Set 6, 2024 Scritto da 

Il primo è l’ultimo

Rivoluzione della Tenerezza sana: egoismo senza riduzioni

(Mc 9,30-37)

 

Nessuna pianta vive solo alla luce: morirebbe. Nessun animale: perirebbe - se non avesse la sua tana in ombra.

 

L’uomo che nega il suo lato oscuro, mente.

 

La spiritualità biblica non è vuota; anzi, molto sobria e legata alla vita concreta e multiforme; talora opposta - per nulla incline a ripiegamenti sentimentalistici consolatori o unilaterali.

In Dt 6,4-5 (testo ebraico) l’amore dovuto al Signore investe «tutto il cuore» ossia tutte le decisioni, «tutta la vita» ossia ogni istante dell’esistenza, e «tutto il tuo molto» [condivisione dei beni; che il Figlio di Dio intende in senso universale].

La proposta di Gesù evolve in modo decisivo verso il superamento degli steccati, la libertà, e la consapevolezza. Essa tende a recuperare l’intero essere creaturale - e non è neppure incline alla liturgia degli adempimenti (né a valorizzare performances).

Il Figlio di Dio definisce le coordinate del vero Amore verso il Padre in termini che ci sorprendono, perché al criterio antico aggiunge il mettersi in discussione nell’intelligenza delle cose dell’uomo, di Dio, e di Chiesa.

Rendersi conto, cercare di capire, dialogare per arricchirsi, aggiornarsi, vagliare tutto... non sono orpelli cerebrali e individuali, ma passi decisivi per la comunione con gli altri e col Padre [Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27].

 

Nelle religioni pagane non aveva senso parlare di amore per gli dèi. Essi vivevano una vita capricciosa e decidevano a lotteria chi favorire tra gli uomini e chi invece dovesse sopportare una vita di stenti, insignificante.

I fortunati e (materialmente) benedetti ringraziavano adempiendo prescrizioni; ad es. obblighi di culto. Gli altri idem - almeno per tenersi buone le schiere celesti e non essere così oggetto di ritorsioni.

L’amore mette alla pari. Il timore crea piramidi gerarchiche.

Ovvio che fosse impossibile avere tanta passione per gli abitatori dell’Olimpo, o semidei, ninfe, eroi - insomma, per chiunque sovrastasse… con la cappa delle molte incombenze da osservare [per strapparne il favore].

Agli invisibili era ovviamente riservato il disprezzo personale e sociale - sacralizzato dall’indiscutibile volontà superna, identificata con la destinazione al ceto dei bassifondi; nel caso, punitiva. Comunque, paludosa.

[Altro che «viscere di Misericordia»: espressione materna, comune sin dal Primo Testamento!].

 

Poi l’idea arcaica di castigo o benedizione addirittura senza fine, per meriti ammucchiati in vita, ha costituito il tessuto della mentalità religiosa di tutti i tempi.

Ciò anche nella civitas christiana, sino a poco tempo fa.

Quindi la «teologia della retribuzione» ha di fatto annientato ogni passione personale, con l’idea ipocrita di scambio e meritocrazia.

Configurazione proiettata addirittura al rango di Paradiso - peggiore degli egoismi. Livellandoci tutti all’apporre “crocette”.

Sono note le complesse procedure della «pesatura del cuore» e del «Giudizio divino» sulle anime dei defunti, fin nei sarcofagi e nel Libro dei morti dell’antico Egitto.

Concatenazioni ingessate, di stampo forense, che hanno umiliato l’idea di Legge divina.

Malgrado ciò, tali convinzioni fin troppo “normali” sono divenute comuni a tutte le credenze del bacino mediterraneo e del medio oriente antico.

 

La Giustizia superiore pone Giustizia dove essa non c’è.

Ormai distaccati dall’invasione antica di catechesi ossessive sul terribile giudizio finale popolato d’accoliti armati con forcone, ci sentiamo finalmente capiti in modo personale, e con criterio esclusivamente vocazionale, non massificato.

