«Venite a vedere»
(Gv 1,35-42)
«Ora decima» (v.39): nella mentalità semitica, tramonto del vecchio e inizio del nuovo Giorno.
Tempo che dice: non siamo sbagliati.
Momento che viene affrontato in modo dialogico, cuore a cuore; non secondo un ordinamento prescritto.
Ora suprema, di tensione dell’anima - mentre non siamo mai gli stessi. Colmando il vuoto.
La Vocazione è scoperta del motivo per il quale veniamo al mondo, nella traiettoria di una strada percorsa come a piedi.
Sogno per cui siamo fatti: realtà che ci corrisponde immediatamente, in modo inedito, non stucchevole.
L’appello del focolare della Parola aiuta via via a capire la nostra persona e a definirne l’eccezionale missione.
Su tale orientamento, ecco fiorire ogni carattere variegato.
Insomma, Dio è «Colui che chiama».
Tutto, affinché senza troppo commentare ci vediamo dentro, intuiamo le spinte, sviluppiamo un nuovo sguardo sulle cose, le cogliamo come Incontro, e ci lasciamo andare.
Dice il Tao Tê Ching (LVII): «Da che so che è così? Dal presente» - e il maestro Ho-shang Kung commenta: «Lao-tzu dice: Come so che l’intenzione del Cielo è questa? Lo so da quel che vedo oggigiorno».
Tale scenario fa scattare nell’anima una passione che affonda nel Mistero.
Energia che sviluppa impeti e pause, su questa Via di convegno significativo con la realtà - e relazioni nuove pur stravaganti.
Senza l’isterismo di esasperazioni.
Il modo di scrutare il mondo è decisivo.
Se ancorato a piccole certezze di costume o di pensiero, ci farà essere e allestire sempre cose comuni, dettate dall’abitudine, da pregiudizi, da speranze condizionate che non ci appartengono.
Qui, mai sposteremo l’occhio interiore su processi e territori sconosciuti.
Quando viceversa intrapresi, essi introdurranno il cuore in una sorta di isola ermeneutica, a tu per tu con l’Amico invisibile che fa sentire ciascuno «a casa».
Tali percorsi insieme non ci daranno a priori la certezza di stare “nel giusto”, ma di essere coinvolti nel medesimo spirito del «Nazareno»: ossia ribelli alle costrizioni [in cui forse ci stiamo già mettendo].
Procedure che aggrovigliano di catene e lacciuoli la Voce superiore, o l’Icona innata da rimirare intimamente, figura della nostra Vocazione.
Se così, le inquietudini dell’Attesa, le sue frenesie fantastiche, quei mormorii che paiono campati in aria, saranno espressione di un inedito fiabizzante che non sappiamo cos’è - ma il nostro Fratello affascinante sì.
Viceversa, ricalcheremo la strada segnata da sempre o da altri. E saremo solo costretti a imitare, copiando l’esterno.
Ciò fin quando una visione alternativa non ci lanci a imboccare un sentiero ancora buio invece che ben illustrato (solito percorso, dove tutto è sotto controllo).
Col riscontro mentale eccessivo non arriveremo più in là dei circoli viziosi, o di personaggi già adottati e ruoli definiti.
Corazze umilianti lo Spirito, che non ama le sfingi, impermeabili alla rugiada della marea “che viene”.
L’eccesso di filtri e l’ipergestione non condurrà ad apprezzare il valore del mondo interiore e le sue presenze.
Il dirigismo comune non potrà aiutarci a percepire il senso degli incontri, l’apertura d’orizzonte delle proposte che la vita porta con sé… per smontare l’imprinting che trasciniamo.
Unica terapia per saltare oltre il solito modo di vedere le cose sarà spostare la prospettiva, affinché sia essa stessa a farci dissimmetrici.
E insieme ai fastidi, consenta di scendere in campo più ricchi; sempre variegati, fuori del perimetro tracciato da convenzioni paludose.
Con Gesù imboccheremo una via piena di insidie, eppure magica, perché non scontata.
Con Lui realizzeremo noi stessi, la vocazione e i nostri stessi codici - ma nella pienezza del poliedro che è personale essenza.
Né la donna né l’uomo restano senza modulazioni da scoprire e attivare; come fossero già tarati, anonimi, poveri davanti al Signore e agli altri.
