La stanza della Felicità, nell’orizzonte decisivo
(Lc 12,54-59)
«Ora, perché non giudicate anche da voi stessi ciò che è giusto?» (v.57).
Dalla natura e dagli accadimenti bisogna saper trarre lezione - anche per l’orizzonte del Mistero.
In Cristo abbiamo capacità di pensiero e veniamo fatti autonomi: dall’esteriorità delle cose siamo riportati all’Origine di quanto accade.
L’appello di Gesù sui Segni del Tempo fu il testo ispiratore di Papa Giovanni per la convocazione del Concilio Vaticano II, affinché fosse la Chiesa finalmente a interrogarsi, prestando maggiore attenzione alle Chiamate di Dio nella storia e alle speranze dell’umanità.
La sicurezza autocelebrativa e la pompa delle grandi forme avevano attenuato il sentimento ardente e l’entusiasmo liberatorio del Risorto.
La prevedibilità non faceva cambiare passo spirituale; in ciascuno, il suo pronosticare non concedeva all’anima di vedere lontano.
Le certezze dei codici spegnevano la carica e facevano sì che i fedeli si lasciassero travolgere solo dalla routine e dai problemucci.
Anche oggi, le sicurezze di struttura e di circostanza - tutte stabilite - affievoliscono lo sbocciare nel presente; non consentono di percepire e vivere ciò che si fa Evento.
I luoghi comuni sono capaci di spostare la Vocazione dal magico territorio dove sorge (e bussa dentro), volgendola a una quotidianità sacramentale tutta pronosticabile - approvata dal contorno sociale o ecclesiale consolidati sul territorio.
Invece, il nostro Eros fondante va speso adesso e in uscita, perché vive di passioni, non di stallo; poggia sul desiderio e sulle complicità con lo Spirito, che col suo Fuoco rinnova la faccia della terra.
Ma esso si spegne se ci lasciamo trascinare da valutazioni ponderate circa le forze in campo: calcoli dare-avere, situazionalismi opportunistici... perfino propositi altrui, o puristi, e di circostanza.
Lo slancio convinto e personale impallidisce nelle forzature, nella programmazione, nelle ossessioni di controllo e nelle verifiche, senza svolte decisive - come se fossimo all’asilo.
L’Amore infatti non è mai secondo aspettative o convinzioni concatenate, normali, senza nuove soddisfazioni da sbigottimento - né ricalca idee di massa distratta da soliti pensieri conformisti, che inaridiscono lo sguardo.
Le convinzioni mai vagliate né sottoposte a prova collocano gl’impeti caratteriali su binari morti.
Le certezze inculcate generano vie che girano attorno, sospendono l’accorgersi, affievoliscono ogni capacità di percepire possibilità del mondo interiore; nonché le occasioni di comunione.
È il cuore che vede le minime possibilità. Le coglie su interrogativi perenni in rapporto di reciprocità col senso della vita presente.
E Gesù vuole che la nostra pianta ributti ancora nuove foglie, tutte verdi (non stagionate).
Non muffa: ciò che riteniamo ci appartenga, è già perso.
Allora l’invito alla Conversione - invece di arenare l'anima e il pensiero su modelli antichi o utopie astratte, unilaterali - rende attenti al poliedro dell’Amicizia con se stessi, con i fratelli anche lontani, e tutte le cose, ora.
Mondo di relazione che nulla ritiene irrilevante - e può farci arricchire (sbloccati) con difformità avventurose, fresche, vivaci, le quali si affacciano da libere energie che non vogliono la vita standard, né troppo il legame dei ricordi, bensì il mutamento radicale, insieme.
Come sottolinea l’enciclica Fratelli Tutti: «questo implica la capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere se stesso e di essere diverso» (n.218).
Mutamento radicale è… non pensare solo al consenso veloce, al proprio tornaconto prossimo (addirittura banale) che in fondo non desideriamo davvero - e sappiamo non funziona: non modificherebbe nulla.
Tale Appello intimo e sociale dev’essere colto immediatamente, qui e adesso, sino a che dura il tempo umano di grazia - momento di Dio a nostro favore.
L’Attimo per scoprire i contenuti e non lasciarci frastornati, la chance presente, lo spirito del pellegrino, il riconoscimento delle culture... hanno un carattere decisivo per l'evoluzione della vita nello Spirito.
Essa non poggia sul protagonismo codificato, arruolato, che sa già dove arrivare - e così incaglia, adegua, ci perde di vista, rende interdetti; miete vittime d’illusioni, di attriti esterni; intossicando la strada d’approcci muscolari e pensieri.
Cose caduche, come ad es. l’idolo fisso e poco affascinante che spesso pedina le anime: il “ciò che abbiamo ottenuto” - coi suoi traguardi conformisti, le promozioni strappate, gli altri che ci guardano...
I complimenti fuori non riportano l’io e il tu alle Radici, né esplodono per il vero futuro, quello da vivere intensamente, che farà vibrare.
L’«Attimo presente» è semplicemente la porta da aprire per introdursi nella stanza dell’energia felice, che permane magmatica - dono incessante, “unzione” e Visione che non sappiamo.
