Fine di un ordine “sacro”
(Lc 13,31-35)
Il contesto in cui Gesù vive è minaccioso: il potere [anche delle corti di periferia dell’Impero] era assoluto e non rendeva conto a nessuno della gestione spicciola.
Ma l’edificazione del Regno di Dio non dipende da alcuna autorizzazione, da alcun permesso, da alcuna bonaria concessione da parte dei soliti noti e governanti rapaci, sul territorio delle province.
Chi vuole adempiere la propria missione non può accontentare le «volpi» che usurpano il potere.
Si tratta di piccoli e dannosi parassiti di situazione, ma svelti - pur non essendo grandi fiere roboanti come nella corte romana e senatoriale.
Col suo atteggiamento scaltro, il re Erode (astuto collaborazionista) era riuscito ad assicurarsi il dominio per diversi decenni, e una vita senza scossoni.
Ogni villaggio della Palestina era presidiato da funzionari e delatori del sovrano, nonché praticanti e subordinati della religione popolare ufficiale [anche farisei, che appunto Gesù rimanda al mittente: v.32].
Antipa riusciva sempre a galleggiare sulle situazioni e starsene in pace.
Ma dopo essersi illuso di aver sistemato il Battista e con lui la sua scuola, eccolo di nuovo allarmato per il sorgere d’un pericolo maggiore.
Il giovane Rabbi diffondeva fiducia profonda non nei forti, bensì nei malfermi. In tal guisa, operava in profondità nelle coscienze, e sembrava potesse surclassare persino i Profeti.
Infatti, aveva iniziato a suscitare ben altre emozioni che la solita proposta di purificazione del Tempio e di rabberciamento dello spirito delle origini religiose identitarie, antiche.
Poi, se dal centro del potere sul territorio erano precipitosamente sopraggiunti gli ispettori (v.31), Gesù doveva averla fatta proprio grossa. Così dimostrando totale libertà da condizionamenti.
Pertanto il successo del suo pensiero avrebbe potuto suscitare disordini nell’assetto del sistema.
Ma i messi di Dio non escono dal territorio del rischio, pur sapendo ciò che li attende: il rigetto, e anche peggio.
Gli inviati veri non mollano, non si lasciano travolgere da seduzioni, né ammansire dagli intimidatori.
Non lo fanno per dovere, ma per fedeltà a se stessi, e per il fatto che sono attratti da una Visione che appartiene a tutti.
Essi riescono a cogliere la paradossale fecondità del Mistero, e appunto presentire che i dolori del parto genereranno nuove Nascite.
Allora senza più indugio salgono alla città che martirizza i non mediocri (v.33).
Tutto ciò, affrontando faccia a faccia l’opposizione delle arcigne e ben organizzate autorità ufficiali, le quali sanno come svilire l’effervescenza della vita della gente.
Gesù e i suoi intimi, se autentici seguaci, svolgono un’esistenza segnata da una sorta di attrazione della croce - per Amore che va sino in fondo e non disdegna i confronti [non perché animati da masochismi doloristi].
Certo, il loro sentimento per le sorti di una patria che si lascia andare alle vanità, all’ideologia di potere e al suo “vantaggio”, intraprendendo il binario dell’autodistruzione, fa piangere di dolore.
Gerusalemme era centro del popolo dei figli di Dio, “eletti” [solo] per dispiegare il volto del Padre.
Vocazione della città santa era non quella di consegnarsi a una volpe (v.32) bensì farsi chioccia [v.34: propriamente, «gallina»] che non chiude ma allarga le ali per i suoi piccoli, radunando tutti gli innocenti.
Gli “animali” che Cristo nei suoi richiami ci propone a modello non sono quelli regali e predominanti come l’aquila, il toro o il leone, bensì i domestici, subalterni e insignificanti: agnello, gallina, asinello, puledro [es. Ingresso messianico (Lc 19,28-40) cui segue il Pianto su Gerusalemme (vv.41-44)].
Per timore di non riconoscergli sufficiente dignità, il suo “bestiario” tradizionale (da trionfatore e Altissimo quale doveva essere inculcato alle masse inconsapevoli) spesso non ha nulla avuto a che fare, purtroppo, col dato evangelico.
Tuttavia - pur defenestrato dalla sua Casa nella città santa, nonché dal cuore di chi pretende solo quietismi - in Cristo il Popolo autentico di amici si riproporrà (v.35) anche sulla via dell’insuccesso.
Non per buonismo affettato: nel frattempo avrà allargato l’orizzonte della sua paternità ad altri popoli, in favore d’un coinvolgimento concreto.
Ciò senza - mai più - i paludosi confini della cultura locale, specifica, talora usurpante, che ovunque produce alienazioni e disgregazione.
In linea di massima, le cose sono andate come sottilmente denuncia l’enciclica Fratelli Tutti (parafrasando). Insomma, il modo migliore per avanzare è stato ritenuto nella storia [dal convincimento dirigista prevalente] non quello d’integrare, bensì di soggiogare - suscitando disperazione e sfiducia costante nello sviluppo del bene comune. Disperazione e sfiducia, mascherate «con la difesa di alcuni valori» [n.15].
L’ecclesiologia del trionfo faceva un tempo da spalla al tipo di mondo che tendeva a dissolvere le consapevolezze particolari.
In tali procedure dall’alto, si trasferivano le tensioni esacerbando i conflitti anche “orizzontali” - quindi colonizzando le fisionomie; infine mettendole a tacere [FT nn.14-15].
Parola viva e storia attuale, cui prima o poi bisognerà porre rimedio. In modo semplice, ma non unilaterale: inclusivo.
Grazie a una migliore consapevolezza biblica e con il contributo di un nuovo Magistero, ecco farsi carne il Gesù vivente e cosmico.
Egli via via ci distacca dall’orpello d’un regno che sembrava accontentasse le coscienze con lo schema dell’ordine… deviandoci sull’astuzia di Erode e delle «volpi» (v.32).
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi i momenti critici della Redenzione? Ti accodi agli ispettori normalizzanti che tentano d’incutere paura, o segui la tua missione profetica?
Cosa pensi della rivoluzione culturale in atto nella Chiesa? Ti sollecita - reca disturbo - conferma il tuo essere figlio e fratello? Speriamo di sì.