Andare su e andare giù, andare oltre o retrocedere
(Gv 3,13-17)
Niente da fare, malgrado due millenni di simboli, formule e riti cristiani, soprattutto in Italia restiamo al solito palo: guelfi contro ghibellini; persino mentre incombe un destino traballante.
Come mai una fede così ripiegata e incapace di liberare da puntigli occasionali? Perché - pur incamminati verso una montagna di debiti - continuiamo a comportarci come coloro che non smettono di papparsi a vicenda?
Abbiamo bisogno di una bella Conversione, con le piramidi rovesciate del “primato” e della gloria: arroganti, aggressivi, intransigenti e aitanti che divengono umili, miti, benevoli e deboli.
Non aver mai bisogno? Avere un gran bisogno! Motivo in più per aggrapparci al Crocifisso.
Del resto, uno dei primi compagni di Francesco - fra’ Egidio - diceva: «La via per andare in su è andare in giù». Ci chiediamo: qual è il senso di tale paradosso?
La festa di oggi ha il titolo di Esaltazione (o Invenzione - derivante dal latino: ritrovamento). Il Vangelo parla invece di «Innalzamento».
Certo, sinonimo di farsi vedere e notare, ma sotto una «specie contraria». Dunque, come elevare la vita fissando Gesù crocifisso? Il passo di Nicodemo suggerisce una risposta.
Il dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio è «nella notte»perché diseducato all’idea normale di uomo riuscito: se Dio è “qualcuno”, anche il seguace… gli deve somigliare negli attributi di possesso, potenza e gloria.
Tuttavia giunge il momento in cui anche il costume popolare o teologico e l’antiquato modo di vedere le cose viene scosso dal dubbio, dall’alternativa di Cristo.
Davvero la persona ch’evolve è quella che s’impone? Sul serio l’uomo riuscito è quello che sale sugli altri - trattati a sgabello - o non sarà per caso colui che ha la libertà di scendere per farci respirare?
Tutto con spontaneità e fluidità, non sforzo: imporsi scalate di rinuncia e dolore non è terapeutico e non estrae da noi il meglio. Anzi ci separa da quella plasticità e semplicità che producono nel mondo le cose migliori.
La Croce non è una disciplina di purificazioni standard, del tipo: voler cambiare vita, mettere a posto i rapporti soffocando le incoerenze che ci appartengono, mettersi in testa di centrare traguardi e farcela (anche spiritualmente) a tutti i costi...
Questi sono i soliti programmi di miglioramento a cliché che spesso non ci rendono naturali, bensì pieni d’artifizio - e non consentono di stare a viso aperto con noi stessi, quindi neppure con gli altri.
In Cristo la Croce apre orizzonti intatti, perché non dà più nulla per scontato. È un nuovo Giudizio, globale e di merito.
Affiorano altre possibilità, le quali ci fanno incontrare il cambiamento che risolve i veri problemi - proprio nell’incedere di vacillamenti sregolati.
Se vissuta nella Fede, la mescolanza pencolante è una realtà profondamente energetica, plasmabile ed evolutiva.
Porta sì in una situazione di caos, disordine nel quale però emerge un migliore rapporto con le azioni e il nostro destino, persino recuperando tutto quanto pensavamo irrealizzabile.
Ciò avviene nell’indeterminazione che ci accosta alla nostra essenza - nei giorni in cui le vicende si fanno serie, e invochiamo risorse, aria pura, relazioni più solide.
Abbiamo allora necessità di un balzo, non di retrocedere [stare lì e ripiegarci (centrando su di sé) per individuare problemi e difetti, quindi correggerli in modo precipitoso e innaturale...].
Sarebbe un dispendio assurdo di virtù e occasioni di crescita nella ricerca del nostro territorio.
Anche nel cammino spirituale, infatti, tutto facciamo per ottenere vita completa, realizzazione totale, libertà forte. Non per essere visti perfetti.
Il passaggio nel clima del disprezzo sociale sarà inevitabile.
Il Crocifisso non dice “come dovremmo essere e ancora non siamo” (in modo convenzionale): perché ci accostiamo alla nostra Vocazione solo se sorprendiamo noi stessi e gli altri - proprio quando l’opinione comune e conformista ci giudica incoerenti.