Per dato creaturale, siamo anime chiamate e attivate a un percorso che può dare frutto irripetibile - un contributo decisivo e non omologabile all’intera storia della salvezza. Ciascuno di noi.

Nella visione-proposta di Gesù, il nostro essere non è valutato onnipotente nel bene. L’Agnello non reca condanna alcuna, neanche agli incapaci.

Siamo conformati sulla necessità di ricevere amore - come fossimo dei bambini di fronte a Genitori che fanno crescere sani i propri figli con una sovrabbondanza d’iniziative, le quali li portano a superarsi.

Ciò, malgrado i capricci; anzi, a motivo di essi: magma di energie contrapposte eppure plasmabili, che vedono più lontano delle facili identificazioni, e stanno preparando i successivi sviluppi.

 

L’esperienza della Tenerezza evangelica non deriva dal buon carattere e dalla mansuetudine sociale. Ma dall’aver sperimentato in prima persona il valore delle eccentricità.

E aver sviluppato la comprensione dei propri lati oscuri, o rielaborato e fatto scendere in campo deviazioni che a un certo punto della vita sono diventate risorse stupefacenti.

Addirittura, medesima evoluzione e trasmutazione possiamo notare negli aspetti di noi stessi che non piacciono e vorremmo correggere… 

Poi, tali scintille nell’andare dei giorni stupiscono, e scopriamo essere la parte migliore di noi stessi: la vera inclinazione e il motivo per cui siamo nati.

Il carattere deviante e sbilanciato di ciascuno contiene il segreto essenziale della Chiamata per Nome e del proprio destino.

Da ciò si parte per riconoscere il peso specifico delle differenze, e le stesse dissonanze di sorelle e fratelli, ugualmente arricchenti.

Non è buonismo, quello degli Agnelli [oscillante in situazione, e collegato a modi artificiosi, subdoli interessi o partigianerie]: il contrario!

Come ha detto Papa Francesco: «Agnelli, non stupidi; però agnelli».

 

Nella vita personale e di comunione, Tenerezza evangelica è reale comprensione e autentica inclusione del “diverso”. A partire non da una ideologia erratica, momentanea, glamour e di cerchia (volubile) ma dalla propria esperienza di vita intima e relazionale.

Ci porterà a sperimentare un Padre che ben provvede a noi, proprio mentre rallegriamo la vita altrui - arricchendo la nostra! - nella confluenza e riarmonizzazione dei nostri molti volti.

Tenerezza a tutto tondo, convinta sul serio; senza le maschere omologate dei soliti “punti saldi” della banale (recitata) tenerezza, forse obbligata e che si attiva da un’identità conforme indebolita.

 

È questo il contagio sapiente che ci farà rinascere dalla grande crisi globale: l’indulgenza che non si fa indolenza.

E che non rimane settoriale - perché parte non dalle maniere o dai nodi esterni, ma dall’essere se stessi e qui riconoscere il Tu (insieme, semi del Logos).

 

Per una Tenerezza del Dialogo senza nevrosi.

 

In tal guisa, il “santo” diventa colui che percorrendo la propria via nella scia del Risorto ha imparato a «identificarsi con l'altro, senza badare a dove [né] da dove [...] in definitiva sperimentando che gli altri sono sua stessa carne» (cf. FT 84).

 

 

Vincere la gara

(Mc 9,30-37)

 

«Un bambino giocava a fare il prete insieme a un coetaneo, sulle scale della sua casa. Tutto andò bene finché il suo piccolo amico, stufo di fare solo il chierichetto, salì su un gradino più alto e cominciò a predicare. Il bambino lo rimproverò bruscamente: ‘Posso predicare soltanto io! Tu non puoi predicare! Tocca a me! Rovini il gioco, sei cattivo!’. Richiamata dagli strilli, intervenne la mamma e spiegò al bambino che per dovere di ospitalità doveva permettere all’altro di predicare. A questo punto il bambino s’imbronciò per un attimo, poi illuminandosi salì sul gradino più alto e rispose: ‘Va bene, lui può continuare a predicare, ma io farò Dio’ [...]».

