Ago 27, 2024 Scritto da 

Nel vuoto dei sensi interiori

Iniziazione alla Fede: stura le orecchie, ma restano sordi e balbuzienti

 

(Mc 7,31-37)

 

 

«Ma questo Vangelo ci parla anche di noi: spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E questo non è di Dio!»

[Papa Francesco, Angelus 6 settembre 2015]

 

Lo sfondo del passo di Vangelo è il tema dell’iniziazione alla Fede, che investe i “sensi” (interiori) i quali rischiano di spegnersi.

Anche ogni credente infatti corre il pericolo di affievolire la percezione, circoscrivere l’energia vitale, ridurre in modo drastico il rapporto con la realtà profonda, e l’orizzonte del suo cammino.

«Effatà» era una formula liturgica globalmente espressiva, impiegata dalle chiese primitive nel Battesimo.

Dietro quell’espressione ritroviamo una dimensione ecclesiale davvero vivente e consapevole, sebbene popolare.

Comunità che percepiscono il linguaggio della Fede, accolgono e condividono il pensiero del Figlio; quindi reagiscono alla stasi, non hanno propensioni decadute, né restano mute e cieche.

L’invito a spalancare tutta la vita [Effatà] nasce da un afflato missionario non asservito, che non molla. Vediamo in che senso.

L’itinerario inverosimile di Gesù (v.31) suggerisce quasi un suo essere restio a tornare indietro, trattenendosi piuttosto fra pagani. Perché?

Si rende conto che i “lontani” sembrano meno sordi alla Parola di Dio, rispetto alla gente d’Israele: sono desti, recepiscono, hanno una coscienza ancora viva.

 

Dopo l’accesa disputa sul puro e impuro, ecco il Maestro spazientirsi perfino coi discepoli.

Essi sono rimasti al livello della medesima sordità spirituale del popolo, inerte; mutilato dello spirito della Scrittura.

Ancora sordi, balbettano: si sono autoinflitti un nodo alla lingua.

Se parlano lo fanno a fatica, in modo disarticolato, incomprensibile.

Insomma, i seguaci non espongono messaggi autentici.

Si mostrano intimi, però malgrado le apparenze non sanno ancora ascoltare [diremmo: neppure fedeli alla Tradizione viva; cf. Dei Verbum 1]!

Ciò per il fatto che le orecchie di alcuni di loro sono aperte alle sole furbizie: devono essere «sturate» senza troppi complimenti.

Infatti l’azione di Gesù è violenta (v.33 testo greco).

I “sostenitori” qui paiono contrapporsi in ogni modo all’azione del Cristo nella sua totalità.

 

Gli apostoli ritenevano che il Tesoro di Dio fosse esclusivamente destinato agli “interni” - non ai popoli.

Egli allora colpisce duro: vuole incontrare gli “estranei”, affinché anch’essi accendano le loro risorse.

L’episodio di Vangelo è parabola della condizione di qualunque persona - anche sconclusionata - che incontrando il Signore inizia a percepire e comunicare bene, con saggezza.

Senza più vacillare nelle traiettorie di crescita - con lo spavento della realtà, e di se stessi.

 

La sapienza religiosa o la filosofia pagana hanno cercato risposte agli enigmi, alle domande di senso della vita. Eppure, sinora unicamente tartagliando.

Anche le grandi civiltà hanno solo pensato qualche frammento di Verità. Essa è rimasta erratica e malferma. Non si è espressa con esattezza, o pienamente.

Ad es. (in Platone) Socrate parla di immortalità dell’anima, quindi ha pur avuto un vago senso della Vita indistruttibile, senza però ricevere la Luce della Pasqua.

Qui il problema non è di catechismo esterno, bensì anzitutto personale ed ecclesiale.

Il Messia autentico non sopporta il nostro tirare avanti, senza confronti e discussioni che ci ri-creino.

 

Il giovane Rabbi non vuole che il discepolo si rassegni, si ripieghi, si affezioni alla propria malattia.

Ancora oggi sclerotizziamo forse su posizioni che non mettono in discussione le vere sindromi, e restiamo coi soliti acciacchi - totalmente passivi in merito.

Condizione di vita trasandata e vuota di senso, da cui i “padrini” del Battesimo vorrebbero emanciparci (v.32a).

Sono i veri collaboratori del Cristo, estranei al giro dei sempre appiccicati a Dio - quelli che lo tallonano, ma non lo seguono.

I suoi «Angeli» [cf. Mc 1,13] gli portano un «sordo» (non muto, ma) «balbuziente».

E’ l’unica volta che nel NT appare questo termine.

Nel Primo Testamento «balbuziente» (moghilàlos) appare una sola volta, per indicare la liberazione dall’esodo di Babilonia [«La lingua del balbuziente griderà di gioia», Is 35,6 vers. greca dei LXX].

