don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

2. Dice Gesù: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22, 2). La parabola del banchetto nuziale presenta il Regno di Dio come un’iniziativa regale - e dunque sovrana - di Dio stesso. Essa include anche il tema dell’amore, e precisamente dell’amore sponsale: il figlio per il quale il padre prepara il banchetto di nozze è lo sposo.

Anche se in questa parabola non viene chiamata per nome la sposa, le circostanze indicano la sua presenza, e lasciano capire bene chi è. Ciò apparirà chiaramente in altri testi del Nuovo Testamento, che identificano la Chiesa con la Sposa (Gv 3, 29; Ap 21, 9; 2 Cor 11, 2; Ef 5, 23-27.29).

3. Invece nella parabola è contenuta chiaramente l’indicazione dello Sposo, che è il Cristo, il quale attua l’Alleanza nuova del Padre con l’umanità. Questa è un’alleanza d’amore, e il Regno stesso di Dio appare come una comunione (comunità d’amore), che il Figlio attua per volere del Padre. Il “banchetto” è l’espressione di questa comunione. Nel contesto dell’economia della salvezza descritta dal Vangelo, non è difficile scorgere in questo banchetto nuziale in riferimento all’Eucaristia: il sacramento della nuova ed eterna Alleanza, il sacramento delle nozze sponsali di Cristo con l’umanità nella Chiesa.

4. Anche se la Chiesa come Sposa non è nominata nella parabola, si trovano nel contesto di questa altri elementi che richiamano ciò che il Vangelo ci dice sulla Chiesa come Regno di Dio. Così l’universalità dell’invito divino: “Il Re dice ai suoi servi: “Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”” (Mt 22, 9).

Tra gli invitati al banchetto nuziale del Figlio mancano quelli scelti per primi: quelli che dovevano essere ospiti secondo la tradizione dell’antica Alleanza. Questi si rifiutano di andare al banchetto della nuova Alleanza, adducendo diversi pretesti. Allora Gesù fa dire al Re, padrone di casa: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22, 14). Al loro posto l’invito viene rivolto a molti altri, che affollano la sala del banchetto. Il particolare fa pensare a quell’altra parola ammonitrice che aveva pronunciato Gesù: “Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori” (Mt 8, 11-12). Qui si vede bene come l’invito diventa universale: Dio intende stringere la nuova Alleanza nel suo Figlio non più con il solo popolo eletto, ma con l’intera umanità.

5. Il seguito della parabola indica che la partecipazione definitiva al banchetto nuziale è legata a certe condizioni essenziali. Non basta essere entrati nella Chiesa per essere sicuri della salvezza eterna: “Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale?” (Mt 22, 12), domanda il Re ad uno degli invitati. La parabola, che a questo punto sembra passare dal problema del rifiuto storico della elezione da parte del popolo d’Israele al comportamento individuale di chiunque sia chiamato e sul giudizio che su di lui sarà pronunciato, non precisa il significato di quell’“abito”. Ma si può dire che la spiegazione si trova nell’insieme dell’insegnamento di Cristo. Il Vangelo, in particolare il discorso della montagna, parla del comandamento dell’amore, che è il principio della vita divina e della perfezione sul modello del Padre: “Siate . . . perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Si tratta di quel “comandamento nuovo”, che, come insegna Gesù, consiste in questo: “Come io vi ho amato così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Sembra dunque si possa concludere che l’“abito nuziale”, come condizione per partecipare al banchetto, è proprio quest’amore.

Il che viene confermato da un’altra grande parabola, riguardante il giudizio finale, e quindi di carattere escatologico. Soltanto coloro che attuano il comandamento dell’amore nelle opere di misericordia spirituale e corporale verso il prossimo possono prendere parte al banchetto del Regno di Dio: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25, 34).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 settembre 1991]

Con il racconto della parabola del banchetto nuziale, dell’odierna pagina evangelica (cfr Mt 22,1-14), Gesù delinea il progetto che Dio ha pensato per l’umanità. Il re che «fece una festa di nozze per suo figlio» (v. 2), è immagine del Padre che ha predisposto per tutta la famiglia umana una meravigliosa festa di amore e di comunione intorno al suo Figlio unigenito. Per ben due volte il re manda i suoi servi a chiamare gli invitati ma questi rifiutano, non vogliono andare alla festa perché hanno altro a cui pensare: campi e gli affari. Tante volte anche noi anteponiamo i nostri interessi e le cose materiali al Signore che ci chiama – e ci chiama a una festa. Ma il re della parabola non vuole che la sala resti vuota, perché desidera donare i tesori del suo regno. Allora dice ai servi: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli» (v. 9). Così si comporta Dio: quando è rifiutato, invece di arrendersi, rilancia e invita a chiamare tutti quelli che si trovano ai crocicchi delle strade, senza escludere nessuno. Nessuno è escluso dalla casa di Dio.

