Talenti, mine - Doni del nuovo Regno
(Lc 19,11-28)
Come può una comunità rivelare la Presenza di Dio? Valorizzando e accentuando le sfaccettature della vita, difendendole, promuovendole, e rallegrando.
Perché c’è chi cresce e chi no? Per quale motivo chi avanza meno degli altri, proprio nel cammino “religioso” rischia di rovinare?
Tutti noi abbiamo punti di forza, pallini, qualità e inclinazioni esclusive. Ciascuno riceve doni da battistrada [fosse anche uno solo - come la sua Chiamata] e può inserirsi in servizi ecclesiali.
Ognuno - anche il normalmente escluso come Zaccheo (vv.1-10) - ha un bagaglio di risorse impareggiabili che può trasmettere, per l’arricchimento della comunità.
Lc narra questa parabola perché nota che alcuni convertiti delle sue assemblee hanno difficoltà a sbloccarsi e innescare un’evoluzione che riguardi anche il prossimo.
Qualcuno proprio non fiorisce, appiccicandosi al suo ministero, al personaggio, a ruoli, precedenze e gerarchie.
A dirla tutta e in modo chiaro, fra di essi nasce una competizione che concerne l’importanza degli incarichi ecclesiali [è il vero senso evangelico dei «talenti secondo capacità» del testo parallelo Mt 25,15].
Mansioni insidiate anche dall’arrembaggio dei provenienti dal paganesimo, meno intimiditi e più sciolti dei fedeli giudaizzanti un po’ da museo.
Il conseguente puntiglio irrigidisce l’atmosfera interna, accentua difficoltà a collaborare e scambiarsi doti, risorse - arricchendo gli uni gli altri.
Situazioni vanitose e competitive che conosciamo.
Tutti riceviamo qualche accento del Regno, beni da moltiplicare trasmettendo, ad esempio (come qui) la Parola di Dio.
Dono unico, ma non raro: prosperità immensa e dalle virtù propulsive di vita straordinarie... per ciascuno e tutti.
Così lo spirito di servizio e condivisione, l’attitudine al discernimento e valorizzazione delle unicità irripetibili, e tanto altro.
Beninteso, la comunità cresce non se produce, colloca in vetrina, “frutta” e rende. Essa è composta di membri che sanno collocarsi spontaneamente!
Donne e uomini di Fede non cercano meriti, non trattengono per sé; si relazionano con Dio e il prossimo in modo sapiente.
Anche non in termini e formule “corretti” - secondo libretto d’istruzione.
Purtroppo, per obbligare al rispetto di tabelloni e configurazione, e ricalcare il costume… i veterani facevano leva sull’inclinazione popolare a non mettersi nei guai.
Situazione e “percezione” a rovescio, che paralizzava la vita anche interiore.
Dai tempi di Gesù, non sono mancate situazioni dominate da gravi paure, e desiderio di evitare ricatti [diceva sbalordita mia madre dei leaders nostrani, di provincia (quelli disonesti): «Usano la religione come un’arma!»].
L’idea stessa di Dio come legislatore e giudice (vv.21-22) induceva i credenti a non crescere né trasmettere, anzi a chiudersi e allontanarsi dal progetto del Padre.
Pena l’esclusione sociale, spesso è ancora (perfino) in clima di cammino sinodale, fatto divieto di accogliere nuove esperienze di Dio…
Gravissimo, incontrare autenticamente se stessi, aprire spazi personali (persino radicalmente vocazionali), tracciare propri cammini.
Così per secoli. Identificazione e basta.
Per comprendere il senso del v.22 dove nella traduzione CEI il Re sembrerebbe ribadire l’idea meschina del lavativo diseducato, basta inserire il punto interrogativo.
I codici originali in greco non avevano punteggiatura:
«Gli dice: Dalla tua stessa bocca ti giudico, servo malvagio! Sapevi che io sono un uomo severo, che prendo quello che non ho depositato e che mieto quello che non ho seminato?».
Come dire: «Ma chi te lo ha insegnato questo, diseducando?!».
Lo stesso vale per il passo parallelo di Mt 25,26: «Ma rispondendo il suo Signore gli disse: Servo malvagio e poltrone... Sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso?».
Il Signore ribadisce con forza che un’idea deforme del Cielo può incidere sulle linee portanti della personalità e rovinare l’esistenza delle persone.
Ciò se esse percepiscono la Libertà e il rischio dell’Amore come fosse una colpa e comunque un pericolo di peccato che li potrebbe condurre al deleterio di non essere più considerati “in grazia di Dio”.