Stupore che invita e conduce ben oltre l’aspetto omologante, unilaterale, codino - di frastuono, cliché, tatticismo, o età altrui da riprodurre.
«Teatranti! L’aspetto della terra e del cielo sapete discernere, ma questo tempo come non sapete discernere?» (Lc 12,56).
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi la tensione fra visione del genio del tempo e momento presente?
Quale relazione cogli fra Promessa di Dio e nostre speranze?
Fede e segno dei tempi
La Fede non è una sorta di oggetto né una ideologia (che si può avere o meno), bensì una Relazione.
Essa procede da un Dio che si rivela, c’interpella e chiama per nome.
Il suo Volto variegato e ricco non collima col pensiero comune, ma intercetta il nostro desiderio di pienezza di vita, e in tal modo ci corrisponde e conquista.
Non si tratta di una vicenda puntuale, ma che zampilla e procede di onda in onda nel corso dell’esistenza – con tutto il carico delle sue sorprese nel tempo [esse di quando in quando contestano, sabotandoci, o sbalordiscono].
In detto rapporto, la Fede che appunto nasce dall’ascolto si accende quando l’iniziativa del Padre che si manifesta e svela in una proposta che viene a noi, è accolta e non rifiutata.
Nell’evoluzione, tale dinamica stabilisce una Presenza invisibile nel Sé celato, fuoco inestinguibile del nostro Eros fondante; Eco percepibile – anche nel genio del tempo, nei solchi della storia personale, nelle pieghe delle vicende e relazioni, consigli, valutazioni opposte e persino fratture.
La Relazione di Fede ha diversi approcci. Un primo stadio è quello della Fede Assenso: la persona si riconosce in un mondo di saperi che gli corrisponde. È un livello assai dignitoso, ma comune a tutte le religioni e filosofie.
Scrutando la Parola, si comprende che lo specifico della Fede biblica riguarda assai più l’esistere concreto che il pensiero o la disciplina: ha un carattere diverso dai codici, è Sponsale.
La Fede già nel Primo Testamento è tipicamente quell’affidarsi della Sposa [in ebraico Israèl è termine di genere femminile] che ha piena fiducia nello Sposo.
Sa che poggiando sul Dio-Con fiorirà autenticamente e godrà di pienezza di vita, anche passando tra vicende spiacevoli.
La Fede vissuta nello Spirito del Risorto gode di altre sfaccettature, decisive per dare colore al nostro andare nel mondo e alla nostra maturazione piena e gioia di vivere.
[In tutto è fondamentale sia l’ascolto della Sacra Scrittura, che il passare dalla ridda di pensieri che frammentano il nostro occhio interiore alla percezione, ossia a uno sguardo contemplativo, che sappia posarsi su noi stessi e le cose].
Il terzo passo della fede cristologica è appunto una sorta di Appropriazione: il soggetto s’identifica e – sicuro della reciprocità amicale sperimentata nei Doni – s’impossessa del cuore mite e forte del Signore con un colpo di mano e senza alcun merito prescritto.
Citando s. Bernardo, Alfonso Maria de’ Liguori afferma: “Quel merito che manca a me per entrare nel Paradiso, io me l’usurpo da’ meriti di Gesù Cristo”. Nessuna trafila o disciplina dell’arcano.
Attenzione: non si tratta di “prove” di sostituzione vicaria, come se Gesù avesse dovuto colmare un debito di peccati, perché il Padre aveva bisogno di sangue e di almeno uno che la pagasse cara.
La persona si rende intima al Cristo non semplicemente con un credere comune, ma con una azione interiore personale.
Dio ci recupera educandoci.
È vero che inviando un agnello in mezzo ai lupi la sua fine è segnata. Ma è anche l’unico modo per insegnare agli uomini – ancora in condizione preumana – che quella della competizione non è vita da persone, ma di bestie feroci.
L’agnello è l’essere mansueto che fa riflettere persino i lupi: solo appropriandosene completamente, le belve si accorgono di essere tali.
Così possiamo cominciare a dire: “Io” da uomini invece che bestie.
Certo, solo le persone conciliate con la propria vicenda fanno il bene. Ma il meglio autentico e pieno è fuori della nostra portata; non produzione propria. Non siamo onnipotenti.
Una ulteriore tappa del percorso della vita in Cristo e nello Spirito è quella della Fede-Calamita.
Anch’essa si configura come un’Azione, perché l’anima-sposa legge il segno dei tempi, interpreta la realtà circostante e le proprie inclinazioni. E cogliendo la portata del Futuro, lo anticipa e attualizza.
Così evitiamo di sprecare la vita a sostegno di rami secchi.
Ma lo stadio ultimo e forse ancor più perfetto (direi la vetta) di tale Fede-Innesco, è quello della Fede-Meraviglia.
Essa è il credere specifico dell’Incarnazione, perché riconosce proprio i Tesori che si nascondono dietro i nostri lati oscuri.
Tali Perle scenderanno in campo nel corso dell’esistenza [faranno quel che devono quando sarà necessario] e sarà uno stupore scoprirle.
Il bozzolo bucato genererà la nostra Farfalla, che non è costruzione omologata a dei prototipi, ma Sbalordimento.