Il modello dei satrapi
(Mc 10,35-45)
In via non ufficiale, Pio VII ci provò a sollevare il triregno (stile neoclassico, inusuale) regalato da Napoleone, ma i suoi paggi quasi non riuscivano a tirarlo su... per il peso.
Figuriamoci sopportare in testa 8 chili e 200 grammi! Provò tuttavia anche a infilarselo, mentre ovviamente qualcuno lo sosteneva anche di lato (immagina se fosse caduto sulle pantofole rosse).
Ma risultava pure troppo stretto: impossibile ficcarci la testa!
Per dispetto, Bonaparte novello imperatore glielo aveva fatto confezionare in modo che nessun Papa potesse mai fregiarsene; e così fu, l’ironico pezzo da museo.
La formula d’imposizione era: «Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvatore Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli». Amen.
Mentre tra sinfonie e cori qualcuno attendeva proprio il momento della tiara per lagrimare un poco sugli antichi fasti, alla celebrazione della riapertura del Concilio - dopo l’incoronazione - Paolo VI depose definitivamente il triregno sull’altare papale.
Se lo tolse con soddisfazione, non perché fosse poco confortevole (aveva sul capo ben 4 chili e mezzo): in seguito fece anche altri gesti d’inattesa rinuncia con pretese a farsi ossequiare.
Dopo di lui nessun Papa ebbe il coraggio di adornarsene.
Occasione ghiotta: imperdibile per chi aveva vasta esperienza degli ambienti curiali e diplomatici.
Con in pugno le chiavi del Cielo, le briglie della terra e il comando del Purgatorio (le tre corone), il pontefice decise di far salire diverse vampe da sottoterra - per surriscaldare gli strapuntini di qualche carrierista da strascico, abituato a dirigere le anime stando sopra un qualsiasi purchessia tronetto.
Mc scrive il suo Vangelo nell’anno dei quattro Cesari (68-69).
Malgrado la persecuzione di Nerone sia passata da pochi anni, immediatamente i credenti tornano a sgomitare fra loro per essere “grandi” e al primo posto.
Dentro la comunità romana riparte la gara del primeggiare. Ecco lo spunto del richiamo evangelico.
Farsi venerare, fame di protagonismo, meglio contare che essere contati?
Il posto d’onore è l’ultimo.
L’alternativa è: una religione che produce e ribadisce distanze, o la vita di umiltà-comunione segnate da simpatia verso i meno titolati.
La persona di Fede si riconosce e caratterizza grazie alla compiutezza umana, che l’assomiglia a Dio.
Nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» (vv. 33.45) è icona di santità trasmissibile, Santuario vivente da cui irradia la divina Compassione.
Figlio dell’uomo è colui che avendo raggiunto il massimo della pienezza umana, giunge a riflettere la condizione divina e la irradia in modo diffuso - non selettivo come ci si aspettava.
Figlio riuscito: la Persona dal passo definitivo, che in noi aspira alla dilatazione conviviale, a una caratura indistruttibile dentro ciascuno che accosta - e incontra contrassegni divini.
È crescita e umanizzazione del popolo: lo sviluppo tranquillo, trasparente e completo del progetto divino sull’umanità.
Figlio dell’uomo non è dunque un titolo religioso, riposto, cauto, controllato e riservato, ma un’occasione per tutti coloro che danno adesione alla proposta di vita del Signore, e la reinterpretano in modo creativo personale.
Essi superano i fermi e propri confini naturali facendo spazio al Dono; accogliendo dalla Grazia pienezza di essere, nei suoi nuovi irripetibili binari.
Sentendoci totalmente e immeritatamente amati, scopriamo altre sfaccettature... cambiamo il modo di stare con noi stessi, e possiamo crescere, realizzarci, fiorire, irradiare la completezza ricevuta - senza più chiusure.
Nei Vangeli il Figlio dell’uomo - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato dai frequentatori dei luoghi di malaffare, ma dagli habitué dei recinti sacri.
Appunto. Il Signore disdegna il modello dei satrapi.
Ecco allora i due orientamenti di vita contrapposti.
Da un lato la consuetudine del prevalere-asservire, perpetuando il mondo antico; quindi pretendere, farsi strada, dominare, manipolare, agire con doppiezza, esigere con linguaggio duro (ma anche mellifluo - pur di ottenere per sé)...
Diversa traccia umanizzante è invece quella di sostenere le persone a dilatare la vita e stimarsi, scoprendo i propri stati profondi, la personale Chiamata - ciò che gli è conforme e bello - incoraggiando a maturare il Sogno che coltivano.
