(Lc 11,5-13)
Venir meno senza venir meno. Lotta: incessante, efficace, con noi stessi e con Dio
A volte mettiamo il Padre sul banco degli imputati, perché sembra lasciar andare le cose come le orienta la nostra libertà.
Ma il suo Disegno non è far funzionare il mondo alla perfezione dei transistor (di una volta) o dei circuiti integrati (nei rispettivi “package”) o “chip” [vari “pezzetti”]…
Dio vuol farci acquisire una mentalità da Nuova Creazione. La sua Azione ci modella sul Figlio, trasformando progetti, idee, desideri, parole, comportamenti standard.
All’inizio forse la preghiera può sembrare venata di sole richieste. Più si procede nell’esperienza dell’orazione nello Spirito del Cristo, meno si chiede.
Le domande si attenuano, sino a cessare quasi del tutto.
I desideri di accumulo, o rivalsa e trionfo, lasciano il posto all’ascolto e alla percezione.
L’occhio che penetra si accorge di quanto è a portata di mano e dell’inusitato - nell’accoglienza sempre più cosciente, che si fa contemplazione e unione reali.
Non sappiamo quanto tempo, ma il “risultato” subentra improvviso: non solo certo, bensì sproporzionato.
Ma come estratto da un processo d’incandescenza continua, dove non esistono reti logiche, né facili scorciatoie.
Riceviamo il Dono massimo e completo. E possiamo ospitarlo con dignità. Una nuova Creazione nello Spirito, un diverso aspetto.
Un Volto insperato - non semplicemente quello fantasticato o ben sistemato (come trasmesso dalla famiglia o atteso a contorno).
Dio lascia che gli eventi seguano un loro corso, apparentemente distante da noi; quindi la preghiera può assumere toni drammatici e suscitare l’irritazione - come fosse una disputa aperta fra noi e Lui.
Ma Egli sceglie di non farsi garante dei nostri sogni esterni. Non si lascia introdurre nei limiti piccini.
Vuole coinvolgerci in ben altro che le nostre mète, di frequente troppo conformi a quello che abbiamo sotto il naso.
Inventa orizzonti dilatati, ma in questo travaglio dev’essere chiaro che non bisogna venir meno a noi stessi. Ossia al carattere della nostra essenza e vocazione.
Tutto ciò, proprio venendo meno a noi stessi - ossia cedendo il punto di vista rigido e dialogando coi nostri strati profondi.
Tale processo sposta l’accento condizionato.
Non è che Dio si compiace di farsi senza posa pregare e ripiegare dai poveretti.
Siamo noi ad aver bisogno di tempo per incontrare la nostra stessa anima e lasciarci introdurre in un altro genere di programmi che non siano conformisti e scontati.
Leggere gli accadimenti secondo visioni totalmente “inadeguate”, eccentriche o eccessive, meno contratte dentro le solite armature (e così via) può aprire la mente.
L’espansione dello sguardo accresce l’intuizione, modifica i sentimenti, trasforma, attiva. Coglie altri disegni, spalanca differenti orizzonti - con risultati intermedi già prodigiosi, sicuramente imprevedibili.
Quando qualcuno crede di aver capito il mondo, già si condiziona auspici ulteriori, più intensi, che vorrebbero invadere il nostro spazio.
Questa “natura” artificiale di assetti spuri, esterni o altrui, blocca l’itinerario che va verso la natura del carattere, la vera chiamata e missione personale.
La preghiera dev’essere insistente, perché è come una visuale posata su di sé; non come avevamo pensato: autenticamente.
L’occhio interiore serve a fare una sorta di spazio sgombro e individuale dentro, che apre alla nostra e altrui Presenza, tutta da guardare (nel modo che conta).
Sarà il più sapiente, forte e affidabile compagno di viaggio… che porta la nostra identità-carattere e non tira altrove l’io essenziale della persona.
Lo svuotamento consapevole dalle cianfrusaglie accatastate (da noi stessi o altri) dev’essere colmato nel tempo mediante una intensità di Relazione.
