(Mc 9,38-43.45.47-48)
La concezione di chiusura e inquisizione
(Mc 9,38-40)
Non è strano che la santa Inquisizione sia nata nel tempo di una ecclesiologia assente.
La malattia della casta - sempre incline al sequestro di Gesù - e il senso dell’assoluto monopolio... erano già tentazioni delle prime comunità, segnatamente degli Apostoli di spicco.
I superApostoli pretendevano fissare la tipologia dei membri di Chiesa, comprese autorizzazioni, deferenze, caratteristiche.
Invece - sebbene in semplicità - non c’è nessun criterio banale che porga l’imprimatur di poter discriminare “fedeli” e “non”.
Vale: quanto conta la Persona del Figlio dell’uomo, per la nostra vita e nelle scelte quotidiane?
Sentire - o meno - amico chiunque s’impegni ad annientare il male (ricorrendo magari al suo modo libero di recepire Dio) fa riflettere anche oggi.
Siamo solo alle soglie d’un cammino nello Spirito? Il segno di una separazione di fatto dal disegno di Dio sulla donna e l’uomo viene forse celato da espressioni epidermiche.
Probabilmente non abbiamo ben capito che ogni passo di liberazione - ovunque provenga - avvicina al Padre e ci umanizza anche la testa.
Il lievito dei farisei e di Erode (Mc 8,14) porta anche i discepoli diretti di Cristo a una mentalità sigillata - secondo la quale se qualcuno “non è dei nostri” («non ci seguiva» v.38) dev’essere emarginato.
La differenza tra religiosità e Fede: non c’è più bisogno di aderire a un modo di pensare riconosciuto, né essere membro d’un club ufficiale.
Saggezza spirituale e Apertura sono la stessa cosa. Ogni gesto vitale spalanca possibilità felici: l’essere «attirati da Dio» è tutto questo.
Per fare il bene (scacciare i demoni, v.38) non conta il distintivo (ad es il nome sul registro dei Battesimi) o essere confermato in circoli esclusivi.
Nell’avventura personale della Fede genuina, non c’è monopolio - neppure per l’apostolo Giovanni. Nessuno è abilitato a sentenziare in nome dell’assemblea!
La santità come separazione attiene i criteri, la mentalità, la concatenazione dei princìpi (o il loro rovesciamento): non l’elezione-predestinazione di un “popolo di puri”.
Per Cristo ciò che conta non è l’appartenenza formale - che tende a omologare - ma cosa fare nel concreto (ovviamente su base vocazionale e d’inclinazione irripetibile).
Non ha peso alcuno il sentirsi discepolo, bensì l’esserlo di fatto. L’amore per la “verità” non esclude, bensì include tutti coloro che hanno alti valori (anche sovrannaturali, e che non capiamo).
L’adesione autentica è sul bene - unica Vittoria del popolo dei rinati nel Risorto. Opera di vita che anche la Chiesa ufficiale è chiamata a edificare, senza atteggiamenti schizzinosi.
Anzi, vediamo che proprio le situazioni fuori le righe diventano pungolo: sollecitano i “cristiani” scialbi e opachi a farsi seme.
La “comunità” non è importante perché si ritiene tale.
La chiamata universale alla promozione dell’umanità è divina: ricchezza che sorvola gli ostacoli, patrimonio di gioia da qualsiasi parte provenga.
Se relegata e stretta negli schedari, la storia della Salvezza non si fa vita da salvati.
Il Corpo mistico del Signore rifugge l’ideologia di potere e lo stile supponente dei manipolatori (arraffoni spirituali) che immaginano di essere chissà cosa.
«Ma Gesù disse: Non glielo impedite. Infatti non c’è nessuno che faccia una meraviglia potente nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me» (v.39).
Per formare i discepoli, Cristo non solletica l'amor proprio allestendo un festival o promuovendo fictions.
Con i suoi intimi, il Maestro non usa un linguaggio diplomatico (espressioni attente a non offendere la loro suscettibilità di esperti).
La formazione dei discepoli è essenziale alla costruzione del Regno dai larghi confini, anzitutto mentali.
Nelle religioni esoteriche esistono modelli. Qui no, solo carismi, anche personalissimi - condizione dell’amore vero.