Non guarigione fisica, ma un’immagine di Liberazione - radicale - che diventa motivo e motore della persona.

È un problema di comprensione!

 

Cristo ci tira fuori, «in disparte» (v.33)... anche rispetto al dissenso degli “intimi”, i quali amano circondarsi di folle e aderire al pensiero comune; compromissorio e banale, che non rompe le chiusure.

Vuole separarci dal modo di ragionare attorno, di maniera, del tutto conforme; intende distaccarci dagli obbiettivi qualunquisti e altrui.

Desidera che pensiamo e diciamo cose sensate, dettate dal pensiero di Dio e dalla vocazione personale; non trendy, à la page, normalizzate, standard.

Chi resta nel villaggio in cui tutti chiacchierano allo stesso modo, o ragionano allo stesso modo, e scelgono allo stesso modo - storditi, rintronati da voci impersonali - non può essere curato.

 

Infatti il «sospiro» di Gesù (v.34) sembra quello di colui che si sente già preso in ostaggio dai suoi, i quali sembra lo trattengano come un leone in gabbia. 

Ci vuole una bella effusione di Spirito dal Cielo per stare calmi e non prenderli a schiaffi… e impegnarsi a ricominciare [ancora] daccapo.

Proprio gli intimi continuano a preferire i soliti libretti d’istruzione e proibizione: più facili - che affrontare rischi e lasciarsi educare.

[Considerandosi privilegiati, alcuni hanno preso possesso della sua Persona trasmettendola a pezzettini, attraverso un insegnamento che non stupisce, non libera, né lo annuncia, bensì lo balbetta e svilisce].

 

«Sospiro» è anche chiedersi: vale la pena? La scelta peggiore sarebbe quella di circoscriversi nella diffidenza.

 

Dopo il Concilio Vaticano II si è appena iniziato ad aprire l’orecchio alla Parola, e man mano la predicazione sta cambiando - ma coi soliti tempi biblici. (Oggi speriamo nel cammino sinodale).

Intanto si diffonde qua e là un’idea di Chiesa “scalza”, che sa ascoltare le domande dell’uomo d’oggi, invece che zittirle.

Un’istituzione in provincia dalle grandi narrazioni e scarsamente incisiva, ma che forse inizia a tralasciare alcune frasi fatte, e comincia a non tacitare tutte le questioni.

Finalmente ci si rende conto che è tempo di annuncio e nuova catechesi, d’un convincente linguaggio e discernimento - e una ben diversa pastorale. Non per questo glamour.

Ma prima di agire sul territorio, è opportuno che curiali, dirigenti, capitani e consoli aprano occhi e orecchie - coinvolgendosi di persona.

 

«Apriti!» resta l’invito pressante a spalancare ancora nuovi percorsi: slacciare il dialogo, essere concreti e rispettosi, rimettere in causa la vita. Arricchendo se stessi e gli altri.

Unico miracolo grande è dischiudere ogni persona alla percezione e comunicazione, intuendo e dando tutto di se stessi.

Perché cercando la verità nell’ascolto profondo e reciproco, oltre le confraternite o cordate, non si balbetta più.

Persino la gerarchia di alto profilo sta iniziando a bucare i soliti muri di gomma e di pietra, esteriori.

Nel frattempo, il confronto ecumenico e con le culture ci schioda dallo status che blocca le conquiste più significative.

È il Dialogo che trasmette senso e sostanza persino alla Dogmatica.

Solo in questo modo riusciremo nel discernimento, nonché a prolungare l’Azione creatrice del Figlio.

Insomma, il cardine di tutto è la consapevolezza che la Persona del Cristo comunica meraviglia e pienezza di vita; non trasmette lacci.

 

Nella cultura semitica la saliva [v.33: «e avendo sputato, toccò la sua lingua»] era considerata alito condensato.

Immagine dello Spirito che libera da alienazioni - beninteso, non a partire da fuori.

Anche l’evangelizzazione deve configurarsi in tale concomitanza, solidale con la realizzazione, e impegnata nei processi: da dentro.

Così vivremo in modo fluente, e proclameremo la Buona Notizia in favore della nostra Felicità. Trovando soluzioni inattese.

Purtroppo - malgrado lo scatenarsi dello stesso Spirito nelle persone, gli annunciatori più “stretti” continuavano a voler predicare il «Figlio dell’uomo» come «il» (quel) Messia che si attendevano (v.36).

Ma la religione incline allo spettacolo, e l’ideologia di potere, tutta esibizionismi esterni - anch’essa appariscente - non ha mai avuto a che fare con Lui.

 

Nel Battesimo il Signore ci stappa le orecchie per abilitarci all’ascolto della «Parola» che si fa «evento», e scioglie la lingua affinché facciamo risuonare agli altri quanto viene proclamato.

