Mar 3, 2025 Scritto da 

La Croce-dentro della Preghiera: lo sguardo non più posizionato all’esterno

Orazione dei figli: prestazione o Ascolto?

(Mt 6,7-15)

 

Nelle comunità di Mt e Lc la “preghiera” dei figli - il «Padre Nostro» - non nasce come orazione, bensì come formula di accettazione delle Beatitudini (nelle sue scansioni: invocazione al Padre, situazione umana e avvento del Regno, liberazione).

In ogni caso, la piena differenza fra preghiera religiosa ed espressione animata dalla Fede è nel discrimine tra: Prestazione o Percezione.

[Come dice Papa Francesco: «Pregare non è parlare a Dio come un pappagallo». «Il nostro Dio non ha bisogno di sacrifici per conquistare il suo favore! Non ha bisogno di niente»].

Nelle religioni - infatti - è il soggetto orante che “prega”, esternando richieste, esponendo se stesso, lodando, e così via.

Ancora nel Tomismo, si considerava la virtù di religione come un aspetto della virtù cardinale della Giustizia. Come dire: la giusta posizione dell’uomo a cospetto di Dio è quella di colui che riconosce un dovere di culto (culto che si dirige a partire da lui) verso il Creatore; e l’uomo - soggetto della preghiera - lo adempierebbe.

Viceversa, il figlio di Dio in Cristo è un «uditore» del Logos: è colui che tende l’orecchio, percepisce, accoglie: insomma, il Soggetto autentico che si esprime è Dio stesso.

Egli si rivela attraverso la Parola, nella realtà degli eventi, nelle pieghe della storia universale e personale, nella particolare Chiamata che ci concede, persino nelle immagini intime.

Esse si fanno plastiche espressioni di Mistero (e Vocazione personale) le quali onda su onda addirittura guidano l’anima.

 

«Pregando, non blaterate come i pagani, infatti essi credono di venire esauditi per la loro verbosità» (Mt 6,7; cf. Lc 11,1).

Nella Fede partecipiamo della preghiera autentica di Gesù stesso - Persona in noi - rivolta al Padre, anzitutto in «ascolto» delle Sue proposte provvidenti: come se uniti all’Amico e Fratello ci inserissimo in questo Dialogo - ricolmo di suggestioni persino figurative.

Ma è l’Unigenito a pregare; non siamo noi i grandi protagonisti. Solo in tal senso l’atto orante può definirsi «dei figli» o “cristiano”.

La nostra vita di preghiera non è un esercizio ascetico - tantomeno un dovere, né una lista della spesa - perché Dio non ha bisogno di essere informato su qualcosa cui prima non aveva pensato.

Come dice il Maestro, il Padre sa ciò di cui abbiamo bisogno (Mt 6,8). Quindi per rivolgersi a Lui non è necessario alcuno sforzo [ fatica lacerante per centrarsi su se stessi e uscire fuori di sé…]. Né ci obbliga a troppe (o giuste) parole.

La preghiera autentica non è un ricalcare, né un salto nel buio esteriore, bensì uno scavo e vaglio, donato. Un tuffo nel nostro essere, dove l’intimità dell’Intesa si propone di capire la firma d’Autore nel cuore delle vicende; persino delle emozioni.

L’orazione dell’uomo di Fede non ha l’obiettivo d’introdurre la volontà di Dio e la realtà delle situazioni in angusti orizzonti e giudizi già comprensibili, come spingendola a sintonie innaturali.

La preghiera è un balzo percettivo senza identità ripetitive, dal proprio Nucleo - che azzera le tossine mentali; e così diventa un’esperienza di pienezza di essere, alla ricerca di senso globale e personale.

L’uomo orante non è neppure preda d’un qualche stato parossistico eccitato (ridicolo o soporifero): sta accogliendo un’Azione - un’Opera di paradossale sospensione, nel percorso verso la propria Beatitudine.

 

La preghiera è persino un gesto di ordine estetico in Cristo. Appunto perché tende a speronare il nostro immaginario quotidiano, affinché esso venga plasmato secondo la visione guida che inabita. Sposta e quasi dirige l’occhio dell’anima, e l’esperienza ecclesiale.

Una virtù-evento che via via cesella quell’immagine personalissima che porta a consapevolezza un obiettivo o una realtà comunitaria di lode, ovvero una narrazione innata... Voce di energie sconosciute, per cambiamenti importanti.

Passo dopo passo tale percezione e dialogo che s’affaccia induce a interiorizzare sprazzi nascosti della via che ci appartiene: una missionarietà che cerca sintonie, la creazione d’un ambiente vivo, e così via. Anche destabilizzanti.

Solo in questo senso la preghiera è in ordine ai nostri benefici.