Quindi nessuno è destinato a fare l’operaietto o il funzionario di arcaici carrozzoni - privi di figure viventi e inventiva fantastica, incantevole, da stupore.
Lo dice persino il tono trasognato di questa narrazione.
In rapporto di assiduità con Cristo, sono i suoi e nostri ideali fuori dalle direttive a caratterizzare l’esistenza.
Essa si fa rovente a partire dal Nucleo. A partire dall’anima... senza che prima venga normalizzata con sforzo, secondo regolamento altrui.
Attenzione dunque a non costruirsi un destino conformista di penultima mano.
Esso incaglierebbe tutta la vita, proprio perché scelto fra quant’è comune, banale, altrui; assuefatto e quieto - o viceversa delirante: criteri destinati al crollo.
La Chiamata è virtù, non proiezione di ambizioni suggerite da vanità dozzinali. Né un premio per fedeltà precedenti o dietro prestazione.
Anzitutto: una lettura di sé.
Un ascolto vivo degli eventi - più intimi, che conformisti e al contorno.
Nonché interpretazione partecipata della realtà, delle intuizioni, della Parola - e rielaborazione elastica di momenti, consigli, relazioni.
«Venite a vedere» [v.39: senso del sottofondo semitico].
La percezione, lo sguardo che si accorge, è essenziale per capire la Radice; chi siamo.
Niente d’intimistico, ma nulla di esteriore - neppure per gli accadimenti fuori di noi. Siamo coloro che sviluppano Immagini innate e Sogni.
Dio non ci ha creati per restare rasoterra, ma per spiccare il volo.
Eppure il Battista si era fermato [v.35 testo greco]: «di nuovo stava [là]».
Gesù invece procede, si muove sempre; inizia Egli stesso un nuovo cammino.
Il paragone è crudo. Le antiche aspettative si arenano - non hanno più forza in sé.
Per questo i primi discepoli di Gesù provengono dalla scuola di Giovanni - dove appunto si erano conosciuti.
Dopo essere stato allievo del più grande leader dei suoi tempi, il nuovo e giovane Rabbi si mette in proprio, e «si sposta».
Lo fa non per spiccare sugli altri, ma per Annunciare il Cuore autentico del Padre, nella sua cifra.
Verbo-evento di Figlio ormai formato, ma che nel suo Esodo assimila solo gradualmente i segreti del percorso umano e spirituale.
È una sorprendente identità, quella dell’Agnello di Dio: la sua Persona, vicenda e Sangue raffigurano l’Azione dello Spirito creatore.
Vento potente, impetuoso, che toglie alle forze del male la capacità di nuocere - non grazie a scorciatoie immediate e prodigiose.
Gli scopi troppo prossimi non uniscono l’uomo e il mondo a Dio.
Non confermano la giustezza e conformità del gran Fine e della Sorgente: continua Presenza che accompagna la nostra attività particolare.
Ogni anima ha una fisionomia originale: «è» in modo speciale, ha un suo posto e Senso.
La Chiamata personale permane costitutiva di tale essenza irripetibile, che apre al compito dell’unicità - grammatica del nostro linguaggio.
Persino con noi stessi; e l’interagire nel mondo. Nell’anima, dell’ascolto di Dio.
La Vocazione irripetibile. Ecco l’unico sentiero da percorrere per leggere e incontrare il genio del tempo prima dei problemi, e una sorta d’impulso amico.
Volontà e fattore di riconoscimento, che accompagna e orienta in ogni tematica.
Nella vita ci può essere un giorno e un’ora indimenticabili, ma il rapporto d’intimo dialogo esistenziale è fondante.
Non basta un incontro furtivo col Cristo in movimento inarrestabile, per «guardare dentro» e capire qualsiasi peso determinante.
E per diventare - come Simone - pietra da costruzione che compagina e viene compaginata (v.42).
Commentando il medesimo passo del Tao (LVII) sopra citato, il maestro Wang Pi sottolinea: «Chi governa il mondo con la Via, esalta la radice per far crescere i rami».
Come una vena artistica.
Solo in tale Visione permeiamo tutto l’essere intimo e l’attività terrena, senza dissolverci in essa.