Il termine originale che utilizza l’evangelista Matteo fa riferimento ai limiti delle strade, ossia quei punti in cui le strade di città terminano e iniziano i sentieri che conducono alla zona di campagna, fuori dall’abitato, dove la vita è precaria. È a questa umanità dei crocicchi che il re della parabola invia i suoi servi, nella certezza di trovare gente disposta a sedersi a mensa. Così la sala del banchetto si riempie di “esclusi”, quelli che sono “fuori”, di coloro che non erano mai sembrati degni di partecipare a una festa, a un banchetto nuziale. Anzi: il padrone, il re, dice ai messaggeri: “Chiamate tutti, buoni e cattivi. Tutti!”. Dio chiama pure i cattivi. “No, io sono cattivo, ne ho fatte tante …”. Ti chiama: “Vieni, vieni, vieni!”. E Gesù andava a pranzo con i pubblicani, che erano i peccatori pubblici, erano i cattivi. Dio non ha paura della nostra anima ferita da tante cattiverie, perché ci ama, ci invita. E la Chiesa è chiamata a raggiungere i crocicchi odierni, cioè le periferie geografiche ed esistenziali dell’umanità, quei luoghi ai margini, quelle situazioni in cui si trovano accampati e vivono brandelli di umanità senza speranza. Si tratta di non adagiarsi sui comodi e abituali modi di evangelizzazione e di testimonianza della carità, ma di aprire le porte del nostro cuore e delle nostre comunità a tutti, perché il Vangelo non è riservato a pochi eletti. Anche quanti stanno ai margini, perfino coloro che sono respinti e disprezzati dalla società, sono considerati da Dio degni del suo amore. Per tutti Egli apparecchia il suo banchetto: giusti e peccatori, buoni e cattivi, intelligenti e incolti. Ieri sera, sono riuscito a fare una telefonata a un anziano prete italiano, missionario dalla gioventù in Brasile, ma sempre lavorando con gli esclusi, con i poveri. E vive quella vecchiaia in pace: ha bruciato la sua vita con i poveri. Questa è la nostra Madre Chiesa, questo è il messaggero di Dio che va agli incroci dei cammini.

Tuttavia, il Signore pone una condizione: indossare l’abito nuziale. E torniamo alla parabola. Quando la sala è piena, arriva il re e saluta gli invitati dell’ultima ora, ma vede uno di loro senza l’abito nuziale, quella specie di mantellina che all’entrata ciascun invitato riceveva in dono. La gente andava come era vestita, come poteva essere vestita, non indossava abiti di gala. Ma all’entrata veniva loro data una specie di mantellina, un regalo. Quel tale, avendo rifiutato il dono gratuito, si è autoescluso: così il re non può fare altro che gettarlo fuori. Quest’uomo ha accolto l’invito, ma poi ha deciso che esso non significava nulla per lui: era una persona autosufficiente, non aveva alcun desiderio di cambiare o di lasciare che il Signore lo cambiasse. L’abito nuziale – questa mantellina – simboleggia la misericordia che Dio ci dona gratuitamente, cioè la grazia. Senza grazia non si può fare un passo avanti nella vita cristiana. Tutto è grazia. Non basta accettare l’invito a seguire il Signore, occorre essere disponibili a un cammino di conversione, che cambia il cuore. L’abito della misericordia, che Dio ci offre incessantemente, è un dono gratuito del suo amore, è proprio la grazia. E richiede di essere accolto con stupore e con gioia: “Grazie, Signore, per avermi dato questo dono”.

Maria Santissima ci aiuti a imitare i servi della parabola evangelica nell’uscire dai nostri schemi e dalle nostre vedute ristrette, annunciando a tutti che il Signore ci invita al suo banchetto, per offrirci la grazia che salva, per darci il suo dono.

[Papa Francesco, Angelus 11 ottobre 2020]

Solennità dell’Assunzione di Maria (15 agosto 2024)

