Il Signore della Vita (o il segno pallido)
(Gv 11,1-45)
Gv 9,1-41 [il celebre passo del Nato Cieco] ci fa riflettere sul segno dell’apertura degli occhi.
Persino nei perdenti, può esserci crescita nella consapevolezza della dignità e vocazione personale per Fede.
Rimane un interrogativo: una Luce, se donata a tempo... forse non serve granché.
Cristo ci trasmette una coscienza colma di percezioni e capace d’intrapresa sapienziale, spirituale, missionaria - ma esiste una Meta finale o tutto si conclude qui?
Se dobbiamo cavarcela da soli, che senso hanno le Promesse bibliche?
Come mai sentiamo desideri di Pienezza, poi il tuffo nel nulla?
Dov’è l’Amore e l’onnipotenza di Dio? E il Risorto, vita dell’Eterno presente fra noi? La sua stessa vita non ci è stata già donata?
L’evento della morte sconcerta, e quella di un amico di Dio in comunità [Betania] forse accentua gli interrogativi sul senso del nostro credere e impegnarci a fondo.
Per quale motivo nel momento del massimo bisogno, il Signore lascia che cadiamo? Perché sembra non esserci (v.21)?
Tuttavia comprendiamo che riuscire a portare avanti un’interminabile vecchiaia non sarebbe una vittoria sulla morte.
La credenza delle antiche culture è che quando gli dèi formarono l'umanità le attribuirono morte, e trattennero per sé la vita.
Chiunque fosse andato alla disperata ricerca della mitica erba che rende giovane il vecchio doveva rassegnarsi: morire significava partire per un paese senza ritorno.
Lasciando perire anche i suoi più cari amici, Gesù ci educa: non è sua intenzione procrastinare l’esistenza biologica (vv.14-15), né semplicemente migliorarla un pochino.
Cristo non è un ‘medico’ che viene a dilazionare l’appuntamento con la morte, bensì Colui che vince la morte - perché la trasforma in una Nascita.
Del resto, una vita davvero autentica, umana e umanizzante, ha necessità di guardare in faccia la nostra condizione.
Salute e vita fisica sono doni che ognuno vuol prolungare, ma che al termine devono essere consegnati, nell’Approdo che non scalfisce più.
Eterna [nei Vangeli, la stessa Vita dell’Eterno: Zoè aiònios] non è questa forma di vita [nei Vangeli: Bìos - magari potenziata] bensì solo i suoi tempi dell’amore forte.
Questa l’autenticità della grazia da chiedere e sviluppare. Perennità cui porgere risposta, condizione unica che non ci dà scacco.
Il Mondo Definitivo non interferisce con il decorso naturale, sebbene esso possa già manifestarsi - nella realtà intima e di coesistenza poliedrica.
Ma tale esperienza superiore [di Alleanza anche coi disagi] si annida unicamente in ciò che è qualità indistruttibile; personale, e nelle micro e macro relazioni.
In particolare, la Comunione: unico segno della forma di Vita che si prende carico ma non vacilla, non ha limiti, e non avrà fine.
Per questo motivo il Signore non entra nel “villaggio” dove altri sono andati a consolare e fare le condoglianze.
Vuole che Maria esca dalla casa dove tutti piangono disperati e porgono cordoglio funebre - come se tutto fosse finito.
Intende tirarci fuori dal “piccolo borgo” dove si crede che la fine terrena possa essere insensatamente solo dilazionata, fino al sepolcro senza futuro.
Ci vuole decisamente fuori dal paesotto dove tutti sono in lutto e restano con la finta consolazione delle pratiche esequiali, ‘sollievo’ condito solo di belle frasette.
La naturale commozione per il distacco non trattiene le lacrime, che spontaneamente «scorrono dagli occhi, scivolano giù» [dakryein-edakrysen].
L’emozione non produce un pianto scomposto e urlato [klaiein] come quello inconsolabile dei giudei [vv.33.35 testo greco; la traduzione italiana fa confusione].
Nessun commiato. Per questo motivo, segue l’ordine di togliere la pietra che a quel tempo chiudeva le tombe (v.39).
Il forte richiamo è assolutamente imperativo: i ‘defunti’ non sono ‘morti’, come credono le religioni antiche; la loro vita prosegue.
«Lazzaro, qui fuori!» [v.43 testo greco]: è il grido della vittoria della vita.
Nell’avventura di Fede in Cristo scopriamo che la vita non ha pietre sopra.
Basta, gemere per situazioni mortifere. Esse ci accostano alle nostre radici, e alla fioritura piena.
E smettiamo di piangere i “morti”!
L’appello che il Signore fa oggi - ancora dopo due millenni! - è che non esiste un mondo inabissato di scomparsi.
Rispetto all’andare sulla terra, i passati a miglior vita non sono ben separati da noi; in luogo a se stante, privo di comunicazione con l’attuale.
Le credenze arcaiche immaginavano infatti che l’Ade o lo Sheôl fosse una grotta buia, intrisa di nebbia, qua e là popolata di larve inconsistenti e vaganti.
Il mondo dei vivi non è separato da quello dei defunti.
«Lazzaro si è addormentato» (v.11), ossia: non è un decaduto, perché gli uomini non muoiono. Essi passano dalla vita creaturale [bìos] alla Vita piena [Zoè].
Il defunto ha lasciato questo mondo ed è entrato nel mondo di Dio, ri-Nato e generato al suo essere autentico, completo, definitivo.
