(Lc 9,22-25)
Ieri abbiamo sottolineato come il tarlo della vanità nella ricerca della stima altrui spinga all’ipocrisia e all’ostentazione.
Anche oggi la Parola - appello solenne e pressante a una scelta decisiva - invita alla totalità; a vivere la Quaresima con rettitudine, non esibendo troppi cerimoniali esteriori.
Ci chiediamo: Cosa rende intimi al Padre? Portare la Croce - nel senso di essere figlio devoto e obbediente? Bisogna rinunciare a vivere, accettando i vari mali?
No, la comunione con Dio consegue a un impegno liberamente assunto. Quel patibolo non è esigenza del Padre che vorrebbe essere risarcito almeno da qualcuno.
E nessun fatalismo: non si tratta di sopportare le inevitabili contrarietà della vita.
Non è questo che unisce, non è il fronteggiare che fa da collante al popolo di Dio che si riconosce nel Crocifisso.
Le vie tra cui scegliere non sono tante, ma solo due: vittoria e rivalsa, o percezione e dono.
Ogni istante è tempo di decisione. I modelli non servono più.
L'autenticità dell’uomo non è la sua grandezza, bensì la fedeltà nell’amore che si accorge.
Tale empatia e può collocarci su sentieri di persecuzione e derisione, invece di risultati accomodanti o plateali (sul sicuro e immediato).
Ma l'umanità vera non ha più bisogno di salire di quota, per trascendere i limiti della materia [mistica dualista].
Neppure dobbiamo identificarci - quasi sacramentalmente - con le forze dei processi cosmici sorgivi, profondi ma spersonalizzanti [religioni misteriche].
Non siamo chiamati a perfezionarci attraverso l’osservanza d’una legge o tradizioni sino alle minuzie [fariseismo].
La nostra vocazione non è neppure quella di sottrarci religiosamente all’abisso della miseria del mondo, nella speranza di una mèta che si avvicini per risolvere tutto [Apocalittica].
L’Unto del Signore era atteso come sovrano, sacerdote, taumaturgo, guerriero, giudice, profeta...
Gesù che sale al Calvario è ben altro paradigma: diverso modo di essere e tutt’altra Via.
Al titolo di Messia Lc preferisce quello di «Figlio dell’uomo» (v.22): espressione con cui il Maestro effettivamente designava se stesso.
Il Figlio dell’uomo è lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.
Incredibilmente, Egli non si sente ostacolato da frequentatori dei luoghi di malaffare, piuttosto dagli habitué dei recinti sacri.
Nei Vangeli la crescita e umanizzazione del popolo non è contrastata da peccatori, ma proprio da coloro che avrebbero il ministero di far conoscere a tutti il Volto di Dio.
Pertanto, il carattere dell’apostolo non è identificato con celebrità e personaggi di rilievo sociale. Viceversa, con la vita di Gesù di Nazaret - il pubblico ribelle alle autorità ufficiali, e condannato.
Qui, spingendoci in basso, incontriamo Dio.
Quello della croce era infatti il supplizio imposto ai criminali emarginati. In ciò sta la “negazione di sé” (v.23) che purtroppo nella storia della spiritualità ha subìto pessime interpretazioni.
Il credente non è riconosciuto da gesti eroici e magnificenti, o ascetici; né per eccellenza e visibilità d’incarico, o carisma e credito, peso e prestigio - bensì a motivo di scelta sociale, che porta discredito alla propria fama.
Il missionario non è individuato per qualità straordinarie, bensì a motivo di piccolezza.
Chi apprezza solo cose grandi - anche sbalorditive e plateali sotto il profilo “spirituale” - ama la forza. E non edifica il nuovo Regno.
Un confronto fra i testi paralleli in lingua greca (ad es.) di Mc 8,34; Mt 10,38; Lc 9,23 e 14,27 [Gv 12,26] fa comprendere il significato di «prendere» o «sollevare la croce» per un discepolo che rivive Cristo e lo dilata nella storia degli uomini.
Dio non dà croce alcuna, né i figli sono chiamati a “sopportarla”, o addirittura “offrirla”!
La Croce va presa attivamente, perché l’amico di Gesù si gioca l’onore.
La Fonte eminente e cristallina, l’intima onda vitale del suo Eros fondante, consente di raggiungere il dono totale anche sotto il tratto della pubblica considerazione.
Dopo la sentenza di tribunale, il condannato al supplizio doveva caricarsi sulle spalle il braccio orizzontale del patibolo.
Era il momento più straziante, perché di massima solitudine e percezione di fallimento.
Lo sventurato e già svergognato procedeva al luogo dell’esecuzione passando fra due ali di folla che per dovere religioso deridevano e malmenavano il disgraziato - ritenuto maledetto da Dio.
Gesù non propone la Croce nel senso corrivo d’una necessaria sopportazione delle inevitabili contrarietà della vita, che poi attraverso l’ascesi cesella animi più capaci di abbozzare... [oggi si dice: resilienti].
Rispetto alle solite manfrine sulla sana disciplina - esteriore e interiore - uguali per tutti (e utili solo per tenere buona la situazione, di privilegio) Lc sta viceversa suggerendo un comportamento assai più radicale.
Il Signore propone un’ascetica totalmente differente da quella delle religioni - addirittura capovolta.
Il credente rinuncia alla reputazione. È lo spunto essenziale, dirimente, del carattere della Fede.
Chi è legato alla sua buona fama, ai ruoli, al personaggio da recitare, alla mansione, al livello acquisito, non somiglierà mai al Signore.
Neppure chi non dilata la dimensione tribale dell’interesse di “famiglia”.
Sin dai primi tempi, l’annuncio dell’autentico Messia ha creato divisioni: la spada della sua Persona separava la vicenda di ciascuno dal mondo di valori del clan di appartenenza o dall’idea di rispettabilità, anche nazionale.
Oggi capita la stessa cosa dove qualcuno annuncia il Vangelo com’è, e tenta di rinnovare i meccanismi inceppati dell’istituzione abitudinaria, attempata e di finto sangue blu sul territorio.
Caricandosi della Croce di beffe conseguenti.
Una separazione e taglio nettissimo coi criteri di grandezza e successo, per l'Unità nuova, perseguitata: quella che fa da crocevia della Verità senza doppiezze.
Provare per credere.
Sembra un sogno privo di senso, ma questo è ciò che unisce la Chiesa al suo Signore: un cammino crocifiggente, dove si guadagna quello che si perde - anzitutto in considerazione.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali mutamenti senti come tua Chiamata?
La reputazione e l’opinione in comunità, favorisce o ti blocca? Per quale motivo?
La tua “famiglia” è rinchiusa in se stessa o agevola l’apertura d’orizzonte?