L’anti-ambizione o la prima fila nel modello dei satrapi
(Mt 20,20-28)
In via non ufficiale, Pio VII ci provò a sollevare il triregno (stile neoclassico, inusuale) regalato da Napoleone, ma i suoi paggi quasi non riuscivano a tirarlo su... per il peso.
Figuriamoci sopportare in testa 8 chili e 200 grammi! Provò tuttavia anche a infilarselo, mentre ovviamente qualcuno lo sosteneva anche di lato [immagina se fosse caduto sulle pantofole rosse].
Ma risultava pure troppo stretto: impossibile ficcarci la testa!
Per dispetto, Bonaparte novello imperatore glielo aveva fatto confezionare in modo che nessun Papa potesse mai fregiarsene; e così fu, l’ironico pezzo da museo.
La formula d’imposizione era: «Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvatore Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli». Amen.
Mentre tra sinfonie e cori qualcuno attendeva proprio il momento della tiara per lagrimare un poco sugli antichi fasti, alla celebrazione della riapertura del Concilio - dopo l’incoronazione - Paolo VI depose definitivamente il triregno sull’altare papale.
Se lo tolse con soddisfazione, non perché fosse poco confortevole (aveva sul capo ben 4 chili e mezzo): in seguito fece anche altri gesti d’inattesa rinuncia con pretese a farsi ossequiare.
Dopo di lui nessun Papa ebbe il coraggio di adornarsene.
Occasione ghiotta: imperdibile per chi aveva vasta esperienza degli ambienti curiali e diplomatici.
Con in pugno le chiavi del Cielo, le briglie della terra e il comando del Purgatorio [le tre corone], il pontefice decise di far salire diverse vampe da sottoterra - per surriscaldare gli strapuntini di qualche carrierista da strascico, abituato a dirigere le anime stando sopra un qualsiasi purchessia tronetto.
Papa Francesco parla esplicitamente del clericalismo come radice di tutti i mali morali della Chiesa [se non ci capita la grazia del principato, non sarebbe male aspirare almeno ai ruoli di coloro che stanno a fianco dei capi: v.21].
Al pari dell’ambizione dei figli di Zebedeo, fra noi è tutto uno sgomitare per un posto al sole - gravissima e radicale carenza, incapace di qualsiasi attività di profezia critica.
Un falso concetto del Regno: per questo l’aereo è spesso fuori rotta, e ciò non depone a favore dei dirigenti ambiziosi, sempre stranamente in gara.
(Mai ridimensionarsi e lasciare che fedeli o confratelli ci considerino degli idioti che non “mietono” e quindi non sanno stare al mondo).
Ufficialmente uniti all’Offerta del Figlio Servitore, di fatto non tutti credono che nella debolezza del credente risalti la Potenza divina e l’autentica Stima che edifica la trama del presente e lancia il futuro.
Altro che sognatori dell’isola che non c’è: a moltissimi sembra più dignitoso presumere di sé.
Meglio pensare che la Croce gloriosa del Cristo sia una parentesi momentanea e tutta unicamente sua, frutto d’un piano prestabilito o di un destino cieco, affinché l’umiliazione del farsi piccoli non ci tocchi.
Dietro le buone maniere, ecco serpeggiare pessime abitudini - e la bramosia, che attraverso privilegi fissi guida le chiese alla perdita di senso e coesione.
Con strascico di vitalizi [prebende e titoli a vita, senza possibilità di ricambio ministeriale, né controlli e riassetto].
Chi mira alla visibilità e ai tronetti non ha alcun interesse reale per le persone, salvo per la sua élite di cooptati.
Pensa calcolando e agisce secondo vanità: mostrando il proprio rango “spirituale”, con artificioso senso dell’onore, e preminenze, arroganza, tornaconto di giro.
Figuriamoci la qualità imperscrutabile di proposte pastorali private della convinzione di un’altra Attesa, illuminante. Talora allestite per un maggior brillare esterno, e autocompiacersi; promuovere numeri, mostrarsi in vetrina, e passerelle.