Quindi: «Scioglietelo e lasciatelo andare!».
Insomma, Lazzaro non è semplicemente finito nella fossa, né ben rianimato da Cristo egli si ripresenta in questa forma di vita per un altro tratto… inesorabilmente segnato dal limite.
Nel racconto, infatti, mentre tutti vanno verso Gesù, Lazzaro no.
Non è questo ciò che Gesù può fare di fronte alla morte. Egli non immortala questa condizione, altrimenti l’esistenza continuerebbe ad essere un’inutile fuga dall’appuntamento decisivo.
Ed è ora di finirla di singhiozzare la persona cara: «defunta», non ‘morta’.
Non dobbiamo trattenerla con visite ossessive, memorie tormentate, talismani, condoglianze: lasciamo che esista felice nella sua nuova condizione!
Vita per noi e Vita per coloro che sono già fioriti nel mondo della Pace di Dio - dove si vive appieno: gli uni con gli altri e gli uni per gli altri.
Condizione che in tal guisa possiamo prefigurare, sciogliendo non pochi blocchi intimi, impedimenti esterni, e lacci relazionali; annegati negli umori dell’amarezza, della costernazione, dell’abbattimento:
«Anche oggi Gesù ci ripete: “Togliete la pietra”. Dio non ci ha creati per la tomba, ci ha creati per la vita, bella, buona, gioiosa.
Dunque, siamo chiamati a togliere le pietre di tutto ciò che sa di morte: ad esempio, l’ipocrisia con cui si vive la fede, è morte; la critica distruttiva verso gli altri, è morte; l’offesa, la calunnia, è morte; l’emarginazione del povero, è morte.
Il Signore ci chiede di togliere queste pietre dal cuore, e la vita allora fiorirà ancora intorno a noi.
Cristo vive, e chi lo accoglie e aderisce a Lui entra in contatto con la vita. Senza Cristo, o al di fuori di Cristo, non solo non è presente la vita, ma si ricade nella morte.
Ognuno di noi sia vicino a quanti sono nella prova, diventando per essi un riflesso dell’amore e della tenerezza di Dio, che libera dalla morte e fa vincere la vita».
[Papa Francesco, Angelus 29 marzo 2020]
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Di fronte a un lutto, che atmosfera percepisci in casa, in chiesa, al cimitero, durante le esequie? E le condoglianze, che effetto ti fanno?
Su Betania [prosieguo del passo di Lazzaro]:
Gesù Viene alla Festa, ma da clandestino
(Gv 11,45-56)
Cristo è tutto quello che le feste ebraiche avevano promesso e proclamato.
Esse decifravano autorevolmente, ma in modo incosciente (i vv.47-52 si compiacciono di parole a doppio senso).
Il sommo sacerdote parlava infatti in nome di Dio: interpretava la situazione in modo divinamente ispirato.
In Cristo ci si avviava alla realizzazione della promessa fatta ad Abramo: si chiudeva l’epoca della dispersione degli uomini.
La Croce avrebbe realizzato la vocazione del Tempio: la ricomposizione del popolo e l’unità dell’essere umano dalla terra arida e lontana, nella condivisione e gratuità.
Ma quale poteva essere anche per Gesù il punto di partenza (energetico) per non ritirarsi dentro i limiti del proprio ambiente fin nei dettagli, e attivare un cammino di rinascita?
La comunità di Betania [«casa dei poveri»] è immagine delle prime realtà di fede, indigenti e composte di soli fratelli e sorelle, senza autorità cooptate e preposte. A misura di persona.
Dove si potevano sciogliere quei legami che impedivano di andare oltre il già conosciuto. Senza patriarchi dal controllo tarato, ossessivo e vendicativo - dove non ci si guarda.
Nido di relazioni sane, che riusciva a dare un senso anche alle ferite.
È il solo luogo in cui Gesù si trovava a suo agio, ossia l’unica realtà in cui lo possiamo ancora riconoscere vivo e presente in mezzo - anzi, Sorgente di vita per modesti e bisognosi.
Stride nel passo di Vangelo il confronto con la volgare astuzia dei direttori e la dimensione fuori-scala dei luoghi e feste comandate.
Come se lì nessuna linfa scorresse tra Santità di Dio e vita reale delle persone dimesse.
Malgrado il Maestro compisse il bene - come in tutti i regimi, non mancavano i delatori (v.46).
D’altro canto, buona parte degli abitanti di Gerusalemme trovavano nell’indotto delle attività del Tempio il loro sostentamento materiale.
Figuriamoci se i primi della classe si sarebbero lasciati strappare l’osso di bocca, per andare dietro a uno sconosciuto che intendeva soppiantare l’istituzione ufficiale e le posizioni di privilegio con una utopia disadorna.
Il trono dei prìncipi della Casa fraterna era viceversa privo di cuscini, e la coordinatrice della comunità una donna: Marta [«signora»]. Leader a rovescio, servizievole.
Tutt’Altro che difesa reazionaria di posizioni privilegiate e dell’ordine antico... ancora tutte tensioni al ribasso e a “sistemare” secondo catena di comando, che mai ci danno spunti di vita nuova. Situazione vischiosa che l’iniziativa del cammino sinodale tenta finalmente di scardinare.
Sotto Domiziano queste piccole realtà alternative - sebbene premurose verso i piccoli e lontani - dovettero vivere come Gesù: clandestine.
Pagavano l’unità con la croce. Ma rinnovavano la vita dell’impero.