Né può ridursi a distintivo di gruppo, perché pur riconoscendosi in alcuni saperi ciascuno ha un suo proprio linguaggio dell’anima, una rilevante storia e sensibilità, un inedito mondo iconico (anche in termini di micro e macro relazioni sognate), nonché un compito irripetibile di salvezza.

 

Anche per questo motivo - sebbene in ordine alla comunità di riferimento - il Simbolo dei rinati in Cristo che si rivolgono al Padre ci è pervenuto in versioni differenti: Mt, Lc, Didaché [«Insegnamento» forse contemporaneo agli ultimi scritti del Nuovo Testamento, una sorta di primo Catechismo].

Per introdurci a considerazioni specifiche, è opportuno chiedersi: perché Gesù non frequenta i luoghi di culto per recitare formule di tradizione, bensì per insegnare?

E mai risulta che gli apostoli preghino con Lui: sembra che essi volessero solo una formula per distinguersi da altre scuole rabbiniche (cf. Lc 11,1).

Il Signore tiene duro unicamente sulla mentalità e lo stile di vita: procede su opzioni fondamentali - e insiste sulla percezione tesa all’accogliere, più che al nostro dire e organizzare (poco intrisi di eternità fondata).

 

 

Padre

 

Il Dio delle religioni era nominato con sovrabbondanza di epiteti onorifici altisonanti, come se bramasse schiere sempre più nutrite d’incensatori.

Il Padre non si fa accompagnare da titoli prestigiosi. Un figlio non si rivolge al genitore come a un altissimo, eterno o eccelso, ma come a colui che gli trasmette vita.

E il figlio non immagina di dover porgere grida e riconoscimenti esterni - altrimenti il superiore e padrone si adonta e potrebbe castigare: il Genitore guarda i bisogni, non i meriti.

Il Dio delle religioni governa i sudditi emanando leggi, come fa un sovrano; il Padre trasmette il suo Spirito, la sua stessa Vita, che eleva e perfeziona sia le capacità di ascolto personale che l’accorgersi (ad es. dei fratelli).

Unica richiesta è quella di estendere le nostre risorse missionarie e di alimentarci del Pane-Persona che ci rimodella sulle sue stesse virtù, secondo ciò che dovremmo essere, e avremmo forse già potuto essere.

 

Una realtà alla nostra portata è la cancellazione dei debiti materiali che il nostro prossimo ha contratto nella necessità.

Non c’è testimonianza del Dio-Amore che non passi attraverso una comunità fraterna, in cui si vive la comunione dei beni.

La sicurezza di essere a posto con Dio è nella gioia della convivenza e della condivisione.

Nel credo religioso si confondono spesso le benedizioni materiali con quelle divine, il che accentua le competizioni, il primato artificioso e i disagi della vita reale.

Viceversa, lo spirito delle Beatitudini si rende palese in un popolo in cui sono abolite le distinzioni tra creditori e debitori.

 

 

«Non c’indurre»: antica Preghiera dei figli, nella vita reale

 

Essenza di Dio è: Amore che non tradisce e non abbandona; inutile, confusionario e blasfemo chiedere a un Padre: «Non abbandonarmi» [cf. testo greco]. Anche se può essere d’effetto all’orecchio esteriore.

Le false mistiche del Gesù abbandonato (addirittura dal Padre!) non educano; forse affascinano, sicuramente confondono - e plagiano.

Nella preghiera è garantito solo lo Spirito: la lucidità di comprendere la fecondità della Croce, il guadagno nella perdita, la vita non nel trionfo ma nella morte. E la forza per essere fedeli alla propria Chiamata, malgrado le persecuzioni anche “interne”.

La comunità e le singole anime chiedono tuttavia di non essere posti nelle condizioni estreme della prova, ben conoscendo il proprio limite, la personale invincibile precarietà, sebbene redenta.

 

Questa la soglia che distingue religiosità e Fede: da un lato la formula “sicura” dei convinti e forti; dall’altra un’orazione dimessa e in attesa: dei malfermi, riscattati per amore.

 

«Non c’indurre» è appunto [nel senso latino e greco: «introdurre sino in fondo»] un antico Simbolo dei rinati in Cristo, nell’esperienza della vita reale.

 

Nelle religioni esistono demoni e angeli nettamente contrapposti: potenze disordinate e oscure, contrarie a quelle luminose e “a posto”.

Ma a forza di far retrocedere le prime, le peggiori continuamente riaffiorano, sino a vincere la partita e dilagare.

Nelle vite dei santi vediamo questi grandi uomini stranamente sempre sotto tentazione - perché disdegnano il male, quindi non lo conoscono. Man mano, i continui assilli diventano però frotte incontenibili.

 

La donna e l’uomo di Fede non agiscono secondo corrivi e superficiali modelli prestabiliti, neppure religiosi; hanno consapevolezza di non essere eroi o fenomeni da paradigma.