1. Nel cuore dell’estate la liturgia c’invita a celebrare la Vergine Maria assunta in cielo, segno di consolazione e di sicura speranza per tutti. Fu papa Pio XII, il 1° novembre dell’Anno Santo del 1950, a dichiarare come dogma (cioè verità di fede) l’Assunzione di Maria alla gloria celeste in anima e corpo. L’odierno Vangelo di Luca presenta Maria come colei che è beata perché ha creduto. Al saluto di Elisabetta: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”, lei risponde con il suo silenzio che si espande alla fine nel canto del Magnificat.  Al suo posto parla in maniera misteriosa Gesù in gestazione dentro di lei facendo sussultare di gioia Giovanni Battista nel ventre dell’anziana Elisabetta. Eccola Maria, Arca della nuova alleanza, primo itinerante tabernacolo dell’Eucarestia nella storia dell’umanità, modello di evangelizzazione: annunciare il vangelo senza bisogno di parole, recando Cristo nel cuore. Fra i mussulmani san Charles de Foucauld scelse l’icona della Visitazione come riferimento per la sua missione di piccolo fratello di tutti. Volle essere come Maria in adorazione costante dell’Eucarestia e in ascolto dei bisogni della gente dapprima a Beni-Abbès, al confine tra Algeria e Marocco e poi a Tamanrasset fra i tuareg del deserto del Sahara. Arca della nuova alleanza, Maria continua a camminare anche oggi ed entra nelle nostre case come fece nell’Antico Testamento l’Arca dell’alleanza che da Gerusalemme fu portata sulle colline della Giudea ed entrò per restarvi tre mesi nella casa di Obed Edom recandovi gioia (2 S 6,11-12). La preghiera, il cantico del Magnificat con cui risponde ad Elisabetta, è una silloge di tanti piccoli frammenti di testi biblici e salmi. Non ha voluto inventare la sua preghiera, ma ha ripreso diverse espressioni degli antenati nella fede incarnando così la sua preghiera nella vita dell’umanità. Maria, donna umile e credente, ci offre un prezioso insegnamento: in questo tempo tanto difficile per l’umanità dove si sta provocando Dio con ogni offesa e si rischia una guerra che potrebbe creare l’autodistruzione dell’umanità dobbiamo tornare al silenziare tante polemiche e tanti dibattiti e scontri. Dobbiamo avvertire la responsabilità di ciò che diciamo e facciamo sapendo che siamo parte di una stessa umanità e nel bene come nel male tocchiamo la vita di tutti. Il credente non può dimenticare che ogni vocazione, pur nella pluralità delle differenze, ci rende servitori dell’unico popolo chiamato ad affrontare in ogni epoca una dura lotta contro le potenze del male.   

2. A questa guerra senza fronti fa riferimento la prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, che vede vincitrice la “Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle”, accompagnata da altre simboliche immagini: l’Arca dell’alleanza, il dragone e il bambino appena nato.  L’Arca dell’alleanza, come già detto, è il richiamo all’Arca di legno dorato che accompagnava il popolo di Dio durante l’esodo verso il Sinai. Quando Giovanni scrive l’Apocalisse, l’Arca dell’alleanza si era persa già da molti anni durante l’esilio babilonese e tutti pensavano che il profeta Geremia l’avesse nascosta in un posto segreto del monte Nebo (2 M 2,8) e sarebbe riapparsa all’arrivo del Messia. Se Giovanni la descrive ritrovata, vuol dire che ormai si è compiuta la promessa, si è definitivamente attuata l’alleanza di Dio con l’umanità grazie alla nascita del Messia (Ap 11,19). La “Donna vestita di sole” è incinta e “grida per le doglie del parto”. La Donna è immagine del popolo eletto all’interno del quale nasce il Messia, un parto doloroso perché è un popolo segnato da sofferenze, divisioni e persecuzioni. Con l’avvento di Gesù non fu difficile ai primi cristiani associare nella Donna dell’Apocalisse il richiamo alla Chiesa, nuovo Israele e a Maria, la Madre del Salvatore. Davanti alla Donna si apposta “un dragone rosso con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi” per divorare il figlio appena nato, simbolo impressionante delle forze del male scatenate contro il piano di Dio.  La sua testa e le corna indicano l’intelligenza e la violenza del potere di satana che vuole distruggere l’umanità. Il drago sembra prevalere perché abbatte un terzo delle stelle de cielo per precipitarle a terra, eloquente parabola del travaglio di un universo mai in pace. Nonostante però la sua potenza, riesce ad abbattere soltanto un terzo delle stelle. Si tratta quindi di una vittoria illusoria e il messaggio è chiaro: il potere del male è provvisorio e ad abbatterlo definitivamente sarà il bambino appena nato destinato a governare tutte le nazioni. Tutti riconoscono in questo neonato, trionfatore delle potenze sataniche, il Messia essendoci nell’Apocalisse chiari riferimenti ai salmi che ne prevedevano la venuta: ”Il Signore mi ha detto : Tu sei mio figlio , io oggi ti ho generato . Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre lontane. Le spezzerai con scettro di ferro, come vaso di argilla le frantumerai.” (Sal 2,7-9).  Inoltre, nel rapimento del neonato è simboleggiata la risurrezione di Cristo risorto, vincitore della morte e assiso alla destra del Padre. Al Messia si unisce il richiamo a Maria, la vergine Madre Immacolata, rappresentata sempre nell’atto di schiacciare la testa del serpente- dragone, il quale avendo fallito in cielo non riuscirà nemmeno sulla terra. Come allora non amare Maria entrando nel suo Cuore Immacolato, “sicuro rifugio delle anime”?