Ecco il dialogo-Ascolto interpersonale con la Fonte dell’essere.
In essa è annidato il nostro Seme particolare: lì è come seduta e in fieri la differenza di volto che ci appartiene.
Sarà la profondità radicale del rapporto con la nostra Radice - forse smarrita in troppe aspettative regolarissime, anche elevate o funzionanti - che conferisce un’altra Via, più convincente.
E farà scoprire la tendenza e destinazione unica che ci appartiene, per la Felicità che non pensavamo.
Obbiettivi, propositi, discipline, memorie del passato, sogni di futuro, ricerche dei punti di riferimento, valutazioni abitudinarie di possibilità, cumuli di merito... talora sono zavorre.
Essi distraggono dalla terra dell’anima, dove il nostro grano vorrebbe attecchire per divenire ciò che è in cuore.
E dal Nocciolo far comprendere la proposta di Missione ricevuta - non conquistata, né posseduta - affinché conceda un’altra caratura prodigiosa (non: visibilità).
Spesso il sistema mentale e affettivo si riconosce in un album di pensieri, definizioni, gesti, forme, problemi, titoli, mansioni, personaggi, ruoli e cose già morte.
Tale morfologia d’interdizione smarrisce il presente autentico, dove viceversa attecchisce il Sogno divino che completa - realizzandoci nella specificità.
Allora, ecco la terapia dell’assoluto presentimento nell’Ascolto - della non pianificazione; a partire da ciascuno.
Ciò nella lacuna consapevole di quella parte di noi che cerca sicurezze, approvazioni, e asseconda banalità.
Attraverso il dialogo incessante col Padre nell’orazione, facciamo spazio alle radici dell’Essere, che (nel frattempo) ci sta già colmando di visuali e occasioni per una sorte differente.
Riattivando la carica esplorativa soffocata negli ingranaggi, creiamo la giusta intercapedine e ripartiamo nell’Esodo.
Accontentarsi, fermarsi, installarsi in un punto, tramuterebbe le conquiste anche qualitative in una terra di nuove schiavitù.
Obbligherebbe a recitare e ripercorrere tappe ormai acquisite - che viceversa siamo per vocazione richiamati a valicare.
Esodo… all’interno di una Relazione sorgiva, cosmica e identificativa, singolarmente fondante.
Grazie all’Ascolto protratto nella preghiera, noi figli acquisiamo il sapere dell’anima e del Mistero.
Dimoriamo a lungo nella Casa della nostra essenza molto speciale.
Così la piantiamo - o radichiamo ancor più a fondo - per capirla e recuperarla completamente, nitida e colma.
Ormai affrancata dal destino tracciato in ambiente di ristrettezze, già segnato ma privo di sogni.
Quando saremo pronti, l’Unicità scenderà in campo con una nuova soluzione, anche stravagante.
Essa partorirà ciò che siamo davvero, al meglio - dentro quel caos che risolve i veri problemi. E di onda in onda balzerà a Traguardo.
Via le definizioni e aspirazioni da nomenclatura, in una sorta di venir meno di noi stessi - in uno stato “scarico” ma colmo di energie potenziali - daremo spazio al nuovo Germe che la sa più lunga di tutti.
Già qui e ora la nostra Pianta caratteristica e inconfondibile vuole sfiorare la condizione divina.
La preghiera continua [ascolto e percezione, non saltuari] scava e smaltisce in questo spazio il volume dei banali pensieri ridondanti.
In tale interstizio e “vuoto” si spalancano opportunità. Si crea la pulizia interiore affinché giunga il Dono - non di seconda mano.
Vogliamo una decisiva conversione? Desideriamo il richiamo alla totalità dell’esistenza umanizzante, senza limitazioni e nella nostra unicità?
[Allora l’azione divina può raggiungere chiunque? Attecchisce in qualsiasi volto? E come si fa a non spezzarla?].
Perché non ora il nuovo inizio? La preghiera e il “nuovo pieno” dello Spirito diventano per noi - figli in fase di crescita - il latte dell’anima.