L’Impero soggiogava il bacino mediterraneo con la forza delle Legioni. Attraverso una vasta base di schiavi e tributi, esso concentrava titoli e ricchezze in mano a piccole cerchie - con abuso di potere e coercizioni.
Il nuovo Regno dev’essere germe di società alternativa.
E quando l’archetipo della Chiesa piramidale salterà, vittima delle sue contraddizioni interne, dovremo essere pronti a porgere alle persone un modello di convivenza che non si disintegri più [coi suoi stessi boomerang].
Il perno sarà riappropriarsi di una sorta di sintesi della vita di Gesù per farla propria, come espressa nel v.28.
Sono qui enunciati tre titoli che hanno dato inizio alla Cristologia:
«Figlio dell’uomo» è Colui che ha manifestato l’uomo nella condizione divina: pienezza di umanità che riflette e rivela la stessa vita intima di Dio.
Figura di una “santità” accessibile e trasmissibile, tutta incarnata - perfino sommaria.
Figlio dell’uomo è infatti lo sviluppo autentico e pieno della persona secondo il Sogno attivo del Padre, che spazza via il «Giogo» ossessivo della Religione comune - dilatando la vita (e i confini dell’ego).
Nell’adesione al «Figlio dell’uomo» siamo introdotti come protagonisti nella storia della salvezza.
Collaboratori nell’apice della Creazione - ossia nel processo dell’amore. E veniamo distaccati dal pre-umano delle competizioni [condizione belluina per brama di supremazie].
«Servo» di Yahweh: Giusto che patisce pene d’Amore, per farci salvi - icona della forza dimessa e sapiente del Padre che attraverso i figli si palesa non come vincitore, ma al pari di agnello mansueto.
Icona sacrificale - nel senso antico di «sacrum facere», rendere Sacro - per risollevare un popolo incapace di andare a Dio attraverso i fratelli.
Nel giudaismo la morte del giusto - persino nella dimensione giuridica della Torah - era pari a un riscatto, già inteso come riparazione-espiazione per la moltitudine (v.28) dei colpevoli (cf. Is 53,11-12).
In Cristo svanisce il meccanismo vicario: il Padre invia il Figlio non come vittima esterna o propiziatoria, necessaria e predestinata, bensì per farci riflettere, primo passo della umanizzazione.
Così recuperando la dimensione di consapevolezza e Comunione [ossia convivialità delle differenze].
Quindi: unico titolo di “preminenza” resta quello di «Go’el»: farsi (ciascuno) «Parente prossimo» che si accolla ogni debito per il riscatto altrui, per il ripristino in dignità personale e totale possesso di sé.
Piena fraternità con la donna e l’uomo di ogni condizione dovrebbe essere il programma crescente dell’apostolo.
Insolito strumento di “eccellenza“ o “eminenza” - eppure francamente sapienziale, secondo natura:
Anche il Tao Tê Ching (LII) afferma: «Illuminazione, è vedere il piccolo; forza, è attenersi alla mollezza».
Malgrado la sproporzione, solo questo rivolgimento di Volto sta al centro della storia e non abbassa Dio al livello del banale dominio.
Capovolgimento e Libertà che si fa programma permanente di solidarietà fattiva, e stimola il fervore.
Principio determinante del nuovo Regno, dove non si rincorrono ambizioni.
Piuttosto, si condivide la sorte del Maestro, ossia «bere il medesimo Calice» (vv.22-23) e il destino di realizzazione altrui, anche paradossale.
In Cristo, il popolo della Chiesa-Famiglia procede verso Gerusalemme, senza meriti né funzioni che accampino un diritto - ma con le chiavi della vita.
È così che ci si trova concretamente «a destra e sinistra» (vv.21.23) del regale Crocifisso - e nell’Unione mistica col Risorto piagato.
Salendo assieme.