Le religioni dell’antichità avevano bisogno di seguaci anche immaturi e ottusi, senza nerbo - i quali si accontentavano di evitare pericoli, e s’attaccavano alle piccine sicurezze del tran tran d’ogni giorno.
Invece, il Padre desidera cuori adulti, che intraprendono e rischiano per amore e per l’amore.
Se il Dio del folklore necessita di greggi ottuse e servili, Cristo ha bisogno di amici, famigliari e collaboratori temerari, capaci di camminare sulle loro gambe, che non disumanizzano [anche gli altri].
La pastorale del consenso - “io ti dò ciò che tu vuoi”; oppure le mode del pensiero unico à la page - presuppone masse ubbidienti e devote, deprivate di personalità e sogni.
Invece il Signore desidera Famiglia, dove nessuno è allarmato, tenuto a freno, bloccato, e messo in buca.
Magari questa inibizione viene accettata dalla gente anche per timore di perdere la quiete famigliare, il posticino che qualcuno ha, le finte sicurezze che si è ritagliato - o preso in elemosina.
Cristo non vuole che le conquiste ci spaventino e trattengano, ma che da consanguinei del nostro lato eterno siamo i primi a vibrare d'ideali profetici.
E speronare le false certezze che non inquietano [anzi, ci mettono in letargo] per stimolare ambiti ideali più grandiosi - per qualità di respiro e umanizzazione.
Anche il poco che abbiamo può essere investito - attraverso un contributo da porgere a disposizione di tutti, nella comunità che ci valorizza…
Si tratta della Chiesa ministeriale: «banca» del v.27 - la quale proietta e dilata all’infinito risorse, il Pane spezzato, i beni del Regno.
Insomma, quel che promuove le assemblee e rivela la Presenza di Dio è personale e unico, tuttavia non deve permanere raro.
Ciascuno ha un'occasione di apostolato, la sua attitudine d’amicizia e competenze irripetibili: ma esse sono da esplorare senza limiti, affinché vengano condivise, rese sapienziali e propulsive.
Come ha dichiarato il Pontefice:
«L'incapacità degli esperti di vedere i segni dei tempi è dovuta al fatto che sono chiusi nel loro sistema; sanno cosa si può e non si può fare, e stanno sicuri lì. Interroghiamoci: sono aperto solo alle mie cose e alle mie idee, oppure sono aperto al Dio delle sorprese?».
Chiunque si aggiorna, si confronta, s’interessa, dà un contributo - senza farsi travolgere dalla routine, dal timore, dalla fatica - vede la propria ricchezza umana e spirituale crescere, fiorire.
Viceversa, nessuno si sorprenderà che le situazioni di retroguardia - estenuanti, in sé fiacche, esaurite, prive di spina dorsale e solo noiose - subiscano ulteriori flessioni e infine periscano senza lasciare rimpianti (vv.24-26).
In questa catechesi Lc ricorda che Gesù non era un tipo che si faceva mettere sotto scorta, ma una figura coinvolta, volenterosa.
Non lasciava correre, ma entrava dentro… in merito alle questioni - né diceva: ma che figura ci faccio?
Neppure Egli ha voluto limitarsi a lottare per un cambiamento giuridico - apprezzabile e necessario - ma standosene a distanza di sicurezza.
Ha invece incarnato il dono di sé, tracciando la Via della scelta sociale in prima persona, con arduità d’intraprenderla - senza nulla collocare in cassaforte, per timore di persecuzioni e fallimento.
Parafrasando l’enciclica Fratelli Tutti (n.262) diremmo: sapeva che neppure le norme erano sufficienti «se si pensa che la soluzione ai problemi consista nel dissuadere mediante la paura».
Il Signore infatti frequentava i fuori del giro e le figure intermedie. Si teneva alla larga da ambienti invidiosi e con la puzza sotto il naso.
Agiva in modo laborioso, «artigianale» (FT n.217) e mettendoci la faccia.
Aveva alternative? Certo: non muoversi, non custodire i minimi, non proteggerli, limitarsi, tenere la bocca chiusa; eventualmente aprirla, ma solo per adulare i potenti, gli affermati e ben introdotti.
Bastava deponesse ideali e azioni di libertà:
Rinunciando a lottare e intraprendere vie tortuose, non avrebbe avuto problemi.
E se alla mediocrità comune delle guide spirituali del tempo avesse aggiunto l'omertà, avrebbe potuto benissimo fare carriera.
Vale anche per noi: il gioco al ribasso, sul sicuro, atrofizza la vita personale e sociale, non fa crescere un nuovo Regno - lo perde.