3. Maria è sostegno della nostra speranza perché è Donna della fede che ha accettato il progetto di Dio senza tutto comprendere, anzi una spada le ha trafitto l’animo come aveva predetto il vecchio Simeone (Lc 2,35). La tradizione della Chiesa fin dall’inizio l’ha associata inscindibilmente a Gesù, il modello insuperabile della totale adesione alla volontà di Dio. Anzi lui stesso c’insegna con l’orazione del “Padre nostro” ad abbandonarci senza paura tra le braccia del Padre celeste dicendogli con la vita: “si compia la tua volontà”. Maria ha conosciuto come tutti noi la fatica, il dolore e la morte; per uno speciale privilegio però la morte è stata per lei un addormentarsi entrando così nella gloria in Dio. Contemplandola possiamo capire ciò che attendeva l’uomo se i nostri progenitori non avessero compiuto il primo peccato che ci ha resi condannati ai patimenti della morte. Alla luce di Maria possiamo dunque affermare due verità: Il nostro corpo, a causa del peccato originale, è soggetto alle fatiche, alla sofferenza e alla morte che decompone il nostro essere mortale. Maria assunta in cielo ci assicura però che, se a causa del peccato è entrata la morte, Dio può trasformarla e ridarci in dono la vita immortale. Questo è il messaggio dell’odierna festa dell’Assunzione, un’occasione per riflettere, pregare e confidare nella misericordia di Dio che in Maria ci mostra la vittoria dell’amore sull’odio e della vita sulla morte. Fermiamoci a contemplare Maria con questa preghiera di san Bernardo: “Chiunque tu sia, tu che avverti che nel flusso di questo mondo stai ondeggiando tra burrasche e tempeste invece di camminare sicuro sulla terra, non distogliere gli occhi dallo splendore di questa stella, se non vuoi essere sopraffatto dalle tempeste! Se si alzano i venti della tentazione, se t’imbatti negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria. Se sei sbattuto dalle onde della superbia, dell’ambizione, della calunnia, della gelosia, guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira o l’avarizia o le lusinghe della carne hanno scosso la navicella del tuo animo, guarda Maria. Se turbato dalla enormità dei peccati, confuso dalla indegnità della coscienza, impaurito dall’orrore del giudizio, tu cominci ad essere inghiottito nel baratro della tristezza, nell’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, pensa a Maria, invoca Maria. Non s’allontani dalla tua bocca, non s’allontani dal tuo cuore. E per ottenere il suffragio della sua preghiera, non abbandonare l’esempio della sua vita raccolta in Dio. Seguendo Lei non ti smarrisci, pregando Lei non ti disperi, pensando a Lei non sbagli. Se Lei ti tiene, non cadi; se Lei ti protegge, non temi; se Lei ti guida, non ti stanchi; se Lei ti dà il suo favore, tu arrivi al tuo fine, e così sperimenti in te stesso quanto giustamente sia stato detto: «E il nome della Vergine era Maria” (In laudibus Virginis Matris II,17).

+ Giovanni D’Ercole

(Moneta unica e smart working: l’Amore)

(Mt 20,1-16)

 

Nell'atrio del tempio di Gerusalemme, il rampicante del portale era simbolo dei doni che il popolo era chiamato a presentare a Dio: accoglienza reciproca, comprensione, condivisione... per la felicità di tutti.

Ovvio che entrare all'inizio della giornata (ossia, della nostra esistenza) in questa logica dell'amore è meglio che entrare all'ultima ora.

Essere in comunione con Dio, stare nella sua Vigna e aver avuto la grazia di non perdere neppure un istante di vita senza la sua Presenza è un «portare il peso» o viceversa un piacere?

I credenti della prima ora si sentono profondamente offesi, perché sotto sotto identificano il “vantaggio” con ciò che si sono sempre negati.

Pensano il “godersi la vita” allo stesso modo dei pagani! Il lavoro è infatti... «sopportato» [v.12: notare il verbo!].

Ebbene, Dio non ha operai a stipendio: solo figli; nessun subalterno. E nessuno di noi è trascurabile per “inefficienza”.

Quello dei modelli è un effetto bloccante; legato a paragoni insignificanti.

Non in sincronia profonda con se stessi [vv.6-7].

 

Il Vangelo di Mt nasce da comunità siro-palestinesi, le quali iniziavano a fare esperienza di pagani e peccatori che accorrevano numerosi e stavano diventando maggioranza numerica.

L’atteggiamento dei forestieri che si presentavano alle porte delle comunità era molto più libero di quello dei veterani imbarazzati.

La nuova mentalità, sciolta da vincoli, provocava gelosie tra coloro che erano abituati a scrutare la vita altrui - quasi per dovere religioso.

In fondo, quella dei principianti e ‘meticci’ che volevano iniziare un cammino d’amore non era che un riflesso della fluidità sovrabbondante dei Doni divini.

‘Gratis’: comunicato senza diffidenze né esclusioni; non sulla base di meriti precedenti, bensì senza necessario contraccambio - e in forza del solo bisogno.