Qui, anche in situazioni apparentemente irrilevanti, siamo noi stessi.
Siamo intenzione cosmica e divina; siamo smisuratamente importanti.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa attendi da Gesù?
O cedi e lasci che ti conduca?
Come pensi ti chiamerebbe?
In disparte
Incontro che preserva la forza vitale
(cf. Mc 6,30-34)
Spia e chiave interpretativa del brano di Vangelo è l’espressione «in disparte» (v.31), che nei Vangeli sta ovunque a indicare i momenti critici dell’incomprensione o persino opposizione aperta fra il Signore e gli Apostoli.
«Venite voi stessi in disparte, in un luogo deserto»: il richiamo esplicito al «deserto» è quello dell’Esodo - che ricorda il tempo del primo Amore.
Esperienza dei grandi Ideali che il cammino della Libertà poteva ancora infondere nel Popolo nuovo (generato nel silenzio, lontano dal trambusto degli idoli): riflessione e attenzione, sobrietà di vita, accoglienza, condivisione reale.
Gesù si allontana in modo sempre più deciso dal suo ambiente, e non vuole attorno a sé un orizzonte di eletti supponenti, attratti dalla visibilità improvvisamente esplosa - finendo per ritenersi indispensabili.
Essi risulterebbero sovraccarichi di luoghi comuni trionfalistici e monopolisti - poco attenti ai contenuti, al loro nesso con le forme di attuazione… e i risvolti sociali, come il superamento dei divari.
Infatti qui inseguono le molte cose da fare - anche per renderle positivamente più agili, certo - ma vanno a casaccio e a prescindere. Malgrado il tanto agitarsi e gli osanna, non fanno Percorsi sensati.
Sono sempre lì, anche se dovrebbero andare altrove; o viceversa.
Tutto ciò forse proprio per consolidare ascese e posizioni già dai primi tempi, a mo’ di certe cariche vitalizie oggi (mai messe in discussione) o tappe di carriere non mutabili.
Condizioni che fanno diventare artificiali, e non creano realizzazione intima né altrui. Sollevano un gran polverone, ma stanno nell’abitudine.
Il problema che hanno in mente è sbagliato, e malgrado gli eventuali sudori e lo scarso tempo libero (o per sé) non dimostrano un’energia autenticamente creatrice.
Lo vediamo.
Allora il Signore non chiama «in disparte» per un “ritiro” - per tutelare la stabilità di gerarchie sfiancate, o per un attimo di evasione che eviti la calca e il suo stress - ma perché qualcosa di profondamente sostanziale non quadra.
Bisogna farsi una bella autocritica.
In tutti i quattro Vangeli, unicamente Gesù è colui che «insegna» (passim, testo greco). Gli apostoli - che si danno aria di maestri (v.30) - ricevono il solo compito di «annunciare».
Non hanno titolo alcuno per approcciare persone pensando di dover trasmettere una vita su misura dei loro programmi, e una mente tarata sul risultato (o l’appartenenza a stendardi).
Dopo averli chiamati a sé - perché ancora lontani - e mandati a proclamare la propria esperienza di libertà e la Buona Notizia a nostro favore (vv.7-13) il Maestro non sembra molto contento di quello che gli apostoli hanno predicato.
Quindi impone loro una verifica (così diremmo) di catechismo base, proprio per i suoi intimi...
Ancora dopo il suo fallimento persino a Nazareth (vv.1-6) - i suoi banditori hanno volentieri confuso il Servo (che li stava educando) col Messia vincitore, sospirato, rispettato e glorioso.
Per questo motivo, di fronte a masse bisognose di tutto, per prima cosa il Signore «cominciò a insegnare» (v.34 testo greco).
Insomma, il giovane Rabbi deve ricominciare daccapo, onde correggere le facilonerie illusorie trasmesse dai seguaci... magari solo per lasciare una traccia, farsi riconoscere e avere successo (con la gente smarrita!).
Scrive il Tao Tê Ching (xxvii): «Chi ben viaggia non lascia solchi né impronte [...] chi ben chiude non usa sbarre né paletti».