Siamo governati da Dio solo - unico a sapere quel che suscita in ciascuno, e dove andare.
Gesù è rivelatore e cardine di questa Notizia lieta, impensabile: ma nel senso di Motivo e Motore intimo, del tutto non esteriore.
Il Signore chiama la persona nel modo che agli altri pare incomprensibile.
Cristo marca la sua Amicizia nella vita dei credenti, quale centro e asse. Eppure sono moltissimi i gesti e le sensibilità che il mondo nuovo suscita, e parimenti segnano la sua Presenza.
L’educazione interiore e la scommessa della Fede riflessa nelle attività ci prepara alla vita quotidiana, nonché alla grande missione.
Formandoci alla Parola-evento schietta, il Messia dimesso trasmette la sua stessa esperienza del Padre.
Egli ci coinvolge con incredibile e immeritata fiducia nell’opera di evangelizzazione.
Né si stanca di ripetere ciò che non desideriamo capire.
Il Figlio dell’uomo ordina solo di percepire bene la realtà (Mc 8,27-29) dove si annida il segreto di Dio (che il pensiero conformista non riesce neanche lontanamente a immaginare: Mc 8,30-35).
La Regola vale solo per la devozione normalizzata, la quale pone sempre più risposte (già antiche) che domande.
Lo standard non ha peso specifico per l’eccedenza dell'avventura di Fede.
Lo squilibrio dell’amore è personale: serenamente ammette la diversità e l’incremento eccentrico di vita che ne sussegue.
È tale la nuova coscienza della Missione fatta nell’ascolto, e nel rispetto non solo nei confronti dell’intelligenza e cultura altrui, ma anche di se stessi.
Tuttora in mille guise e finalmente con l’aiuto di un Magistero ecclesiale più saggio, la Provvidenza incoraggia a collocarci meglio - in appoggio proprio agli esclusi dal “giro”.
L’opera della “conversione evangelica” giunge chiara e forte sino a noi, sorvolando qualsiasi considerazione fatta dal punto di vista di Chiesa trionfante o di antico diritto.
Nessuno ha il monopolio della Grazia: motivo per non rattrappire il cuore sui canoni o sulle mode.
Nella verità del Bene, il senso di proprietà è fuori luogo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Che peso hanno su di te gli interessi materiali, le vuote rigidezze, o le fantasie senza nerbo, di chi (senza neppure aver titolo) scimmiotta piccole gerarchie e fulmina i diversi con mediocri sentenze impersonali?
Come vivi la Parola: «Chi non è contro, è per»?
Il rapporto con gli esclusi e le loro esigenze (modeste)
(Mc 9,41-50)
Con linguaggio tipico della vivacità orientale, le esortazioni di Gesù alla convivenza rovesciano la gerarchia tra forti e deboli.
Nelle religioni troviamo frotte di emarginati che non possono accedere né partecipare agli allestimenti di coloro che ingannano le folle (anche se stessi) usando la religione piramidale.
La vigliaccheria delle classi abbienti produce l’esitazione dei senza voce, indefinitamente.
Nella Chiesa di Dio - segno di società alternativa - non ci dev’essere dubbio, a partire dalle piccole privazioni.
Men che mai in ambito ben strutturato nei ruoli, i miseri attenderebbero di vedere (non dico realizzate le speranze di riscatto, ma semplicemente) esaudite le esigenze modeste che si trascinano dietro, per motivi di giustizia.
Purtroppo, ancora oggi risultano piuttosto beffeggiati e castigati - da coloro che temono di perdere visibilità, privilegi e ruoli.
Al contrario, chi come Gesù è in grado di donare tutto, non deve dimenticare i piccoli gesti, che parlano d’un gratis non “esemplare” quindi autentico (limitato nel giorno dopo giorno).
È questo venire incontro nel sommario - poco encomiato - che valorizza il clima e non spinge i deboli al risentimento, e al male.
La nuova “dottrina” di Gesù è sapiente e finalizzata alla decisione, perché non smarrisce l’entusiasmo. Anzi ci fa già sperimentare la stessa qualità di vita dell’Eterno, allontanando da ciò che corrompe.
