Fiamma e Pace, Immersione e divisione. Non quietismo tattico
(Lc 12,49-53)
«Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!» (Lc 12,49).
La differenza tra religiosità e Fede si rende palese nella comparazione tra la mentalità che identifica il Fuoco biblico con il castigo, e quella d’una sacra Fiamma riversata con passione d’amore (v.49) che evoca il Dono a nostro favore.
Francesco proclamava: «Laudato sie, mi Signore, per frate focu,/ per lo quale ennalumini la notte:/ et ello è bello e iocundo/ et robustoso et forte».
Per il Poverello d’Assisi il fuoco era elemento «nobile e utile fra le creature dell’Altissimo» [Legenda antiqua].
Egli aveva con «frate focu» uno sconcertante rapporto di cortesia. Certo esso non scacciava la notte allo stesso modo del Sole, ma vi portava luce.
Invece la vampa dei discepoli non era granché: Giacomo e Giovanni volevano che incenerisse avversari o malcapitati (Lc 9,54).
Prima di Gesù, Giovanni il battezzatore attendeva ancora un Messia che immergesse tutti in un falò divoratore e giustiziere (Lc 3,17).
Nel passo ad es. di Mt 19,13-15 la medesima tematica si confonde con l’ardore purista e fondamentalista degli apostoli che a tutti i costi volevano distaccare Gesù dai suoi diletti, i quali non avevano la minima intenzione di stare sottomessi.
L’incendio della Fede annunciata dalla Persona e dall’attività del Figlio non consuma, non corrode; è viceversa come un cibo: pienezza di energia per una vita completa, non elemento distruttivo o separatore.
Tutto ciò fa rinascere persone, rapporti e realtà circostante. Modifica la nostra Relazione con Dio, con noi stessi e il prossimo. Tale la divisione proclamata (v.51): il discrimine della nostra Chiamata.
Nella devozione comune l’errore di valutazione o la condizione di debolezza è considerata un’infermità, da additare, correggere, punire.
Dottrina e disciplina costituiscono l’armatura esteriore delle coscienze, e il culto le celebra e inculca [non di rado, in modo conformista e scadente, sebbene pretenzioso].
Le “impurità” non andrebbero “fuse” nel Fuoco divino e provvidente: solo normalizzate secondo ataviche prescrizioni, o idee sofisticate à la page.
Per la vita nello Spirito, viceversa, l’attenzione è altrove: le oscillazioni personali diventano possibilità; gli abbattimenti una nuova Forza.
Senso d’incapacità, insuccesso e impedimenti suscitano intensità, scambio, dialogo, nuove elaborazioni, ricerca di altri processi; anche rabbie di sdegno che divampano e stimolano al riscatto.
La Fede si accende onda su onda, nell’accogliere e corrispondere Dio che si rivela, chiama e ancora propone - addirittura mescolanze trasversali, che impigliano i purismi astratti.
«Sogniamo come un’unica umanità» - sottolinea l'enciclica Fratelli Tutti (n.8), gioendo «per la diversità» che ci abita (cf. n.10).
Nell’imperfezione di situazioni critiche, il Padre non ci scaglia addosso pietre, ma Pane [non raffermo - come nelle ideologie antiche].
Sono Alimento e Fiamma anche le nostre situazioni insoddisfacenti: i macigni che sembravano schiacciare e ci facevano negativi vengono assunti, diventano benzina che proietta; giubilo, che - invece di “sistemarci” - fa crescere ancora.
Chiamati a collaborare, partecipiamo alla stessa azione creatrice, gratuita e rallegrante del Signore.
Egli orienta alla Pace inedita della completezza in divenire, dell’umanizzazione a tutto tondo ancora da acquisire.
Il Disegno d’Amore evolve e irrobustisce attraverso eventi concreti, non escluse le coinvolgenti dinamiche che scaturiscono dalla consapevolezza del proprio confine - di cui non va fatta piazza pulita.
La Fede non crea idoli disgreganti, che parificano eccentricità e peccato, solo vi posa lo sguardo per capire, lasciando che si sciolgano e sboccino da quel magma energetico plasmabile, trasfigurandoci.
Per le credenze vetuste era inimmaginabile che l’Altissimo non provasse ripugnanza della nostra condizione - e proprio sulle pieghe della precarietà carnale volesse edificare una storia di salvezza.
Invece il Figlio ci è complice. Strizza l’occhiolino persino a quegli aspetti che lo sguardo conformista gabella come squilibri, disturbi, malattie.
Vuol fare di ciascuno di noi non un censore o un buonista, bensì un irripetibile capolavoro - non costruito in provetta, ma che non t’aspetti.
Il Signore non standardizza né sterilizza, pretendendo recite o scalate fuori natura. È Lui che si umanizza - persino nelle nostre stranezze.
Si riconosce in ciò ch’è impastato di attese e sudori, sebbene ritenuto sconveniente per l’uomo [anche devoto, o viceversa, sofisticato] che brama innalzarsi.
Ci sentiamo accasati e “arrivati”? Solo qui non c’è ‘fuoco’, passione, scoperta, genesi, né terapia - e non siamo neanche alle soglie della Fede.
«Incarnazione» è il recupero dei lati opposti: l’imperfezione diventa una molla, coi suoi Tesori che non vediamo, nascosti dietro lati oscuri.
Sono quei versanti che poi domineranno il nostro Desiderio.
Questa è tutta la partita: si parte da dove siamo, e l'attenzione alle occasioni del presente scorretto - che non bisogna precipitarsi a disinfettare - ci farà trasalire per la vita inattesa che lì ri-sorge.
La Fiamma dello Spirito che sta edificando la Novità di Dio si annida nelle braci e nei lati ritenuti inconcludenti o contrapposti - non colloca se stessa in vetrina per soffocare subito l’istinto.
Così la Chiesa: non “funzionale”, bensì capace di dare vita. Regno e territorio non segnati da pacifismo tattico, che anestetizza.
In tal guisa, il Battesimo non è una rubrica o una mano di grigio e d’opinione comune, né un congegno che marchia, mettendo immediatamente all’angolo personalità e tensioni - bensì una Immersione (v.50 testo greco).
«Ora, perché non giudicate anche da voi stessi ciò che è giusto?» (v.57).
In Cristo abbiamo capacità di pensiero e veniamo fatti autonomi, per una fraternità solida con noi stessi, che si è ‘fermata’ - e che si dispiega rivitalizzando l’Unicità.
Accudendo le parti trascurate e fondendo i lati estranei o difformi, dall’esteriorità delle cose siamo riportati all’Origine di quanto accade.