Nella proposta di Gesù la Gloria celeste s’identifica con quant’è fonte di realizzazione per tutti, non con un archetipo piramidale di ben introdotti (sordi d’ambizione).
Perché se i castelli di cartapesta esterni sono estasianti e ancora ci fanno rimanere a bocca aperta, nel volgere della storia i presuntuosi divengono d’improvviso pula al vento; non hanno peso, non durano.
È l’archetipo di autorità e comando piramidale, attentissima a equilibri e punti strategici.
Tali dinamiche non appartengono alla comunità dei Figli - segnata dal condividere la scelta del Calice (v.39): l’anti-ambizione.
Insomma, Gesù ribadisce che nemico autentico di Dio non è l’imperfezione, né il limite - o addirittura l’apparente rovina del proprio prestigio - bensì un demone tutto interno.
Controparte del Signore è il desiderio di salire sul tabellone della vita e farsi servire dagli altri, per l’ebbrezza del potere.
Su un capitello crociato conservato al museo di Nazaret è scolpito un Apostolo dalla posa oscillante e dall’andatura incerta che viene trascinato con decisione da una figura femminile incoronata: la Fede.
È la Fede a serrare la mano sul polso (dove pulsa la vita) del personaggio - impacciato ma dotato di aureola (dai tratti sembra decisamente Pietro) insidiato dai demoni dell’avere e del potere.
La malattia dei posti d’onore non guarisce. La febbre del farsi riverire e sembrare primi della classe non si placa, anzi diventa una vera pazzia; e la testa ancora non cambia.
Sempre in lotta per la scalata, la fila di riguardo - e conseguire spazi. Misura di un modo di concepire.
Ecco allora il Vescovo di Roma ancora costretto ad ammonire i suoi prìncipi:
«Questa gente gioca a essere Dio»! «La vita riuscita non dipende dal successo o da quello che pensano gli altri». «Oggi c’è una cultura dell’asservimento dell’altro» - e così via.
In tal guisa, i detentori di titoli di prestigio sono «ritenuti» (v.42) capi.
Nel passo parallelo, Lc aggiunge che questi governanti - anche in relazione alle chiese - per giunta pretendono di essere chiamati «benefattori» (titolo dei grandi sovrani ellenisti).
E purtroppo qua e là il malcostume continua.
È il tipo della sovranità concatenata, attentissima alle posizioni; che si esercita e “funziona” alla grande, ma non va.
Scimmiottare le strutture mondane segnate da logiche di privilegio, prevaricazione, plagio e asservimento è poco nobile e più che sospetto: altro che esempio o motore civile e morale della società!
Tali dinamiche non appartengono alla comunità dei Figli; sebbene ogni tanto vengano evocate, attuate da singoli e fazioni opprimendo i senza-voce (anche sottobanco) o almeno rimpiante da malcelati nostalgici.
Gli stessi che - non avendo perso il vizio di soddisfare se stessi ammantandosi di falso prestigio - continuano a rovinare il clima e allontanano le migliori energie.
Gli Apostoli erano già sicuri di aver preso il Maestro in ostaggio (v.35).
Quindi nell’ancora vano tentativo di suscitare le coscienze e dirozzarle, il Signore continua a rivolgersi agli uomini - come nel brano di Vangelo - con cordialità e dal basso, quale uno schiavo coi suoi padroni (v.36).
È Dio il lavoratore coatto a servizio del desiderio di vita dei sottoposti; di riflesso i suoi - se Lo manifestano autenticamente, Grande sul serio.
A coloro che non vivono un rapporto vitale con il Cristo ma pretendono di sequestrarlo, papa Francesco ha ribadito i tratti della «malattia di coloro che si sentono padroni. Si credono superiori o indispensabili e non a servizio. Malattia che deriva dalla patologia del potere, dal narcisismo, dal complesso degli eletti».
I “designati” immaginano spesso di aver già ingabbiato Gesù, quindi te li ritrovi sempre sopra e davanti, mai alla pari; figurati dietro: piuttosto, imbrattati di polvere imperiale che produce lacerazioni e scismi (v.41).
Altro che donarsi e condividere - ribadiamo - la scelta del Calice (l’anti-ambizione)!
Ecco l’elemento indicativo della differenza fra religione e Fede:
Nemico di Dio non è il peccato, bensì il potere. L’ebbrezza di venire incoronati di tiara, ossia di essere destinati a lasciarsi continuamente omaggiare, farsi notare e comandare ovunque... pure sotto terra.