menzionare che il popolo si faceva battezzare; è anche l’unico a menzionare la preghiera di Gesù: “Mentre tutto il popolo veniva battezzato e, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera”; questo accostamento è tipico di Luca: uomo tra gli uomini, Gesù non smette di essere al contempo unito al Padre. Luca desidera sottolineare così tanto l’umanità di Gesù che, solo nel suo Vangelo, curiosamente, il racconto del Battesimo è seguito immediatamente da una genealogia. A differenza della genealogia posta all’inizio del Vangelo di Matteo, che parte da Abramo e discende fino a Gesù passando per Davide e Giuseppe, la genealogia di Gesù in Luca parte da lui e risale ai suoi antenati; era (come si pensava, dice Luca) figlio di Giuseppe, figlio di Davide, figlio di Abramo… Ma Luca risale ancora più indietro: ci dice che Gesù è “figlio di Adamo, figlio di Dio”. Ciò indica chiaramente che, al momento della stesura del suo Vangelo, i primi cristiani avevano compreso questa relazione privilegiata di Gesù di Nazareth con Dio: egli era il Figlio di Dio nel vero senso del termine. “Tu sei il Figlio mio, l’amato”, dice la voce dal cielo. Il seguito non è esclusivo di Luca: Matteo e Marco usano termini simili. Mentre Gesù pregava, “il cielo si aprì”: in tre parole, un evento decisivo! La comunicazione tra cielo e terra è ristabilita; la preghiera del popolo credente è stata ascoltata; da secoli, questa era l’attesa del popolo ebraico. “Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi, davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie, come il fuoco fa bollire le acque”, diceva Isaia (Is 63,19-64,1). Le acque sono presenti, poiché ciò avviene presso il Giordano; il fuoco è evocato: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”, diceva Giovanni Battista. E Luca continua: “E discese sopra di lui lo Spirito Santo, in forma corporea, come una colomba”. Qui lo Spirito non è associato alla violenza del fuoco, ma alla colomba, simbolo di dolcezza e fragilità. Non è una contraddizione: forza e violenza… dolcezza e fragilità, tale è l’amore, tale è lo Spirito.
I quattro evangelisti menzionano questa manifestazione dello Spirito sotto forma di colomba: nei tre Vangeli sinottici, le espressioni sono molto simili: Matteo e Marco dicono che lo Spirito discende “come una colomba”, mentre in Luca “lo Spirito Santo discese su Gesù in forma corporea, come una colomba”. Nel Vangelo di Giovanni, è Giovanni Battista che, in seguito, racconta la scena: “Ho visto lo Spirito discendere dal cielo come una colomba e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: ‘Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza in Spirito Santo’. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Gv 1,32-34).
Questa rappresentazione della colomba è certamente molto significativa, poiché tutti e quattro gli evangelisti l’hanno riportata. Cosa poteva evocare per loro? Nell’Antico Testamento, richiama innanzitutto la Creazione: il testo della Genesi non menziona la colomba, dice semplicemente “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1,2). Ma nella meditazione ebraica, si era imparato a riconoscere in questo soffio lo stesso Spirito di Dio; e un commento rabbinico della Genesi afferma: “Lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque come una colomba che aleggia sopra i suoi piccoli, ma non li tocca” (Talmud di Babilonia). Inoltre, la colomba evocava l’Alleanza tra Dio e l’umanità, rinnovata dopo il diluvio; si ricorda il rilascio della colomba da parte di Noè: è stata lei a indicare a Noè che il diluvio era terminato e che la vita poteva riprendere. Ancora più significativo, l’amato del Cantico dei Cantici chiama la sua amata “mia colomba, nelle fenditure della roccia… mia sorella, mia amica, mia colomba, mia tutta pura” (Ct 2,14; 5,2). Ora, il popolo ebraico legge il Cantico dei Cantici come la dichiarazione d’amore di Dio all’umanità. Siamo quindi all’alba di una nuova era: nuova Creazione, nuova Alleanza.
In quel momento, dice Luca, “venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio l’amato, in te ho posto il mio compiacimento’”. Non vi è dubbio che questa voce sia quella di Dio stesso: da molto tempo, il popolo d’Israele non aveva più profeti, ma i rabbini affermavano che nulla impedisce a Dio di rivelarsi direttamente e che la sua voce, proveniente dai cieli, geme come una colomba. Ora, questa frase “venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’” non era nuova per gli orecchi ebraici: era tanto più solenne, poiché erano le parole con cui i profeti parlavano del Messia. In quel momento, Giovanni Battista comprese: la colomba dello Spirito designava il Messia. Una domanda sorge spontanea: perché Gesù, che non aveva peccato, chiese di essere battezzato? Si potrebbe rispondere che sarebbe stato sorprendente il contrario. Come avrebbe potuto dissociarsi dal grande movimento delle folle desiderose di conversione che si accalcavano attorno al Battista? Inoltre, Luca aveva certamente in mente i Canti del Servo del secondo libro di Isaia: “È stato annoverato tra i malfattori” (Is 53,12). Luca stesso lo cita nel cuore della Passione (Lc 22,37).
Il battesimo di Gesù ha un significato profondo: pur essendo senza peccato, Egli si sottopone a questo rito per identificarsi con l’umanità peccatrice e per adempiere ogni giustizia. Questo gesto prefigura la sua missione di Redentore, che porterà a compimento attraverso la sua passione, morte e risurrezione. Inoltre, il battesimo di Gesù segna l’inizio del suo ministero pubblico di Gesù ed è manifestazione della Trinità, con la voce del Padre e la discesa dello Spirito Santo in forma di colomba su Gesù, il figlio amato del Padre.
+Giovanni D’Ercole