Pertanto, il brano di oggi resta un Richiamo forte.

L’importanza del lavoro induce il Padrone a non mandare il suo fattore (!) di cui sa purtroppo di non potersi fidare pienamente.

Egli stesso esce ripetutamente e non vuole interferenze dirigiste, nel chiamare personalmente gli operai.

Unico a capire: non è mai troppo tardi!

 

L’insegnamento è appunto per i responsabili di comunità, i quali spesso non si accollano l’onere di scomodarsi da casa alla continua ricerca di tutti, e adattarsi loro a persone e vicende.

Il Padre vuole invece una Famiglia (Vigna) che presenti al mondo il dolce e zuccherino frutto della Festa - unica cosa davvero importante, principio non negoziabile.

Così, ai sempre morbosi primi della classe il Signore continua a fare un “dispetto” assai educativo.

Già in vita devono scoprire che Egli non discrimina sulla base di percentuali redditizie esterne, o altrui stati mentali negativi.

“Paga” tutti senza riserve e con «moneta» unica: la sua Persona. Nessun pilota automatico è abilitato a turbare il nostro respiro.

Conta l’anima, non il curriculum o la prestazione.

 

 

[Mercoledì 20.a sett. T.O.  21 agosto 2024]

Non è mai troppo tardi (Moneta unica e smart working: l’Amore)

(Mt 20,1-16)

 

Nell'atrio del tempio di Gerusalemme, il rampicante del portale era simbolo dei doni che il popolo era chiamato a presentare a Dio: accoglienza reciproca, comprensione, condivisione... per la felicità di tutti.

Ovvio che entrare all'inizio della giornata (ossia, della nostra esistenza) in questa logica dell'amore è meglio che entrare all'ultima ora.

Invece: «Il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?» [v.19 testo greco].

Ma essere in comunione con Dio, stare nella sua Vigna e aver avuto la grazia di non perdere neppure un istante di vita senza la sua Presenza è un «portare il peso» o viceversa un piacere?

Ma che domanda ingenua... certo, le questioni in ballo sono queste e sono profonde, ma anche altre. Allora chiediamoci: in ciò che facciamo, quanto conta il teatro esteriore? Così tanto?

I credenti della ‘prima ora’ si sentono profondamente offesi, perché sotto sotto identificano il “piacere” o il “vantaggio” con ciò che si sono sempre negati a forza. Forse per una questione di look sociale perbenista, o per malinteso senso di Dio; in ogni caso, artificiosamente.

Essi pensano il “godersi la vita” allo stesso modo dei pagani! Il lavoro è infatti... «sopportato» [v.12: notare il verbo!].

I loro sentimenti inespressi sono ugualmente poco pii... ma i primi della classe restano più abili di altri a sfruttare il paravento dell’appartenenza certificata da tempo, per mascherarsi dietro lo zelo di rinunce, opere, sudori, procedure, prescrizioni, esibizioni, e migliori performances.

Ebbene, Dio non ha operai a stipendio: solo figli; nessun subalterno. 

Nessuno di noi è trascurabile per “inefficienza” - sulla base della vecchia idea di appartenenza comprovata: il ritmo disumano, i volumi produttivi,  lo sforzo, il rendimento... gli straordinari extra...

 

Quello dei modelli è un effetto bloccante; legato a paragoni insignificanti, vita stressante, di corsa (e troppo impegnata) - tutto sotto influsso esterno.

Non in sincronia profonda con se stessi [vv.6-7: «”Perché state qui tutto il giorno inoperosi?”. Gli dicono: “Perché nessuno ci ha preso a giornata”. Dice loro: “Andate anche voi nella Vigna”»].

Al Padre interessa solo la Felicità personale e la Gioia dell’Amore: unico Frutto gustoso; non il mucchio di opere esterne, non il gran volume dei tanti e tanti “frutti” - spesso purtroppo immangiabili.

È l’esito del mondo nuovo, rovesciato.

Siamo tutti egualmente protagonisti e leaders, anche se a qualche habitué “interno” il nostro contributo appare frammentario, inefficiente - e ci valuta poco “coinvolti” (magari nei ‘costumi’); affatto “regolari” - con occhio torvo e presuntuoso.

La recente esperienza dello smart working durante la crisi sanitaria ha fatto emergere il peso specifico degli “ultimi arrivati”: persone meno legate alla produzione, meno estroverse e meno capaci di comando, ma forse più riflessive e profonde, più rispettose della preziosità del loro stesso lavoro; meno esteriori o esibizioniste, più collaborative.

Lo svantaggioso è diventato favorevole!

 

Il Vangelo di Mt nasce da comunità siro-palestinesi, le quali iniziavano a fare esperienza di pagani e peccatori che accorrevano numerosi e stavano diventando maggioranza numerica.

