Sacerdotale, diversa resilienza
(Gv 17,20-26)
Gv cerca di chiarire la nostra aspirazione universale, e penetrare il modo in cui il Signore si fa presente nei discepoli dopo la Pasqua, affinché il mondo di lassù si avvicini e inondi, irrompa nel nostro.
Il Cielo ha influsso, esorta e trasforma radicalmente l’esistenza pratica.
Sulla terra possiamo avere un’esperienza diretta e tutta reale di Dio, nella vetta del discepolato e della sequela, anche non immediati.
Al termine della Preghiera sacerdotale, in Gesù emerge una preoccupazione saliente: quella ‘eucaristica’ per eccellenza.
L’attesa ebraica del Messia diventa attesa dell’Unità [non psicologica e banale, bensì Dono dall’alto].
Sul tema della Gloria, gli apostoli non devono fare confusione.
Veicolo della Gloria è l’amore e l’ineludibile fare festa insieme - proprio come nella Eucaristia: lo stesso Oro divino che torna ad affiorare ed essere offerto ancora.
In forma orante, il Signore fa memoriale di tutti coloro che nel corso della storia crederanno in Lui, attraverso la parola e la testimonianza dei discepoli, i quali si faranno centro d’attrazione e unione.
A differenza delle religioni antiche, Egli vuole che la vita di Fede si caratterizzi non per una “verità” che si ha, ma per la “verità” che si fa.
Il peso della manifestazione divina non dev’esser più rintracciato in formule e dogmi corretti: le dispute inaspriscono.
La dimostrazione di Dio di fronte all’umanità non può stare in un codice esterno che renda tutti dipendenti, facendo tabula rasa delle eccentricità sognanti.
Non testimoniamo l’Immenso sulla terra nelle capacità d’intendere e volere coerenti secondo procedura.
Per formulare definizioni basta mettere in campo energie intellettuali.
Per difendere, promuovere e rallegrare la vita, bisogna essere animati dallo stesso Spirito di Dio, nella sua opera d’Unità primaria.
L’amore terreno che la riflette non è più capacità, bensì possibilità.
In tal guisa, il Nucleo divino nel suo peso specifico non ha nulla d’immediatamente appagante e trionfale; viceversa, molto di servizievole e liberante.
Se la Chiesa contempla e mostra la Gloria del Cristo, è perché ha saputo collocarsi nel punto che gli spetta, sino a dare vita e sostanze: ‘giudicando’ pure la realtà, ma dal criterio della Croce (cf. v.24).
L’amicizia insomma che svela ciò ch’è celeste e primale [non passeggero e causale] non sta nel sapere, concatenare, riprodurre; nell’affermare, o rinunciare; neanche nel farcela… a parare i colpi e avanzare.
Non basta neppure una forma di “giustizia” che dia a ciascuno il suo - perché di divisione in divisione essa infrangerebbe la concordia: summum jus summa iniuria; jus summum saepe summa est malitia.
Ciò sgretolerebbe ogni salda intesa poliedrica - e se portata sino in fondo, condurrebbe alle peggiori ingiustizie.
Anche per i futuri pellegrini in Lui, Cristo chiede a Dio la Comunione - convivialità delle differenze: non nella forma unilaterale, ma da cui prendere senso.
L'Unità prioritaria cui tiene, è quella che s’introduce trasmettendo la reciprocità divina tra Padre e Figlio.
Essa affiora proprio mentre lasciamo agire in noi il fermento che ci costituisce fratelli, suo Corpo.
Affinché il mondo creda che Gesù è l’Inviato, gli amici devono essere nel Figlio e nel Padre - come il Figlio è nel Padre e il Padre nel Figlio.
Da tale relazione, cementata d’intima immanenza, tutte le nostre unioni prendono il loro vero senso; peso, trasparenza, passaggio, e sviluppo.
Fraternità che realizzano Redenzione nella storia, grazie a una sinergia tollerante.
Ogni persona può essere nell’altra, solo nella condivisione d’amore “artigianale”.
Questa è la manifestazione [gloria] del divino: una mutua inabitazione, che faccia Corpo Unico - altrimenti non si è credibili. Come non sarebbe credibile l’incarnazione di Dio nel Cristo.
La fede è trasmissione della gloria autentica: Fede e Gloria commisurano tale concatenazione di partecipazioni.
E Padre «giusto» (v.25) si riferisce alla distinzione tra mondo e le piccole assemblee di adesione scambievole dei primi tempi, unici luoghi in cui si poteva percepire vita.
Solo nella reciprocità riflesso dell’Uno sorgivo si viveva intensamente.
L’esperienza dell’Unità in Dio - segno più inconfutabile della sua Presenza - fu davvero profonda nelle comunità giovannee.
Quelle assemblee autentiche erano un ambiente che aiutava a valorizzare i lati nascosti.
In tali chiese senza preclusioni si svelava il fascino di quei versanti dell’Unicità che dal mondo consuetudinario venivano valutati al pari di squilibri e difetti, invece che opportunità di arricchimento particolare: umano, culturale, spirituale - e Chiamate personali.
La nota che rende riconoscibile l’assemblea dei figli è appunto il divenire Uno nella Sorgente dell’essere - non il permanere uniformi.
Gloria dei primordi.
Una Gloria diversa, che recupera gli opposti e non persegue doppiezze (magari utilizzando il nome di Dio a paravento e voltagabbana).
Per tutelare i suoi da timori di rappresaglie organizzate e persino sacrali [cartina al tornasole della bontà di valori e scelte] Gesù si preoccupa di far comprendere a quale livello di realizzazione e considerazione guidasse i discepoli.
La Trinità è unica Fonte zampillante; motivo, energia, e motore - vero punto di forza, che dà stimolo, forma, colore, alle situazioni più svariate e persino al rifiuto.
È da mettere in conto che sorgano antipatie, tentativi d’irrisione e peggio, verso chi estende l’orizzonte.
Superficiali e vanitosi installati non meritano credibilità alcuna. Ma non ci stanno a farsi smascherare. E certo non rinunciano a posizioni contraffatte, sulle quali viceversa insistono volentieri.
Vale anche per gli steccati costruiti ad arte in secoli di lotte, addirittura fra denominazioni cristiane.
Comparandone la storia di assurdi conflitti, questo Vangelo sembra dire: nessuna di loro ha davvero fatto esperienza del Padre.
Nessuna di loro ha visto e capito il volto dell’altra, se non per l’allestimento d’una identità do norma artificiosa, costruita sulla più banale contrapposizione.
Come ha suggerito Papa Francesco, tutto ciò a copertura d’interessi venali e fatue superbie; null’altro.
D’altro canto, gli uomini di oggi come di allora - vedendo una Chiesa non conflittuale, serva e povera - contemplerebbero il Crocifisso.
Avrebbero esperienza della Gloria divina.
Ecco la preghiera sacerdotale di Gesù - che genuinamente travalica i secoli; contemporanea senza ruga alcuna.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa pensi del dialogo ecumenico e interreligioso? Ti arricchisce o demoralizza?
Ritieni che sia la Chiesa opaca e trionfante a farci contemplare il Crocifisso, o quella trasparente e povera?