Due figli: «No» e «Io!»
(Mt 21,28-32)
Mt scrive dopo mezzo secolo dalla morte del Maestro e constata che la maggioranza dei figli di Abramo - il suo popolo - non ha riconosciuto Gesù Messia.
Nelle sue comunità di Galilea e Siria i pagani diventavano rapidamente maggioranza - elevati al rango di figli.
Essi non si sottoponevano a trafile snervanti, ma spontaneamente riconoscevano il Signore.
È un invito ai veterani di chiesa ancora giudaizzanti, a rivedere la loro religiosità (molto di facciata) che ritiene di aver compreso tutto, ma non coglie l'essenziale del disegno divino sull’umanità - e non c’incammina al “lavoro”.
[Culti tranquillizzanti, legalismi tradizionali o sogni isterici salvano solo le apparenze].
Mt vuole che i fedeli di chiesa non avessero invece presunzione alcuna di sentirsi a posto, quasi per anagrafe.
Come Pietro (Mt 16,16-28) a volte i direttori anziani erano disposti a impegnarsi per un Messia che avevano solo in testa - non a testimoniare l’Agnello impegnato a trasmettere vita ai nuovi; rallegrarla, promuoverla, donarla.
[Beninteso, oggi non siamo abilitati a identificarci col “terzo figlio”, quello che... “dice «signorsì» e opera”].
È la ritenuta feccia della società, gli esclusi dal regno di Dio (vv.31b-32) che “prende il posto” dei leaders - di coloro che hanno idee sofisticate o la stessa tradizione “a posto”.
A paragone dei primi della classe, gli ultimi arrivati non erano più meritevoli di esperti e abitudinari, ma essendo privi di paravento perbenista diventavano man mano disposti ad amare.
Coloro che i dirigenti antichi consideravano responsabili del ritardo del Regno non erano ancora sordi alla Parola.
Del resto, anche Giuda si è pentito.
I capi che si sentono adempienti o grandi riformatori e fenomeni, non si convertiranno mai.
Ecco perché il Maestro era a suo agio coi diversi, più che coi religiosi sterilizzati o con gli idealisti disincarnati.
Insomma: bisogna lasciarsi sottoporre a valutazione.
È necessario mettersi in discussione, fermarsi, interrogarsi: «Che ve ne pare?» (v.21).
Dopo la cacciata dei venditori, le autorità sono furibonde, perché Gesù ha dichiarato che il Tempio di Gerusalemme è un covo di banditi.
Che ingenuo! Non si tocca il dio unico dei luoghi santi antichi, quello vero: il sacchetto delle guide e il tesoro dei sacerdoti implicati.
I massimi responsabili degli affari in nero del recinto sacro non vogliono assolutamente perdere la faccia.
Essi appaiono credenti e leali, ma solo se scrutati di fuori.
Il loro occhio interiore e l’attività ben celata dietro le quinte si posa su tutt’altro che i beni spirituali.
Il loro dio unico si chiama convenienza. Allora è ad essi che il Maestro rivolge la parabola.
E già l’esordio è provocatorio... Nei racconti dei rabbini il «figlio» era uno solo: Israele!
Per Cristo, invece, anche uno scapestrato rimane figlio [che ce ne pare di questo, per esempio... a cominciare dal catechismo, per finire nei corsi di esercizi spirituali?].
Il Padrone della Vigna immagine del popolo eletto si rivolge [per la nuova traduzione CEI, inizialmente] al suo «prototipo» di uomo con tenerezza e viscere materne: «Figliolino mio».
Cerca di fargli capire: «La terra poco famigliare è piena di dissensi e rancori, invece la Vigna è tua; impegnati dunque a costruire il mondo della gioia».
Ma è in fondo normale ostinarsi: «Non ne ho voglia» - perché spesso siamo attratti non dalle Beatitudini, bensì dai criteri mondani dell’avere, potere e apparire; del trattenere per sé, salire sugli altri e dominarli.
Lavorare in favore della vita altrui, riconoscerne la dignità e promuoverla, non sorge a tutti immediato e spontaneo.
Anzi, appare oneroso - almeno sino a quando non riusciamo a comprendere il valore dei fratelli, per noi stessi (e scorgere il “nostro” nei “loro” volti).
È solo un cammino di vita nello Spirito che ci rende pronti a riconoscere che il Tu sollecita, dilata, arricchisce e completa l’Io.
Incontrare gli altri sul serio significa aver incontrato se stessi, nella poliedricità dei propri lati.
Non è semplice. Infatti, è più corrivo identificarsi o essere solidali a distanza, che fraterni.
Difficile di fatto eliminare l’egoismo, il quale è un dato creaturale che va integrato per arricchire tutti, piuttosto che fintamente esorcizzato.
Insomma: il “diverso” non è solo un appello, ma una ricchezza sconfinata per me stesso; parla del mio stesso essere, proprio in quel modo lì.
Ma per comprendere l’amore - appunto, anche verso di sé - tutti abbiamo bisogno di tempo, esperienza, approfondimenti, crescita dell’empatia e ulteriore esplorazione.
Poi lavorare è anche dispendioso, a partire dall’intimo.
Ovvio che istintivamente ci si possa tirare indietro - almeno sino a quando non s’inizi ad apprendere il legame profondo con il lontano che chiede vita [esattamente come facciamo sempre, in prima persona].
La percezione di ciò che appare “straniero” diventa intuizione rara della propria essenza, dilatazione dell’Ego - movimento e processo crescente che porta a comprendere il Tu nell’Io.
L’eccentricità del fratello è lo spunto paradossale per ritrovare se stessi e la propria strada.
Costruire il mondo nuovo può essere repellente alla natura (in alcuni lati) segnata dal peccato e dal ripiegamento.