Tutto ciò, con grande scandalo sia degli ambienti farisaici che giudeo cristiani - i quali ora si mostravano avversari dei nuovi.

Insomma, i veterani iniziavano a comportarsi come fossero “farisei” di ritorno, legati alle opere di legge e all’antico bagaglio etnico-culturale.

Così il Maestro li tratta - perché si ostinavano a non ascoltare la marea di persone un tempo lontane, le quali ora porgevano novità. E [proprio loro, senza grande pratica di opere devote] aprivano ai reduci un cammino di Esodo, di Liberazione dalle convinzioni dei padri.

L’atteggiamento dei forestieri e “frammisti” che si presentavano alle porte delle fraternità era molto più libero e focoso di quello degli anziani di comunità, giudaizzanti.

La loro mentalità sciolta da vincoli iniziava a provocare gelosie tra coloro che - quasi per dovere religioso - erano abituati a scrutare la vita altrui con sospetto.

In fondo, quella dei principianti e “meticci” che volevano iniziare un cammino d’amore non era che un riflesso della fluidità sovrabbondante dei Doni divini.

‘Gratis’ comunicato senza diffidenze, né esclusioni: non sulla base di meriti precedenti, bensì gratuitamente e in forza del solo bisogno.

 

Possiamo sperimentare oggi dal vivo le identiche dinamiche di contrapposizione, fra nuovi consanguinei su base di Fede e i consuetudinari [più preoccupati dei loro posti fissi e posizioni di primato “faticosamente” conquistate].

Ma grazie alla Parola (v.15b) questi ultimi ormai li riconosciamo: dal giudizio e dalle maniere. Né mai vogliono lasciar andare un passato finito, o il loro “nuovo” mondo sofisticato d’ipotesi cerebrali alla moda.

Quando Dio “buono” li smaschera, mettendone in luce il pregiudizio, essi restano con l’occhio obliquo e cattivo del falso paternalismo.

Ma si tratta di uno sguardo maligno solo a fini intimidatori - per invidia e “lesa maestà”, non per educarci.

Così s’illudono di non farsi capire e continuare a sterilizzare o pilotare, ridicolizzando l’Amore [anche per toglierci dai piedi - onde evitare il pericolo di esser messi in ombra] per inettitudine, e dallo stesso svolgersi normale della vita.

Pertanto, il brano di oggi resta dopo tanti secoli, un Richiamo forte.

 

L’importanza del lavoro induce il Padrone a non mandare il suo fattore (!) di cui sa purtroppo di non potersi fidare pienamente.

Egli stesso esce ripetutamente e non vuole interferenze dirigiste, nel chiamare personalmente gli operai.

Unico a capire: non è mai troppo tardi!

L’insegnamento è appunto per i responsabili di comunità, i quali spesso non si accollano l’onere di scomodarsi da casa alla continua ricerca di tutti, e adattarsi loro a persone e vicende.

Il Padre vuole invece una Famiglia (Vigna) che presenti al mondo il dolce e zuccherino frutto della Festa - unica cosa davvero importante, principio non negoziabile.

Così, ai sempre morbosi primi della classe il Signore continua a fare un “dispetto” assai educativo.

Già in vita devono scoprire che Egli non discrimina sulla base di percentuali redditizie esterne, o altrui stati mentali negativi.

“Paga” tutti senza riserve e con «moneta» unica: la sua Persona. Nessun pilota automatico è abilitato a turbare il nostro respiro.

Conta l’anima, non il curriculum o la prestazione.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In cosa ritieni incomprensibile la Volontà di Dio, o piuttosto la mentalità commerciale, cupa e squadrata (ricoperta di doveri, tristezza, fatica e dolore) dei suoi investigatori?

Cari fratelli e sorelle,

forse ricorderete che quando, nel giorno della mia elezione, mi rivolsi alla folla in Piazza San Pietro, mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore. Ebbene, nel Vangelo di oggi (cfr Mt 20,1-16a), Gesù racconta proprio la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, un denaro, suscitando la protesta di quelli della prima ora. E’ chiaro che quel denaro rappresenta la vita eterna, dono che Dio riserva a tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi". Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro.

A narrare la parabola è san Matteo, apostolo ed evangelista, di cui tra l’altro ricorre proprio oggi la festa liturgica. Mi piace sottolineare che Matteo, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (cfr Mt 9,9). Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla "vigna del Signore". Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: "Seguimi". Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da "ultimo" si trovò "primo", grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo. "I miei pensieri non sono i vostri pensieri – dice il Signore per bocca del profeta Isaia –, / le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8). Anche san Paolo, del quale stiamo celebrando un particolare Anno giubilare, ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno". Subito però aggiunge: "Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere" (Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa.

La Vergine Maria, che una settimana fa ho avuto la gioia di venerare a Lourdes, è tralcio perfetto della vigna del Signore. Da lei è germogliato il frutto benedetto dell’amore divino: Gesù, nostro Salvatore. Ci aiuti Lei a rispondere sempre e con gioia alla chiamata del Signore, e a trovare la nostra felicità nel poter faticare per il Regno dei cieli.