Chi è tutto preso dal grande e non s’accorge del dettaglio, mai ha il senso del valore delle cose, e presto o tardi finirà per disprezzare tutto.
Gesù s’identifica con noi (v.41) perché ci abita: siamo la sua Vittoria reale, incarnata.
Una pietra d’inciampo o anche solo nella scarpa (v.42) allontana i «mikròi» dal cammino di Fede.
Gli «incipienti» - appunto, i dotati di poca energia e relazioni - iniziano a fare i primi passi… sono ancora fuori dalle cricche e dalle cordate (perfino interne).
Coloro che pretendono e si mettono di traverso, o danno scialba e pessima testimonianza, hanno però in serbo altro che una pietruzza: una mola al collo e una fine indegna (esistenza mortifera: v.42).
“Meglio” quella dei finti devoti che la mortificazione ulteriore di tutti, dai primi della classe costretti a vivere male.
Non perché Dio la fa pagare, ma perché buttano la vita e rovinano gli altri, che infine si allontanano, giustamente ripugnati - mentre l’avventura di condivisione potrebbe essere meravigliosa per ciascuno.
È questo del non senso (per usare un eufemismo) il tratto che spinge le folle a cercare un cristianesimo più autentico di quello vissuto solo nei segni, nelle passerelle e nelle formule, o nelle strutture preposte.
La scelta - se c’è - è radicale, o non convince più. E l’odore che si sprigiona è peggio che maleodorante (v.43).
A forza di professare, molti restano senza Dio e senza umanità; neanche si accorgono che esistono gli altri - differenti e legittime aspirazioni di vita (verso di sé ben riconosciute e trattenute).
Invece, la comunità in cui si sperimenta gioia è come quel pizzico di sapidità e sapienza che rende piena - bella - l’onda vitale spontanea della gente.
Il fermento che non fa lievitare non serve più a nulla.
A maggior ragione è vacuo anzitutto ai piccoli e malfermi che si accostano alla Chiesa per sentirsi bene, o finalmente non più esposti al ludibrio della società tutta esterna delle competizioni.
Atmosfera artificiosa, buona solo a ridurre al silenzio gl’indifesi, disprezzati e ridotti all’obbedienza - e che si fa burle dell’accoglienza.
Ciò nelle religioni dell’impero era abituale pensarlo, anche in nome della legge “divina”... dunque, qual è la differenza?
«Avere sale in noi stessi» (v.50) significa che in Cristo siamo resi capaci di dare alle cose minime e consuete quella tonalità e gusto in grado di trasmettere anche al prossimo il sapore di una vita da salvati - a partire da “dentro”.
Nella cultura del medio oriente antico, il sale era messo in relazione con Dio e aveva dunque un’importanza anche religiosa: simbolo di durata (per conservare i cibi) e di coraggio (sapidità, condimento, purificazione).
Il sale aveva potere di scacciare i demoni, che corrompevano la vita e suscitavano fetore. Per tale motivo era largamente usato nei sacrifici cultuali e nel sancire “alleanze”.
Insomma, il sale era garanzia di durata genuina.
Ma il sale cristiano è solo… Amore al prossimo e capacità di corrispondere alla propria Vocazione.
Se non vi fosse, scomparirebbe il carattere stesso della vita in Cristo.
Quindi il «patto del sale» è essenziale per la credibilità, per l’Annuncio, per il tenore della vita; per la sopravvivenza stessa delle comunità, e il loro tocco inconfondibile.
L’Ascolto dello Spirito e reciproco permane così ingrediente irrinunciabile dello «Shalôm».
Nessun’altra opera di difesa dall’esterno - inquisizione, prevenzione o repressione - può garantire la sopravvivenza della Chiesa.
Differenza tra religione e Fede? La norma, usata per promuovere o legittimare situazioni (di emarginazione e dominio).
Per il nostro progresso umano, spirituale e della vita intera, Gesù parteggia (forse non come ci si attenderebbe) - perché a nessuno è data l’esclusiva.
Per interiorizzare il messaggio:
Nella tua comunità sono i piccoli che devono adeguarsi ai grandi e ai loro circoli... o viceversa, c’è serio ascolto dei nuovi dalle scarse energie e relazioni, malfermi e disadattati?