Attraverso questo dissigillo siamo stati costituiti credenti e profeti. Prima eravamo balbettoni.

Dopo l’ascolto abbiamo iniziato a discorrere correttamente, non per virtù propria: solo perché abbiamo ricevuto da altri la Parola che dona vita, guarisce, e non mente.

Tuttavia, spesso turiamo le orecchie e leghiamo appunto la lingua, rattrappendo anima, spirito, e mani.

Ma così rendiamo Dio meno presente e operante; impediamo la crescita, blocchiamo l’apertura; ogni sviluppo di vita piena.

 

L’attitudine del figlio? Spalancare l’Esodo al mondo, alla vera conoscenza, alla luce del Vangel; ove non c’è tenebra.

E la missione della Chiesa autentica non è quella di decidere tutto, bensì far udire e parlare. Senza l’a-priori di riferimenti inutili.

 

Aprirci resta la nostra Vocazione decisiva.

 

 

Religione in entrata, Fede in uscita

 

L’itinerario apparentemente sconclusionato di Gesù in territorio pagano incontra l’opposizione dei discepoli (filigrana del sordo e balbettante), cui deve sturare le orecchie e curare l’Annuncio...

Francesco iniziò subito a guarire il difetto d’ascolto del cattolicesimo occidentale aprendoci occhi e orecchi già dalla balconata dell’elezione. Non appena affacciato osò parlare di “evangelizzazione” senza remore. In quel giorno di entusiasmo generale forse solo gli addetti ai lavori si accorsero di quanto in quel dettaglio il pontefice desiderasse far crescere la nostra realtà paludata e supponente, seduta sugli scranni di una sacramentalizzazione venata di palese autocompiacimento.

Prima neppure Giovanni Paolo II si era potuto permettere il lusso di non restringere il termine con aggettivazioni, perché secondo i tradizionalisti suonava “protestante”. Il papa polacco era stato costretto da molti prelati di retroguardia a lanciare uno slogan più moderato: la “nuova” evangelizzazione. Ma Francesco comprendeva che il Vangelo non è Annuncio antiquato o svecchiato; in qualsiasi linguaggio lo si porga è una proposta di vita semplice e chiara, al di là del fatto che nei tempi possa godere di qualche modalità o veicolo di trasmissione aggiornati.

Nel mondo anglosassone il termine (evangelizzazione) descrive approcci personali e situazioni di vario genere, assai più dirette e dinamiche che il nostro “apostolato dei laici”, derivato dall’azione pastorale ispirata dal clima del Concilio; poi timidamente svilito da tutta una retrovia di catene di comando (e mediocri che remano contro).

Infatti sul territorio e soprattutto nell’Italia di provincia l’azione dei lontani e delle famiglie è stata imbrigliata nei soliti contenitori-paravento, che scriteriatamente ammantano la clericalizzazione di ritorno. Tanto che gli stessi laici impegnati sono spesso destinati non a mettere in gioco i propri doni personali - troppo aderenti alla realtà - ma solo a rimpolpare le fila assottigliate dei consacrati, meglio se con mentalità prona e dottrinale.

Nel nostro modo cattolico di concepire, un tempo (non remoto) era volentieri in uso solo il termine “missionarietà”; però ridotto all’educazione e promozione umana che il mondo “talare” - quale primattore - concedeva o andava a imporre nelle varie aree (culture banalmente intese come oggetto-di-dottrina).

Ma già da tempo la formazione dei missionari è stata modificata nell’accentuazione delle virtù passive.

Anticamente ad es. ciò che contava era: in terra di missione ci dovevano essere anzitutto leaders - capaci di comando, di vivere soli; trascinatori e organizzatori di eventi... In sostanza, fuori dalle nomenclature il testimone di Cristo era immaginato come un uomo forte e intraprendente.

Dopo il Vaticano II si è compreso che la migliore caratteristica del missionario non è la qualità attiva e la sua capacità di proselitismo (che proprio nel brano di Vangelo Gesù tenta di contenere) ma che sappia inserirsi nei contesti, rispetti la cultura e situazioni particolari, sia molto accogliente, si accontenti, sia capace di ascolto, comprensione, riflessione, così via.

Ma ora si tratta di fare un salto di qualità che i settori di Chiesa più arretrati ancora stentano: quello di non considerarsi più protagonisti e Soggetti che sovrastano il Dialogo.

Il rapporto con il prossimo anche nelle situazioni di prima necessità è autentico se non solo vinciamo l’egoismo del trattenere per noi, ma quando annientiamo l’autocompiacimento di sentirci figure di spicco, (interlocutori di bisognosi ma) figure istituzionali e di primo piano.

Indigenti e cercatori della Verità vanno viceversa collocati alla pari, anch’essi Soggetto e non oggetto di consapevolezze o elemosine generosamente elargite. Per una azione pastorale che faccia crescere anzitutto coloro che la propongono agli altri!