(B. Ferrero, La Scala, in: C’è Qualcuno Lassù?, p.24)

 

La mentalità delle precedenze e della supremazia era radicata al punto che anche in Paradiso si diceva esistessero le gerarchie.

Ma «Figlio dell’uomo» designa già dall’AT il carattere d’una santità che supera la fiction antica dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione.

La massa permaneva a bocca asciutta: qualsiasi fosse il sovrano che s’impadroniva del potere, la folla minuta restava sottomessa e soffocata.

Identica norma vigeva nelle religioni, i cui capi elargivano al popolo una forte pulsione da orda e il contentino dei gregari.

Invece nel Regno di Gesù devono mancare i ranghi - per questo il piano degli Apostoli più ambiziosi non collima col suo.

«Figlio dell’uomo» è la persona secondo un criterio di umanizzazione, non una belva che prevale perché più forte delle altre (Dan 7).

Ciascun uomo col cuore di carne - non di bestia, né di pietra - s’identifica spontaneamente con il «paidìon» (vv.36-37): un servetto di casa, il garzone di bottega.

Il termine (diminutivo) designa la persona sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.

Allude appunto alla dimensione di santità trasmissibile a chiunque, ma creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire!

 

Nei Vangeli, il Figlio dell’uomo - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato dai frequentatori dei luoghi di malaffare, ma dagli habitué dei recinti sacri.

La crescita e umanizzazione del popolo non è contrastata dai “peccatori”, ma proprio da coloro che avrebbero il ministero di far conoscere a tutti il Volto di Dio!

Gesù abbraccia un ragazzino di 8-12 anni che a quel tempo non contava nulla - appunto, un valletto di casa, un inserviente di bottega.

È l’unica identificazione che Gesù ama e desidera consegnarci: quella con colui che non può permettersi di non riconoscere le esigenze altrui.

Dimensione di santità senza aureole distintive: condivisibile, perché legata all’empatia, alla spontanea amicizia verso la donna e l’uomo.

Ovvio: non si tratta d’una proposta compromessa con la religione dottrina e disciplina che ricaccia indietro le eccentricità: assai più simpatica e amabile.

Quella del Figlio dell’uomo è la santità che ci rende unici, non che sta sempre ad aborrire ed esorcizzare il pericolo dell’inconsueto.

Proprio per questo - invece - la fissazione sulle antecedenze ha caratterizzato per secoli la vita della Chiesa; così come l’idolo feudale e monarchico della stabilità piramidale a vita.

 

«Se qualcuno vuole essere primo» (v.35): il Maestro non esclude il nostro diritto a fare qualcosa di grande... ma non lo identifica con l’avere, il potere e l’apparire.

Per un cammino di Beatitudine, Egli non eccita le pulsioni del trattenere, salire e dominare: non danno Felicità.

Conta piuttosto sulla nostra libertà di donare, scendere e servire - una franchigia affidata anzitutto ai primi della classe (vv.31-35) che hanno fatto il callo a soverchiare gli altri di moralismi e sentenze.

Dio non rinnega le legittime pulsioni dell’io a essere riconosciuto. Non partecipiamo alla vita come dei destinati al fallimento, bensì come dei promossi - che non sopprimono i propri requisiti.

Ma non per vincere la gara. Il Signore ci fa riflettere sull’autentica realizzazione.

Non si tratta d’una conquista esteriore ma intima e fatta propria. Essa è in grado così di scolpire il nostro carattere profondo, nella sua ricchezza di volti e nel tempo di un Percorso.

Aristotele affermava che - al di là di petizioni di principio artificiali o proclami apparenti - si ama davvero solo se stessi. È un punto di domanda non da poco.

Ammesso e non concesso, la crescita, promozione e fioritura delle nostre qualità si colloca all’interno d’una Via sapiente, d’un sentiero (persino interrotto) che sa concedersi il giusto ritmo - anche per incontrare nuovi stati dell’essere.

 

L’amore genuino e maturo dilata i confini dell’ego amante del primato, della visibilità e del tornaconto, comprendendo il Tu nell’io.