[Papa Benedetto, Angelus 21 settembre 2008]

6. Un’altra parabola ci fa capire che non è mai troppo tardi per entrare nella Chiesa. L’invito di Dio può essere rivolto all’uomo sino all’ultimo momento della vita. È la nota parabola degli operai della vigna: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (Mt 20, 1). Uscì poi ancora alcune volte in diverse ore del giorno, fino all’ultima ora. E a tutti fu dato un salario nel quale, oltre il limite del rapporto di stretta giustizia, il padrone volle manifestare tutto il suo generoso amore.

Viene in mente, a questo riguardo, il commovente episodio, narrato dall’evangelista Luca, sul “buon ladrone” crocifisso accanto a Gesù sul Golgota. A lui l’invito si è manifestato come iniziativa misericordiosa di Dio, mentre diceva ormai quasi spirando: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Egli udì dalla bocca del Redentore-Sposo, condannato alla morte in croce: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23, 42-43).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 settembre 1991]

L’odierna pagina evangelica (cfr Mt 20,1-16) narra la parabola dei lavoratori chiamati a giornata dal padrone della vigna. Attraverso questo racconto, Gesù ci mostra il sorprendente modo di agire di Dio, rappresentato da due atteggiamenti del padrone: la chiamata e la ricompensa.

Prima di tutto la chiamata. Per cinque volte il padrone di una vigna esce in piazza e chiama a lavorare per lui: alle sei, alle nove, alle dodici, alle tre e alle cinque del pomeriggio. È toccante l’immagine di questo padrone che esce a più riprese sulla piazza a cercare lavoratori per la sua vigna. Quel padrone rappresenta Dio che chiama tutti e chiama sempre, a qualsiasi ora. Dio agisce così anche oggi: continua a chiamare chiunque, a qualsiasi ora, per invitare a lavorare nel suo Regno. Questo è lo stile di Dio, che a nostra volta siamo chiamati a recepire e imitare. Egli non sta rinchiuso nel suo mondo, ma “esce”: Dio sempre è in uscita, cercando noi; non è rinchiuso: Dio esce. Esce continuamente alla ricerca delle persone, perché vuole che nessuno sia escluso dal suo disegno d’amore.

Anche le nostre comunità sono chiamate ad uscire dai vari tipi di “confini” che ci possono essere, per offrire a tutti la parola di salvezza che Gesù è venuto a portare. Si tratta di aprirsi ad orizzonti di vita che offrano speranza a quanti stazionano nelle periferie esistenziali e non hanno ancora sperimentato, o hanno smarrito, la forza e la luce dell’incontro con Cristo. La Chiesa deve essere come Dio: sempre in uscita; e quando la Chiesa non è in uscita, si ammala di tanti mali che abbiamo nella Chiesa. E perché queste malattie nella Chiesa? Perché non è in uscita. E’ vero che quando uno esce c’è il pericolo di un incidente. Ma è meglio una Chiesa incidentata, per uscire, per annunziare il Vangelo, che una Chiesa ammalata da chiusura. Dio esce sempre, perché è Padre, perché ama. La Chiesa deve fare lo stesso: sempre in uscita.

Il secondo atteggiamento del padrone, che rappresenta quello di Dio, è il suo modo di ricompensare i lavoratori. Come paga, Dio? Il padrone si accorda per «un denaro» (v. 2) con i primi operai assunti al mattino. A coloro che si aggiungono in seguito invece dice: «Quello che è giusto ve lo darò» (v. 4). Al termine della giornata, il padrone della vigna ordina di dare a tutti la stessa paga, cioè un denaro. Quelli che hanno lavorato fin dal mattino sono sdegnati e si lamentano contro il padrone, ma lui insiste: vuole dare il massimo della ricompensa a tutti, anche a quelli che sono arrivati per ultimi (vv. 8-15). Sempre Dio paga il massimo: non rimane a metà pagamento. Paga tutto. E qui si capisce che Gesù non sta parlando del lavoro e del giusto salario, che è un altro problema, ma del Regno di Dio e della bontà del Padre celeste che esce continuamente a invitare e paga il massimo a tutti.

