(Nm 6,22-27; Lc 2,16-21)
Benedire il popolo era antica prerogativa del sovrano che agiva in nome di Dio e in un primo tempo aveva funzioni sacerdotali.
Ma in atteggiamento d’incontro che rende presente Dio in mezzo alle folle - il popolo del suo Volto - quello del re antico diventa anche un atto di culto da ritrovare.
Abbiamo bisogno di sentire che siamo benedetti: per non spegnerci, per rigenerare la verità affettiva che ci abita e riporta alla vita, quindi contemplarla e così avviare qualsiasi avventura.
La maledizione non rafforza, indica un rifiuto; ci separa. Benedire è la via della condivisione e della Pace, ossia della raggiunta completezza.
In Israele la benedizione divina era (infine) attesa in guisa materiale. Ma la formula del sacerdozio aronnita attesta l’idea originaria che la vita umana non ha il suo segreto nella configurazione più ovvia.
Infatti, anche noi sappiamo che le situazioni parziali e di solo conforto, irenismo, benessere e sicurezza, si trasformano nel loro opposto - non fanno crescere l'integrità della vita [autentico senso biblico dello Shalôm].
Chi non segue intuizioni innate, un richiamo più radicale del sé, o annunci sbalorditivi (Lc 1,26-38. 2,8-15) non sviluppa il suo destino, non si muove, non rimette le cose a posto.
I proclami comuni finiscono per incenerire le personalità.
È vero che i pastori non trovano nulla di straordinario e prodigioso, se non una famiglia ridotta in una condizione ordinaria che conoscono.
Ma è quel semplice focolare a coinvolgerli nel nuovo progetto di Dio, e nell’annuncio della sua scandalosa Misericordia senza condizioni - che non li ha fulminati per impurità.
La religione li aveva bollati per sempre: esseri persi, spregevoli, senza rimedio.
Ora sono liberi dall’identificazione. Hanno un ‘altro occhio’ - come quello della “prima volta”: sguardo che li porterà al cento per cento.
Esodati che si trovano davanti un’immagine di Dio indifeso, essi non si preoccupano d’impegnarsi in una disciplina etica, che li avrebbe sgretolati.
Godono lo stupore d’una realtà semplicemente umana - in una misteriosa relazione di reciproco riconoscimento.
Strano che il modesto segno - un bimbo in una mangiatoia, luogo impuro dove si trastullavano le bestie - li convinca, faccia loro recuperare stima, li renda evangelizzatori (forse neanche assidui).
Al pari del Calvario cui rimanda, la Manifestazione risolutiva dell’Eterno è un paradosso. Ma la geografia affettiva di questa Betlemme priva di circuiti conformisti resta intatta, perché spontaneamente radicata in noi.
C’è un senso d’immediatezza, senza particolari intrecci o cerimonie.
Il Bambino neppure viene adorato dagli sguardi ora “puri” dei piccoli, vilipesi cani della prateria e delle transumanze - come viceversa faranno i Magi (Mt 2,11).
Loro neanche sapevano cosa significasse, riflettere cerimoniali di corte orientali - come il bacio delle pantofole rosse.
[Per questo motivo Papa Francesco le ha rifiutate, insieme all’ermellino - dopo che Paolo VI aveva avuto il coraggio di deporre il segno pluridirigista delle tiare, con le sue tre corone sovrapposte; un pochino più intricata è stata la vicenda dell’anacronistica sedia gestatoria].
I miserabili della terra (i lontani dei greggi) sono coloro che ascoltano l’Annuncio, verificano prontamente, e fondano la nuova ‘stirpe’ divina.
Gente non tormentata dal giudizio statico, bensì ora ‘in mezzo’ a tutti gli uomini e non più ad alta quota.
Intanto Maria ‘ricercava il senso’ delle sorprese (v.19). Così rigenerava, per un nuovo modo di capire e stare insieme - per dare alla luce anche il mondo interno di tutto un diverso popolo della pienezza.
Ella ‘metteva insieme’ fatti e Parola, per scoprirne il filo conduttore, per rimanere ricettiva e non farsi condizionare dalle convinzioni dei recinti devoti, targati e inflessibili, che non le avrebbero dato scampo.
La Madre stessa, pur colta di sorpresa, si preparava all’eccentricità di Dio, senza allontanarsi dal tempo e dalla condizione reale.
La sua figura e quella dei pastori c’interpellano, chiedono il coraggio di una risposta - ma dopo aver lasciato fluire lo stesso genere di ‘presenze interiori’, visitatrici degne, cui è concesso esprimersi.
Anche Lei ha dovuto come noi passare dalle credenze dei padri alla Fede nel Padre. Dall’idea dell’amore come premio a quella del ‘dono’.
Dalla pratica dei culti e delle chiusure che non rendono affatto intimi all’Eterno, all’apertura della mente e degli usci.
Non lo ha fatto senza fatica, ma sopportando le resistenze del suo ambiente arido…
Gesù è stato infatti circonciso - inutile rito che secondo l’abitudine pretendeva mutare l’annunciato Figlio di Dio in figlio di Abramo.
La Buona Novella proclama un capovolgimento: ciò che la religione d’altri tempi aveva considerato lontano dall’Altissimo, è vicinissimo a Lui; anzi, gli corrisponde appieno.
Mai accaduto prima, immaginarselo.
È spalancata l’avventura della Fede. E il nuovo Bimbo ha un Nome che ne esprime l’inaudita essenza di Salvatore, non di giustiziere.
Tutta la sua vicenda sarà appunto pienamente istruttiva anche sotto il profilo di come interiorizzare incertezze e disagi: questi momenti “no” e le precarietà c’insegnano a vivere.
Infatti, anche noi come Maria «andiamo riconoscendo» la presenza di Dio negli enigmi della Scrittura, nel Piccolo ‘avvolto in bende’ - persino nell’eco ancestrale dei nostri mondi interni.
E ci lasciamo andare - non sappiamo bene dove. Ma così è l’Infinito, nelle sue pieghe.
Il saggio Sogno che abita l’umano sa di humus antico, ma il suo eco rinasce ogni giorno, nella marea dell’essere che orienta a ‘guardare’ davvero, senza veli.
Un contegno conformista d’imbattersi e ‘vedere’ esteriormente le cose, non risolverebbe il problema.
Talora per non farsi condizionare bisogna riedificarsi nel silenzio, come la Vergine; costruirsi una sorta di isola ermeneutica che schiuda porte differenti, che introduca altre luci.
Entro il suo circuito sacro anche la Madre di Dio valorizzava le innate energie trasformative, proprio radicandole sugli interrogativi.
In tal guisa, tornando al suo essere primordiale e al senso del Neonato - immagine antica, cara a molte culture.
Entrava in un Altrove e non usciva dal campo del reale: dentro il suo Centro, senza fretta.
Ricercando il Sole annegato nel suo essere e che tornava, emergeva, risorgeva nell’intimo, la faceva esistere oltre.
Così non si lasciava assorbire energie da idee tradizionali o da situazioni esterne, che pure volevano rompere l’equilibrio.
Nella sua vereconda solitudine - colma di Grazia - quell’io superiore e celato nell’essenza veniva sempre più a Lei, si faceva nuova Alba e guida.
Non voleva vivere dentro pensieri, saperi e ragionamenti dintorno - nessuno capace di amplificare la vita - tutti in mano alle droghe delle convenzioni, disumanizzanti l’Incanto.
La magia felice di quel Frugolo di carne portava la sua Pace.
I Sogni sostenevano e veicolavano il suo Centro - facendo scorrere una vita nuova dal Nucleo della sua Persona, e la giovinezza del mondo.