Itinerario e Vettore che poi espande le capacità e la vita. Altrimenti in ogni circostanza e purtroppo a qualsiasi età rimarremo nel gioco puerile di chi sgomita sui gradini per prevalere.

Come ha detto Papa Francesco circa i fenomeni mafiosi: «C’è bisogno di uomini e donne di Amore, non di onore!».

Scrive il Tao Tê Ching (XL): «La debolezza è quel che adopra il Tao». E il maestro Wang Pi commenta: «L’alto ha per basamento il basso, il nobile ha per fondamento il vile».

Così il personale sfocia nel plurale e globale:

«Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come “Figlio di Davide”, ma come “figlio dell’uomo”. Il titolo di “Figlio dell’uomo”, nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione».

[papa Benedetto, Concistoro 24 novembre 2012]

 

 

Transitorietà dell’Istituzione? E la compattezza? E l’espansione?

 

La mentalità delle precedenze era radicata al punto che anche in Paradiso si diceva esistessero le gerarchie.

Ma «Figlio dell’uomo» designa già dall’AT il carattere d’una santità che non t’aspetti, che supera la finzione antica, quella dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione; una mentalità di competizione e supremazia.

La massa rimaneva a bocca asciutta: qualsiasi fosse il sovrano che s’impadroniva del potere, la folla minuta restava sottomessa e soffocata. 

Identica norma vigeva nelle religioni, i cui capi elargivano al popolo una forte pulsione da orda e il contentino dei gregari.

Invece nel Regno di Gesù mancavano i ranghi - per questo il piano degli Apostoli più ambiziosi non collima col suo.

«Figlio dell’uomo» è la persona vera secondo un criterio di umanizzazione; non una belva che prevale perché più forte delle altre (Dan 7); non una fiera, ma chi educa, convincendo.

Ciascun uomo conforme al Progetto divino e col cuore di carne, non di lupo, s’identifica spontaneamente con il «paidìon» (vv.36-37): un servetto di casa, un garzone di bottega.

Raffigura la persona sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.

Dimensione di santità trasmissibile a chiunque, ma creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire! Pericolo dunque per la stabilità di qualsiasi “sistema” chiuso.

Come premunirsi? E la sua reputazione? Possibile per i responsabili di comunità rinunciare alle precedenze? Inaccettabile - forse - per chi tiene all’espansione unilaterale!

 

Una Chiesa senza catena di comando riconoscibile non parrebbe probabilmente un gruppo stabile. Sembrerebbe a qualcuno una istituzione transitoria. 

Inoltre [dal punto di vista delle “guide”]: cosa renderà gli individui affini e la massa difforme omogenea? Difficile avere una folla naturalmente compatta!

Una Persona dev’essere convinta, e non è semplice persuaderla!

Non bastano i soliti rimproveri sulla condotta; bisogna capire le vicende.

E se si pretende la sua adesione-coesione a un paradigma culturale in larga misura fissato, ecco la coercizione esterna della moltitudine in cui vive.

[Da ciò, dunque, una gerarchia di cooptati che garantisca fissità di credo, definito perfino nei dettagli].

 

Secondo calcolo naturale, una massa primitiva può evolvere in gruppo articolato e ben organizzato se soggetto a leaders che assicurino durevolezza attraverso una formazione collettiva che faccia presa e s’inculchi nelle categorie primitive dei codici di pensiero.

E tale conio deve risultare facilmente fruibile, onde corrispondere a tutte le variegate situazioni sul territorio.

Ecco in tal guisa una catechesi in grado d’inculturarsi mediante una proposta semplice, immediatamente godibile; compiacente e riconoscibile per le calche.

Notiamo infatti che nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non è ostacolato dai “peccatori”, bensì proprio da coloro che avrebbero il ministero di farlo conoscere.

Invece il Figlio ha una identità per nulla incline al calcolo di concordismi equilibrati; la sua firma è semplice, ma signorile.

Il suo benvolere si colloca su Altro piano: l’orizzonte del Dio che si rivela.

E lo fa senza artificio; nelle relazioni di qualità e nel Bene configurato e reale; non nelle posizioni di dominio, comando, sopraffazione.