Ecco perché si affidano. Essi lasciano trascorrere i problemi intimi: ne hanno compreso la forza!

È questo il significato della formula del Padre Nostro, nel suo senso originario: «non portarci sino in fondo nella prova, perché conosciamo la nostra debolezza».

Tale attenzione sorge affinché proprio il peccato - a furia di rinnegarlo, poi mascherarlo - non diventi paradossalmente il protagonista occulto del nostro cammino. Il perno dell’attenzione, che purtroppo ingorga i pensieri, bloccando i processi interni di crescita spontanea, percezione di Grazia e autoguarigione [in ordine alla propria irripetibile Chiamata].

Sarebbe il contrario d’una Redenzione e della Libertà, quindi dell’Amore: si annienta dove c’è un superiore che sovrasta - fosse pure Dio.

Assai proficuo è viceversa ricuperarne l’energia, che ci ha posti in contatto con i nostri strati profondi, per nuovi orizzonti. E assumerla facendola propria ospite, a pieno titolo - per (solo poi) investirla in maniera inattesa e sapiente.

Se viceversa la nostra “controparte” diventa costante retropensiero e blocco, siamo fritti.

 

Dolori, fallimenti, tristezze, frustrazioni, debolezze, mille angosce, troppe cadute, ci abituano a vivere il male come parte di noi stessi: Condizione da valutare, non “colpa” da tagliare in orizzontale.

Nel processo di vera trasmutazione salvifica, quel segnale parla di noi: dentro una deviazione o l’eccentricità c’è un segreto o una conoscenza da rinvenire, per rinascere personalmente.

Posando lo sguardo sui disagi e le opposizioni, ci accorgiamo che questi lati critici dell’essere diventano come un magma plasmabile, il quale più speditamente accosta la guarigione. Come attraverso una conversione, permanente, radicale… perché coinvolge e ci appartiene; non artificiosa e di periferia, ma di fondo, di Seme e Natura.

Schemi e convinzioni assorbite non lasciano comprendere che la vita appassionata è composta di stati contrapposti, di energie competitive - che non bisogna mascherare per farci considerare gente perbene.

 

Percependo e integrando tali profondità, deponiamo l’idea e l’atmosfera di pericolo incombente, privo d’ulteriori occasioni, solo per la morte.

Diventiamo maturi, senza dissociazioni o stati isterici derivanti da identificazioni artificiose, né disistima per una parte importante di noi.

Insomma, le ristrettezze e le “croci” hanno qualcosa da dirci.

Esse scuotono l’anima alla radice, spazzano via le maschere assorbite, accendono la persona, e salvano la vita.

In tal guisa, gli inconvenienti e le ansie ci aiutano. Nascondono capacità e possibilità che ancora non vediamo.

Nella virtù dell’eccezionalità malferma eppure unica per ciascuno, ecco aprirsi la vera strada.

Percorso del Padre e del cuore, Via che vuole guidarci verso traiettorie alternative, nuove dimensioni dell’esistenza.

 

La differenza della Fede, rispetto alla religiosità antica [nel senso della croce-dentro]?

È nella coscienza che solo i malati guariscono, solo gli incompleti crescono.

Solo i claudicanti riprendono espressione, evolvono. E cadendo, scattano avanti.

 

 

 

Cf. Gv 16,23-28: Preghiera nel Nome: comm. quotid. sabato 6.a Pasqua

 

Cf. Mt 11,25-27: L’unica preghiera di Gesù mai insegnata Mercoledì 15.a

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Jesus shows us how to face moments of difficulty and the most insidious of temptations by preserving in our hearts a peace that is neither detachment nor superhuman impassivity (Pope Francis)
Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo (Papa Francesco)
If, in his prophecy about the shepherd, Ezekiel was aiming to restore unity among the dispersed tribes of Israel (cf. Ez 34: 22-24), here it is a question not only of the unification of a dispersed Israel but of the unification of all the children of God, of humanity - of the Church of Jews and of pagans [Pope Benedict]
Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora non solo più dell'unificazione dell'Israele disperso, ma dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità - della Chiesa di giudei e di pagani [Papa Benedetto]
St Teresa of Avila wrote: «the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ» (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7). Therefore, only by believing in Christ, by remaining united to him, may the disciples, among whom we too are, continue their permanent action in history [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia [Papa Benedetto]
Just as he did during his earthly existence, so today the risen Jesus walks along the streets of our life and sees us immersed in our activities, with all our desires and our needs. In the midst of our everyday circumstances he continues to speak to us; he calls us to live our life with him, for only he is capable of satisfying our thirst for hope (Pope Benedict)
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza (Papa Benedetto)
Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32) [Pope Francis]
La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé [Papa Francesco]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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