Scintilla di bellezza e umanesimo, o senza futuro
(Gv 8,12-20)
In tutte le religioni il termine Luce viene usato come metafora delle forze del bene.
Sulla bocca di Gesù [presente nei suoi intimi] il medesimo vocabolo sta a indicare un compimento dell'umanità (persino dell’istituzione religiosa) secondo il progetto divino, riconoscibile nella sua stessa Persona.
La distinzione fra Luce e tenebra in Cristo non è in qualche modo paragonabile al binomio dualista più convenzionale - circa il bene e il male. L'attività del Creatore è poliedrica.
Il termine evangelico dunque non designa alcuna staticità di giudizio fisso su quanto viene usualmente valutato come “fiaccola” oppure “ombra”, “corretto” o “sbagliato” e così via.
C’è spazio per nuove percezioni e rielaborazioni. Né siamo chiamati sempre a lottare contro tutto il resto, e le passioni.
Le classiche valutazioni morali, devote o religiose generali vanno superate, perché restano in superficie e non colgono il nocciolo dell’essere e del divenire umanizzante.
Non di rado le cose più preziose sorgono proprio da ciò che disturba il pensiero omologato.
La stessa mente che crede di stare solo nella luce è una mente unilaterale, parziale, malata; legata a un’idea, quindi scadente.
Dio sa che sono le incompletezze a lanciare l’Esodo, possono essere le insicurezze a non farci sbattere contro i modelli… i quali ci fanno perdere ciò che siamo.
Le energie che investono la realtà creata hanno infatti una radice potenziale del tutto positiva.
I tramonti preparano altri percorsi, le ambivalenze danno il “la” a recuperi e crescite impossibili.
«Luce» era nel giudaismo il termine che designava il cammino retto dell'umanità secondo Legge, senza eccentricità né declino.
Ma con Gesù non è più la Torah che fa da guida, bensì la vita stessa [Gv 1,4: «La Vita era la Luce degli uomini»] che si caratterizza per la sua difforme complessità.
Così, anche il «mondo» - ossia (in Gv) anzitutto il complesso dell’istituzione (tanto pia e devota) ormai installata e corrotta: essa deve tornare a una Guida più sapiente, che rischiari l’esistenza reale.
L’appello che la Scrittura ci rivolge è molto pratico e concreto.
Ma nei contesti dotati di una forte struttura di mediazione fra Dio e l’uomo, la spiritualità spesso inclina al legalismo degli adempimenti consueti.
Gesù non è per le grandi parate, né per soluzioni che ammantino la vita della gente di misticismo, fughe, riti o astinenze.
Tutto questo è stato forse anche il tessuto di buona parte della spiritualità medievale - e quella assidua, rituale e beghina dei tempi andati.
Ma nella Bibbia i servitori di Dio non hanno l’aureola. Sono donne e uomini inseriti normalmente nella società, persone che conoscono i problemi del quotidiano: il lavoro, la famiglia, l’educazione dei figli...
I professionisti del sacro invece cercano di mettere un bel vestitino a cose assai poco nobili - talora a menti astute e cuori perversi. Coltivati dietro il magnificente perbenismo dei paraventi e degli incensi.
Per fare ciò, Gesù capisce di dover cacciare fuori sia mercanti che clienti (Gv 2,13-25) e soppiantare i bagliori fatui del grande Santuario.
Durante la festa delle Capanne, nei cortili del Tempio di Gerusalemme si accendevano enormi lampioni.
Uno dei riti principali consisteva nell’allestire una mirabile processione notturna con le faci accese - e nel far rifulgere le grandi lampade (esse sopravanzavano le mura e illuminavano tutta Gerusalemme).
Era il contesto adeguato per proclamare la Persona stessa del Cristo quale autentica Parola sacra e umanizzante, luogo dell’incontro con Dio e fiaccola della vita. Nulla di esterno e retorico-tutto-apparenza.
Ma in quel “mondo santo” segnato dall’intreccio fra epopea, religione, potere e interesse, il Maestro si staglia - con evidenza contraria - proprio nel luogo del Tesoro (baricentro reale del Tempio, v.20) come vero e unico Punto estremo che squarcia le tenebre.
Il Signore invita a fare nostro il suo stesso cammino acutamente missionario: dal sacrario di pietra al cuore di carne, gratuito come quello del Padre.
Appello limpido e Domanda intima che mai si spegne: la sentiamo ardere viva senza consumarsi.
Non c’è da temere: l’Inviato non è solo. Non testimonia se stesso, né le proprie manie o squilibri utopici: la sua Chiamata per Nome si fa Presenza divina - Origine, Cammino, “Ritorno” autentico.
Sembriamo dei pellegrini ed esiliati che non sanno stare al “mondo”? Ma ciascuno di noi è (nella Fede) come Lui-e-il-Padre: Maggioranza schiacciante.
Per Fede, nella Luce autentica: Aurora, Sostegno, Amicizia e balzo inequivocabile, invincibile, che squarcia le caligini.
Sprizza dal nucleo, assumendo le stesse ombre e rinascendo; portando i nostri lati oscuri accanto alle radici.
Luogo intimo e tempo (fuori di ogni età) da cui scatta la Chiesa in uscita: eccola dai monili e dalle sagrestie, alle periferie... Scintilla di bellezzza e umanesimo, o senza futuro
E dalla società sacrale dell’esterno, alla Perla nascosta che genuinamente connette il presente col “senza tempo” del Gratis - anche se qua e là mette in crisi tanta teologia dal significato precettistico, avido e furbetto, non plurale né trasparente.
In fondo, tutto semplice: il benessere pieno e l’integrità dell’uomo sono più importanti del “bene” unilaterale della dottrina e dell’istituzione - che la propugna senza neanche crederci.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In quali situazioni mi considero “Testimone”?
Cosa è fiaccola ai miei passi? Chi è la mia Luce Presente?