 

Gesù abbraccia il ragazzino di 8-12 anni [«paidìon»] che a quel tempo non contava nulla.

Appunto, un valletto di casa, un inserviente di bottega; colui che non può permettersi di non riconoscere le esigenze altrui.

Dimensione di santità senza aureole distintive; condivisibile, perché legata alla simpatia verso chiunque - non a una dottrina e disciplina che ricacciano indietro il pericolo dell’Inconsueto.

Eppure la fissazione sulle antecedenze ha caratterizzato per secoli la vita della Chiesa.

Lavorando in archivi, ho notato quali asperità si celavano dietro i dibattiti circa ruoli e prelazioni da esibire in società [persino nelle posizioni di confraternite durante le processioni... non parliamo a tavola; sino al dopoguerra persino nelle foto di gruppo dei chierici].

Certo, il Signore non esclude il diritto a fare della propria vita qualcosa di grande, anzi; ma per la Felicità del suo Popolo non fa leva sulle pulsioni del trattenere, salire e dominare.

Conta piuttosto sulla libertà di donare, scendere e servire - anzitutto dei suoi primi della classe. Tutto per far respirare e nascere autenticamente i semplici; ed è possibile, se la Missione godesse d’un orizzonte di liberalità non opportunistica.

 

In prospettiva della Comunione - coesistenza, convivialità delle differenze - come bene supremo non fugace né viziato da trasformismi, la proposta di Dio non rinnega le legittime pulsioni dell’io a essere riconosciuto.

Non partecipiamo alla vita come dei destinati al fallimento, bensì come dei promossi che non sopprimono i propri requisiti. Ma non per vincere la gara.

Il Signore fa riflettere sull’autentica realizzazione.

Non una conquista esteriore, ma intima e fatta propria; scolpendo la nostra identità profonda nel tempo di un Percorso, non appiattito su ciò che già a monte appare non caratterizzato dal punto di vista educativo.

Aristotele affermava che - al di là di petizioni di principio esterne, artificiali - si ama davvero solo se stessi...

Ammesso e non concesso, la promozione e fioritura delle nostre qualità si colloca all’interno di un Cammino che dilati i confini dell’ego [amante del primato, della visibilità e del tornaconto] comprendendo il Tu nell’io.

Itinerario e Vettore che poi espande le capacità e la vita. Altrimenti in ogni circostanza e purtroppo in ogni età rimarremo nel gioco puerile di chi sgomita sui gradini.

Come ha detto Papa Francesco indicando fenomeni mafiosi: «C’è bisogno di uomini e donne di Amore, non di onore!».

 

 

Profonda distanza interiore fra Gesù e i discepoli

 

Dopo che Pietro, a nome dei discepoli, ha professato la fede in Lui riconoscendolo come il Messia (cfr Mc 8,29), Gesù comincia a parlare apertamente di ciò che gli accadrà alla fine. L’Evangelista riporta tre successive predizioni della morte e risurrezione, ai capitoli 8, 9 e 10: in esse Gesù annuncia in modo sempre più chiaro il destino che l’attende e la sua intrinseca necessità. Il brano […] contiene il secondo di questi annunci. Gesù dice: «Il Figlio dell’uomo – espressione con cui designa se stesso – viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà» (Mc 9,31). I discepoli «però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (v. 32).

In effetti, leggendo questa parte del racconto di Marco, appare evidente che tra Gesù e i discepoli c’era una profonda distanza interiore; si trovano, per così dire, su due diverse lunghezze d’onda, così che i discorsi del Maestro non vengono compresi, o lo sono soltanto superficialmente. L’apostolo Pietro, subito dopo aver manifestato la sua fede in Gesù, si permette di rimproverarlo perché ha predetto che dovrà essere rifiutato e ucciso. Dopo il secondo annuncio della passione, i discepoli si mettono a discutere su chi tra loro sia il più grande (cfr Mc 9,34); e dopo il terzo, Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di poter sedere alla sua destra e alla sua sinistra, quando sarà nella gloria (cfr Mc 10,35-40). Ma ci sono diversi altri segni di questa distanza: ad esempio, i discepoli non riescono a guarire un ragazzo epilettico, che poi Gesù guarisce con la forza della preghiera (cfr Mc 9,14-29); o quando vengono presentati a Gesù dei bambini, i discepoli li rimproverano, e Gesù invece, indignato, li fa rimanere, e afferma che solo chi è come loro può entrare nel Regno di Dio (cfr Mc 10,13-16).