Infatti, Dio si comporta così: non guarda al tempo e ai risultati, ma alla disponibilità, guarda alla generosità con cui ci mettiamo al suo servizio. Il suo agire è più che giusto, nel senso che va oltre la giustizia e si manifesta nella Grazia. Tutto è Grazia. La nostra salvezza è Grazia. La nostra santità è Grazia. Donandoci la Grazia, Egli ci elargisce più di quanto noi meritiamo. E allora, chi ragiona con la logica umana, cioè quella dei meriti acquistati con la propria bravura, da primo si trova ultimo. “Ma, io ho lavorato tanto, ho fatto tanto nella Chiesa, ho aiutato tanto, e mi pagano lo stesso di questo che è arrivato per ultimo”. Ricordiamo chi è stato il primo santo canonizzato nella Chiesa: il Buon Ladrone. Ha “rubato” il Cielo all’ultimo momento della sua vita: questo è Grazia, così è Dio. Anche con tutti noi. Invece, chi cerca di pensare ai propri meriti, fallisce; chi si affida con umiltà alla misericordia del Padre, da ultimo – come il Buon Ladrone – si trova primo (cfr v. 16).

Maria Santissima ci aiuti a sentire ogni giorno la gioia e lo stupore di essere chiamati da Dio a lavorare per Lui, nel suo campo che è il mondo, nella sua vigna che è la Chiesa. E di avere come unica ricompensa il suo amore, l’amicizia con Gesù.

[Papa Francesco, Angelus 20 settembre 2020]

L’amicizia di chi conta e le loro facilitazioni, o il mondo rovesciato

(Mt 19,23-30)

 

Non è facile entrare nella logica del Dono e porsi in autentica sequela del Signore, alla ricerca di una Felicità non scadente.

Ma appunto i Vangeli sono Vie che distinguono la realizzazione e le sorti individuali sia dalle attese che dai disegni e propositi ovvi.

Aspettative banali, strade e pensieri comuni rinchiudono infatti il senso dell’esistere in ciò che è già rappresentato.

 

In tal senso, l’accesso dei ricchi in una comunità che vive la Fede in Cristo diventa problematico (vv.23-24).

La forza feconda dei deboli sopravanza i favolosi e comodi risultati previsti grazie all’appoggio dei ben introdotti.

Impossibilità umana e possibilità di Dio (v.26): il Padre trasmette Vita autentica e florida, mentre i beni tirano dall’altro lato.

Essi normalizzano l’esistenza e la fanno stagnare: danno ordini opposti.

Così, di fronte alla posizione rigida e “assurda” del Maestro, gli apostoli si spaventano (v.25): perché non usufruire dell’aiuto di persone facoltose, che potrebbero rendere tutto più facile, spedito e grandioso?

Il distacco da certi vessilli è impossibile presso gli uomini (v.26). Ma l’ambito in cui Dio regna è la sua Chiesa, anche non visibile; realtà che si configura come una sorta di mondo rovesciato (vv.28-30).

 

Gli stessi Apostoli sembrano restare legati alla mentalità del contraccambio: «che ne avremo?» [v.27].

L’idea di retribuzione era tipica della cultura religiosa arcaica. Purtroppo, il tornaconto affossava l’Amore, annientava la gratuità dei gesti, rinnegava il significato del Patto di Alleanza.

In tal guisa, nella sua libera proposta Gesù vuol far subentrare il sostegno di una convinzione intima e apparentemente irragionevole, ma che sgorga nitida dalle sorgenti dell’essere.

Affiora qui l’Eros fondante della Chiamata.

Non tanto il carattere (placido e dimesso) del credente, bensì un Dono personale superiore: quello d’un discernimento irripetibile per ciascuno, legato alla natura profonda.

Per rigenerare [«palingenesi» v.28] bisogna rientrare con maggiore convinzione nelle proprie motivazioni.

 

Secondo s. Ignazio [Meditazione delle due bandiere], l’avidità delle cose fa nascere in noi il vano onore del mondo, e da esso si genera un’immensa superbia, che recide ogni possibilità d’interiorizzare.

Primato e ricerca di gloria tagliano la fecondità del Mistero, e attenuano la Scoperta personale. Non aprono allo Straordinario.

Infatti, quando Dio vuole realizzare un progetto sorvola sempre le situazioni esterne.

È un problema di senso, di radici della nostra scelta, di vitalità dal basso e «rinnovamento di tutte le cose» [v.28].

Una vita di obblighi o attaccamenti blocca la creatività, moltiplica gli idoli e le preoccupazioni artificiose; crea una camera buia, ove non si coglie ciò che ci appartiene.

Via i retroscena che coprono la nostra Unicità.

Il significato della sequela personale è in ordine al mutamento e Risveglio sperato, qualitativo: quello del Cento per Uno, forza dei deboli. 

Paradossale allargamento di prospettiva.

 

 

[Martedì 20.a sett. T.O.  20 agosto 2024]

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The family in the modern world, as much as and perhaps more than any other institution, has been beset by the many profound and rapid changes that have affected society and culture. Many families are living this situation in fidelity to those values that constitute the foundation of the institution of the family. Others have become uncertain and bewildered over their role or even doubtful and almost unaware of the ultimate meaning and truth of conjugal and family life. Finally, there are others who are hindered by various situations of injustice in the realization of their fundamental rights [Familiaris Consortio n.1]
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti [Familiaris Consortio n.1]
"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

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