Non significa che stiamo rifiutando il patibolo.
Le situazioni di condanna possono diventare creative, così la forca che ci appartiene in quella situazione - sebbene comprometta la reputazione - non deve poi tormentare l’anima oltre misura.
Disavventure, sconvolgimenti, contrarietà, contesti amari… riplasmano l’anima e il punto di vista, mettendo in discussione l’idea (che ci siamo già fatti) di noi stessi.
Aprono anzi spalancano sbalorditivi nuovi percorsi repentini - realizzazioni altrimenti soffocate in partenza, per convincimenti esterni.
Ecco perché nella proposta di Gesù c’è qualcosa di paradossale e assurdo: per crescere, raggiungere pienezza e completarsi bisogna perdere; non fare l’opportunista, non essere svelto, non approfittarsi. Tutti atteggiamenti insulsi e puerili che non rigenerano, che ci riportano agli attriti, ai conformismi inattendibili, e li accentuano.
Logica sconcertante quella della Croce: su due piedi sembra umiliarci. Viceversa pone al riparo dal veleno d’una religiosità vana, di belle maniere e pessime abitudini.
Spiritualità vuota, consolatoria o solo teatrale, la quale produce ambienti conflittuali ma inerti [fanno cadere le braccia: inutili e infestanti].
Tutti sanno che bisogna imparare ad accettare le inevitabili contrarietà dell’esistenza. Ma non è questo il senso della Croce.
Dio non redime per dolore, ma con Amore - quello che non ripiega e accartoccia, bensì dilata la vita e le capacità inespresse.
La Croce provvidenziale non viene data da Dio, ma presa attivamente, e accolta dal discepolo. Nei Vangeli sta a significare l’accettazione dell’inevitabile onta che comporta la sequela di Gesù - anche in un panorama comicamente vanitoso, sebbene di cartapesta.
Per chi sceglie di essere se stesso nel mondo del “sembrare” e della nomea, la sorte (esteriore) di persecuzione, incomprensione, beffa e calunnia, mancanza di credito e allori - come fossimo dei falliti - è segnata.
Ma nel Giudizio del Crocifisso è questa la giusta posizione per divenire figli che trovano completezza umana, stanno saldi nelle scelte di peso specifico - e partoriscono frutti corrispondenti: spesso il miglior tempo della propria storia.
Dono gratuito, per una Vita da Salvati, la Croce redime dalle attrattive dell’apprezzamento in società che volentieri sul versante del banale e dell’estrinseco elargisce ampi crediti, i quali però spengono la nostra crescita personale completa.
Essa ci salva dai pericoli di piedistalli che sgretolano, sui quali non vale la pena continuare a salire per farsi notare e inutilmente - astutamente - compiacere. Come farebbe un qualsiasi manipolatore che ama la poderosità; anche pio, colmo d’attributi di vigore, ma inesorabilmente vecchio e votato alla morte - impantanato e sterile - incapace di generare creature nuove e far rinascere se stesso.
Le occasioni migliori per uno sviluppo, la realizzazione e il completamento emergono da lati di noi stessi e situazioni che non vogliamo. Appunto; persino da ferite profonde, che investono tutto un modo di essere, fare e apparire.
Non è la fine del mondo. Oggi la crisi globale ha già annientato il nostro aspetto potente, eppure sta facendo trapelare la virtù del lato fragile; prima messo in ombra per esigenze di passerella sociale.
Ecco il Crocifisso, che sanguina non solo per guarire, ingentilire e togliere zavorre, ma per rovesciare, sostituire orizzonti e soppiantare l’intero sistema di conformismi assuefatti; e “punti” anche sedicenti alternativi, modi di pensare che sembravano chissà cosa.
Tutto ciò, per Fede. Non con tensione e disegno identificato, ma per attitudine battesimale alla nuova integrità che Viene: donata, accolta, riconosciuta.
Così la Croce abbracciata ci salva.
Essa sembra un sabotaggio al nostro lato “infallibile”, invece è l’Antidoto alla città assopita sui medesimi sentieri di prima - nei soliti modi di essere e scendere in campo (ormai senza futuro).
Sollevare la Croce va ben oltre la capacità di resilienza.
[Esaltazione della santa Croce, 14 settembre 2022]