Che cosa ci dice tutto questo? Ci ricorda che la logica di Dio è sempre «altra» rispetto alla nostra, come rivelò Dio stesso per bocca del profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, / le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8). Per questo seguire il Signore richiede sempre all’uomo una profonda con-versione - da noi tutti -, un cambiamento nel modo di pensare e di vivere, richiede di aprire il cuore all’ascolto per lasciarsi illuminare e trasformare interiormente. Un punto-chiave in cui Dio e l’uomo si differenziano è l’orgoglio: in Dio non c’è orgoglio, perché Egli è tutta la pienezza ed è tutto proteso ad amare e donare vita; in noi uomini, invece, l’orgoglio è intimamente radicato e richiede costante vigilanza e purificazione. Noi, che siamo piccoli, aspiriamo ad apparire grandi, ad essere i primi, mentre Dio, che è realmente grande,  non teme di abbassarsi e di farsi ultimo. E la Vergine Maria è perfettamente «sintonizzata» con Dio: invochiamola con fiducia, affinché ci insegni a seguire fedelmente Gesù sulla via dell’amore e dell’umiltà.

[Papa Benedetto, Angelus 23 settembre 2012]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

«And therefore, it is rightly stated that he [st Francis of Assisi] is symbolized in the figure of the angel who rises from the east and bears within him the seal of the living God» (FS 1022)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
This is where the challenge for your life lies! It is here that you can manifest your faith, your hope and your love! [John Paul II at the Tala Leprosarium, Manila]
È qui la sfida per la vostra vita! È qui che potete manifestare la vostra fede, la vostra speranza e il vostro amore! [Giovanni Paolo II al Lebbrosario di Tala, Manila]
The more we do for others, the more we understand and can appropriate the words of Christ: “We are useless servants” (Lk 17:10). We recognize that we are not acting on the basis of any superiority or greater personal efficiency, but because the Lord has graciously enabled us to do so [Pope Benedict, Deus Caritas est n.35]
Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: « Siamo servi inutili » (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono [Papa Benedetto, Deus Caritas est n.35]
A mustard seed is tiny, yet Jesus says that faith this size, small but true and sincere, suffices to achieve what is humanly impossible, unthinkable (Pope Francis)
Il seme della senape è piccolissimo, però Gesù dice che basta avere una fede così, piccola, ma vera, sincera, per fare cose umanamente impossibili, impensabili (Papa Francesco)
Hypocrisy: indeed, while they display great piety they are exploiting the poor, imposing obligations that they themselves do not observe (Pope Benedict)
Ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano (Papa Benedetto)
Each time we celebrate the dedication of a church, an essential truth is recalled: the physical temple made of brick and mortar is a sign of the living Church serving in history (Pope Francis)
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia (Papa Francesco)
As St. Ambrose put it: You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are giving him back what is his (Pope Paul VI, Populorum Progressio n.23)
Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene (Papa Paolo VI, Populorum Progressio n.23)
Here is the entire Gospel! Here! The whole Gospel, all of Christianity, is here! But make sure that it is not sentiment, it is not being a “do-gooder”! (Pope Francis))
Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! (Papa Francesco)
Christianity cannot be, cannot be exempt from the cross; the Christian life cannot even suppose itself without the strong and great weight of duty [Pope Paul VI]
Il Cristianesimo non può essere, non può essere esonerato dalla croce; la vita cristiana non può nemmeno supporsi senza il peso forte e grande del dovere [Papa Paolo VI]
The horizon of friendship to which Jesus introduces us is the whole of humanity [Pope Benedict]
L’orizzonte dell’amicizia in cui Gesù ci introduce è l’umanità intera [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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