Il maestro Ho-shang Kung commenta: «Chi ben procede nella Via cerca in se stesso, senza scendere dalla sala né uscire dalla porta. Per questo non lascia solchi né impronte». E aggiunge: «Chi ben chiude le sue brame per mezzo del Tao, preserva la forza vitale».
Il maestro Wang-Pi precisa: «Procede conformemente alla spontaneità, senza essere causa né principio: perciò le creature raggiungono il loro più alto grado, senza che egli lasci solchi di carri né impronte di piedi [...] si conforma alla spontaneità delle creature e non istituisce né conferisce».
I più stretti collaboratori di Gesù non avevano ancora capito che esiste un altro Mondo, evolutivo e capovolto - però ignorato.
Per questo hanno una fortuna tutta loro, ma producono una pessima evangelizzazione.
Le folle che si accalcano attorno al Signore erano infatti ancora rimaste esattamente tali e quali a prima: «come pecore che non hanno pastore» (v.34). Intrise di sgomento.
Malgrado l’affermazione di cerchia dei discepoli - che avevano puntato sul modello della sudditanza e del prestigio - l'umanità continuava a gridare. La loro stabilità rendeva ancor più insicuri gli altri.
(Vogliamo scoprire la nostra ricchezza, non solo quella degli “allievi” sempre vicini, dei fondatori, dei prìncipi o dei responsabili).
Mancava tutta l’amicizia che nutre più del cibo, una percezione di adeguatezza che soddisfa più della salute; l’adesione che trasmette vita, il senso del proprio nascere e cercare; l’Incontro che fa spostare lo sguardo, l’unione intimamente riconosciuta con la Verità.
Apostoli o non apostoli, senza la Persona stessa del Cristo, quel popolo che cercava le sue radici non sarebbe fiorito - tantomeno a partire dalle proprie sfumature grigie, fragili e poco brillanti.
Le esigenze profonde dei malfermi erano assolutamente intatte, malgrado il gran daffare dei leaders - un’intensa occupazione attorno… purtroppo artificiosa e disattenta, ancora ambigua e immatura, dirigista e superficiale.
Esteriorità che perfino al giorno d’oggi non consentono alle persone disorientate di giungere al più alto grado del loro essere, perché ogni espediente pastorale fa scattare il viceversa: una perdita di capacità.
I festival astutamente oppiacei e artefatti propugnati dalle guide approssimative sono espressione del normale risvolto religioso della civiltà dell’esterno.
Stare col Signore nuovamente… rimette le idee a posto.
Egli solo spalanca gli usci della comprensione e crea le altre opzioni che ci corrispondono - nella quintessenza e nella speranza - generando risposte nuove a domande nuove, sorvolando le compattezze forzate.
Questa la vera vacanza, l’autentico Appuntamento decisivo: rimanere con la Persona giusta; quella che non snerva coi suoi ritmi sbagliati, né aggiunge confusione a confusione.
Cristo raccoglie il nostro nocciolo dalla dispersione, il nostro seme dalla frammentarietà che si cela dietro le maschere della finta perizia; il nostro fiore, dalla vita senza scopo intimo.
Per cercare se stessi bisogna raccogliersi insieme a Lui - e verificarsi nella potenza creatrice della sua Parola, interpretata ben lontano dai luoghi comuni che anestetizzano.
La calca e i rumori della folla (pur ingenua) confondono le idee; inculcano le trame volgari del regno terreno: non lo stile della vita divina, la quale ci affida alle nostre stesse risorse inespresse.
Basta con i modelli. Abbiamo bisogno di un Testimone reale, che corrisponde, e si fa compagno di viaggio.
Sentiamo incessante desiderio di essere bilanciati nell’identità del bene concreto. Esso sta oltre i tratti fatui, varianti ma subito succulenti di riconoscimento. Qui, nessuna persona rigenera.
Solo intorno al nostro Amico interiore diventiamo Corpo in colloquio serio, amabile e profondo (persino nel quotidiano rumoroso e confuso).
Dopo una giornata di preoccupazioni, invece di anestesie televisive e prima che in cose epidermiche, ritempriamoci a partire da questo Contatto che introduce nel Banchetto della vita (vv.35-44).
Saremo recuperati invece che condannati alla pia futilità - e mai soli. Dentro abbiamo un Amico.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come evangelizzi? Parla Gesù in te o parli solo tu?