 

La seconda malattia che Francesco desiderava curare era quella della balbuzie di un popolo abituato alla pratica delle devozioni e non all’ascolto della Parola, da cui deriva la Fede.

Si trovava davanti gente ben disposta alle osservanze, al rispetto dei tempi liturgici e all’intimismo - di un Gesù tenuto stretto nel proprio cuoricino, messo sul comodino... e buono talora per prendere sonno.

Ma vedeva un popolo sostanzialmente indifferente a corrispondere nella vita il senso degli stessi riti e ad incarnare l’Appello dei Vangeli. 

Praticata la religione, l’esistenza e le scelte dei “credenti” correvano su binari totalmente autonomi, ben differenti dal senso autentico delle numerose (quanto in sé disattese) parentesi oranti.

Al di là di pigrizie e tornaconti, tuttora manca la capacità di Ascolto per la conversione; e chi non porge orecchio - inizio di qualsiasi relazione - poi non può comunicare nulla di valido; tartaglia solo.

Da qui una cultura da sottobosco, spesso farraginosa nell’impegno, in grado di primeggiare quasi solo nel campo delle barzellette; ripiegata su di sé, invecchiata nella difesa dei propri livelli economici acquisiti ma priva di Speranza, persino nei giovani di parrocchia: «Ma Apriti!».

 

Francesco ha tentato di portare lo Spirito fresco delle popolazioni che non possono permettersi di vivere di rendita, e ancora crede nella forza che sprigiona la proclamazione della Lieta Notizia; ma per questo bisogna anzitutto che ci lasciamo spalancare le orecchie!

Nella sua prima esortazione apostolica (Evangelii Gaudium) il Papa ha dedicato all’Annuncio e persino alla Predicazione uno spazio consistente - addirittura all’interno di una cornice riguardante l’intero Popolo di Dio; ben altro che l’ormai ingessato apostolato dei laici.

Insomma, c’è da annunciare una vita non impantanata, e per questo il Magistero cerca di superare le pastoie del ruolo riservato al “sermone” che oggi non toglie più il tappo alle orecchie della vecchia Europa.

Non ultima la trasformazione missionaria della «Chiesa in uscita», la quale si realizza nello stile d’un vescovo di Roma che non ci suggerisce più - come tanti predecessori - consigli moralistici o devoti per meritare il Paradiso e innalzarsi al Cielo, ma che Dio te lo porta, a volte te lo sbatte in faccia.

Tutto ciò, non per staccarsi dalla famiglia umana onde spiritualizzare l’io senza troppe seccature.

Il Signore si manifesta in direzione opposta: umanizza e chiede questa spinta verso il basso; una qualità di relazione e non una sterilizzazione.

Sa di rivolgersi a un mondo difficile, radicato nella mediocrità formale delle passerelle di maniera, che non di rado si accontentano di dare a credere e mettere in mostra…

Mondo malato di esteriorità cui però non rinuncia a voler curare la balbuzie, prima sturandogli le orecchie.

E incoraggiandoci ad aver cura del nostro anelito a vedere meglio e poterci esprimere non a casaccio, facendoci procedere «lontano dalla folla» (v.33) conformista, che fa impallidire, confonde, livella, appiattisce.

 

Al termine del brano di Mc, ecco allora prorompere il coro di lode dell’assemblea dei battezzati nello Spirito.

Popolo ri-creato dall’azione di Gesù; abilitato e in grado di ascoltare e proclamare.

Persone che hanno fatto Esodo, passando da una religiosità buona per tutte le stagioni a un cammino di Fede personale, che annuncia, trasmette, e non taccheggia per sé.

Donne autentiche e uomini veri, che hanno imparato a riconoscere e accogliere l’azione del Dio che si sta rivelando, che senza posa Viene, in modo crescente. Non come quello che forse è venuto… o verrà.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ci riconosciamo nella Missione della Chiesa o siamo sordi, inerti e muti per indolenza (o interesse)?

20
don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

The Church desires to give thanks to the Most Holy Trinity for the "mystery of woman" and for every woman - for that which constitutes the eternal measure of her feminine dignity, for the "great works of God", which throughout human history have been accomplished in and through her (Mulieris Dignitatem n.31)
La Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il «mistero della donna», e, per ogni donna - per ciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile, per le «grandi opere di Dio» che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei (Mulieris Dignitatem n.31)
Simon, a Pharisee and rich 'notable' of the city, holds a banquet in his house in honour of Jesus. Unexpectedly from the back of the room enters a guest who was neither invited nor expected […] (Pope Benedict)
Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista […] (Papa Benedetto)
God excludes no one […] God does not let himself be conditioned by our human prejudices (Pope Benedict)
Dio non esclude nessuno […] Dio non si lascia condizionare dai nostri pregiudizi (Papa Benedetto)
Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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