Bisogna capire le reazioni d’istinto banali, perché le condanne preventive bloccano la crescita.
Solo passo dopo passo prendiamo coscienza che la vita autentica e piena fa emergere l’Oro divino.
Accentua la caratura squisitamente umana che anche il Padre celeste suggerisce - sorpassando il disinteresse per l’anelito che su due piedi sembra non ci riguardi.
Certo, all’inizio la ripulsa può affiorare; non c’è da scandalizzarsi, né additare.
Recuperare la dimensione umana profonda non è un gioco da ragazzi.
Poi è la differenza che ci dà lo spunto, non la “regola” - né il “rimprovero”. Questi ultimi non attivano nulla di autentico.
Del resto lo sappiamo per esperienza: il Sì più convinto passa attraverso un No iniziale.
La lotta interiore è da mettere in conto - infine essa stessa andrà a incidere ben oltre un’adesione formale.
Non c’è da rimanere indignati se qualcuno risponde picche.
Poi cambierà idea [v.29 della nuova traduzione CEI]: «metamellomai». E recupererà il carattere radicale di figlio e fratello.
Per afferrare la propria posizione e corrispondere sapientemente alle proposte del Signore bisogna che la persona passi attraverso un vaglio delle cose.
Ciò chiama un discernimento dalle proprie radici, delle relazioni, e di se stesso (nelle sue molte diversificazioni).
Insomma, il Sì più vero deriva da una richiesta di spiegazione - che porta a contatto diretto con la Fonte del nostro carattere variegato - condizione che ci completa.
La vita non è un copiare e ricalcare. Bisogna fare attenzione agli “yes-man”: stanno recitando una fiction da paravento.
Sebbene gl’identificati siano “pronti e proni” a mostrare subito le migliori intenzioni, essi diventano tutta vetrina e nessuna sostanza; infine solo parole vuote.
Si rivolse dunque al secondo [v.30 nella nuova traduzione CEI] in realtà primogenito delle promesse: «Io, Signore!».
Come dire: «Ci sono io, qui; perché pensare ad altri?».
La reazione esageratamente affine e positiva - in realtà qualunquista perché abitudinaria e forse calcolata - sta a indicare che il “reduce del credere e delle adesioni”, come minimo non ha capito...
Senz’altro non era d’accordo col programma del Padre - così profondo e impegnativo. E pensava a modo suo come ci si comporta nella Vigna.
Pertanto s’illude di trovarsi avvantaggiato, invece che Salvato.
Fede e protocolli
«Peccatori manifesti e contaminati vari vi stanno passando avanti»
(Mt 21,28-32; in part. v.31)
Specifico della Fede, che fa differenza, è non fidarsi dell’ideologia religiosa dei migliori.
Un credo è autentico se sopporta di essere vagliato in prima persona; il resto è artificio, sfiducia col trucco.
La convinzione personale passa attraverso una spontanea richiesta di spiegazioni [tipica in tal guisa la vicenda dei due figli, che dicono entrambi sì e no].
Il discrimine della vita nello Spirito? L’eccezione che diventa promozione.
Comparato alle diverse credenze antiche, un lato intrinseco dell’invito di Gesù è la mente adulta.
Essa esclude soluzioni aderenti (comuni o élitarie): racchiudono le anime in una condizione di dipendenza, con progressi illusori.
Donne e uomini rispondono «Eccomi» all’appello perché intimamente persuasi, non per influsso esterno di etichette, rituali, protocolli, ufficialità, rispetto di guide canoniche; abitudini altrui, e sentito dire.
Alla richiesta dei discepoli di aumentare la loro fede, Gesù neppure risponde (Lc 17,6).
Non dice di migliorare questo o quello. Impossibile cesellare un amore a tappe scandite.
La Fede non è un regalo da mettere al riparo e che il Padre fa solo a qualcuno, ma una relazione di fiducia creativa che si accende in risposta all’iniziativa gratuita, rinnovata, rinvigorita, ripetutamente svecchiata, della Sorgente dell’essere - quando passo dopo passo la si accoglie invece di rifiutarla.
Non solo è una proposta personale e variegata in sé, ma vuole pure essere reinterpretata e resa lussureggiante con l’inedito tutto nostro.
L’unico vigore da introdurre negli eventi è un diverso volto, per nulla difensivo, né finalizzato ad aumentare la situazione.
Perché chiamati a divenire ciò che siamo.
L’anima ci guida a incontrare noi stessi, schiettamente e non ricalcando un complesso di procedure esterne - però, di onda in onda.
Quindi non c’è chi ha già molta fede, altri così così; alcuni in misura giusta, o carente e per niente - magari aspettando di trovare il Dono da qualche parte per rimetterlo in cassaforte e moltiplicare il gruzzolo - conservandolo sempre nel medesimo buco del muro.
Va dunque sradicata l’idea conformista, ingessata e ambigua di progresso spirituale.
Esso non è contenuto nei limiti dei “lavori in breccia” da muratore che segue pedissequamente un progetto. E suda suda per inserire in un qualche loculo raffazzonato l’identico scrigno di tutti - ricevuto come pacchetto completo.
Poi, non esistono prediletti, né riferimenti d’avamposto per difenderlo.
Non vi sono scartati collocati a margine, né truppe “medie” secondo capacità di guardia e performance.
Nell’itinerario autentico non esiste una traiettoria o una via d’uscita unilaterali [come fosse un solo varco, già preformato in ogni dettaglio].
Neppure qualche arricchimento pedissequo, a modello - ritenuto eventualmente possibile per eroi a parte, su base ascetica convenzionale.
Non sono questi i veri amici dell’energia vitale.
Morale - a contrario: mai fidarsi di coloro che si precipitano a dire: «Sissignore!».







