Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
La Liturgia della festa di S. Benedetto, compatrono d’Europa, sottolinea il tema del lasciare tutto per Cristo, per il Vangelo, contraccambiato dal centuplo e la Vita dell’Eterno.
Benedetto, come Francesco, lasciò ogni bene per seguire Gesù, riassumendo il suo percorso nel celebre assioma: «Ora et labora», «prega e lavora».
A volte si contrappone la severità dell’ ascetica monastica benedettina all’allegria francescana, come se San Benedetto e San Francesco fossero due universi a se stanti; ma non è così.
Ci sono elementi nei quali si diversificano e altri in comune, magari elaborati diversamente.
Entrambi reputano importanti la preghiera e il lavoro. Nonché l’orazione come via che conduce al distacco da tutto e alla interiorizzazione, luogo dell’incontro con Cristo - da anteporre a tutto.
Anche Francesco considera il lavoro un aspetto importante della sua vita e della Regola minoritica, richiamando in questo quella benedettina.
Il Poverello, pur non essendo benedettino (come dipinto nel Sacro Speco di Subiaco, in un’antica immagine) anche lui visse dentro una storia che lo ha preceduto, attingendo da essa alcune cose, altre rifiutandole.
Chi è addentro alle Fonti francescane, volendo affermare la novità di Frate Francesco rispetto a San Benedetto da Norcia, fa riferimento ad un brano della Compilatio Assisiensis.
In essa si narra come durante un Capitolo alla Porziuncola, dove si discuteva della Regola minoritica, alcuni frati proposero l’adozione di forme di vita precedenti.
Ma Francesco rispose:
«Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di Sant’Agostino, né quella di San Bernardo o di San Benedetto.
Il Signore mi ha detto che questo egli voleva:
che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’; e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!» (FF 1564).
La grandezza della Regola benedettina non risiede tanto nell’apporto di novità, quanto nella capacità di sintesi delle varie esperienze monastiche precedenti in una sorta di lettura sapienziale.
Ma questi santi, entrambi, danno molta importanza al lavoro che vince l’ozio e fa vivere nella costante Presenza di Cristo nella storia, al quale anteporre tutto.
L’orazione continua e il lavoro costante sono dunque due elementi comuni diversamente elaborati, ma fondamentali per la sequela di Gesù e il distacco da ogni cosa.
Francesco ai frati insegnava:
«Nell’orazione purifichiamo i nostri sentimenti e ci uniamo con l’unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù […]
Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano» (FF1204).
Nel suo Testamento, il Minimo scrive:
«Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà.
Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio» (FF 119).
Ed è proprio questa impostazione di pensiero e di vita che rese i benedettini capaci di costruire l’Europa "rendendo il quotidiano eroico e l’eroico quotidiano" e che spinse i frati francescani, tra le altre cose, ad un lavoro costante e fedele soprattutto nella missione evangelizzatrice di pace.
Figli di Dio in modo diverso, ugualmente proiettati a seguire Gesù, sapendo che l’aver lasciato tutto per il suo Regno è garanzia di vita eterna.
«E chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita dell’Eterno» (Mt 19,29).
S. Benedetto patrono d’Europa (Mt 19,27-29)
Il capitolo 10 di Matteo continua a presentarci un Gesù che chiede ai suoi, inviati a predicare la vicinanza del Regno dei cieli, di dare gratuitamente così come hanno ricevuto, fidandosi della Provvidenza.
Il Povero assisano seguì alla lettera le indicazioni date da Gesù ai discepoli, impegnandosi ad annunciare, senza portare nulla con sé.
Francesco si definiva «simplex et idiota». La trasparenza e semplicità dei piccoli era per lui chiave di volta del Regno dei cieli.
Come Gesù dice nel Vangelo, era convinto che solo chi si fa bambino nella sua mentalità può comprendere le dinamiche del Regno, che chiede l’accoglienza dei puri di cuore, di quanti vivono la Parola senza pregiudizi di sorta e con fiducia in Dio.
Nelle Fonti Francescane la dimensione della piccolezza e semplicità è trasversale e spiccata, come attestano molti passi.
"Il Santo praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa semplicità, figlia della Grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia.
Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.
E quella che pone la sua gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male.
La semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e l’attribuisce al migliore […]
È la semplicità che in tutte le leggi divine lascia la tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene" (FF 775).
Questa semplicità, sorella della vera sapienza, è caratteristica dei piccoli, dei minimi, dei bambini i quali accolgono il Regno di Dio che bussa alla porta del loro cuore.
Commuove la piccolezza di Francesco, cornice della sua vita evangelica.
"Francesco, uomo di Dio, nudo delle cose del mondo […] s’impegna nel servire Dio in tutti i modi possibili […]
Con ardente entusiasmo rivolgerà questo e simili appelli pieni di ingenuità, poiché questo eletto di Dio aveva un animo candido e fanciullo, non faceva ricorso al dotto linguaggio della sapienza umana, ma era semplice e immediato in tutto" (FF 1420).
"E infatti, tutto ciò che il Padre celeste ha creato per l’utilità degli uomini, continua a donarcelo gratuitamente anche dopo il peccato, ai degni come agli indegni, per l’amore ch’Egli porta al suo Figlio diletto" (FF 1610).
"Non aveva rossore di chiedere le cose piccole a quelli più piccoli di lui; lui, vero minore, che aveva imparato dal Maestro supremo le cose grandi.
Era solito ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire più perfettamente Dio, come a Lui meglio piace.
Questa fu la sua filosofia suprema, questo il suo supremo desiderio, finché visse: chiedere ai sapienti e ai semplici, ai perfetti e agli imperfetti, ai giovani e agli anziani qual era il modo in cui più virtuosamente poteva giungere al vertice della perfezione" (FF 1205 - Leggenda maggiore).
Francesco amava con un cuore di fanciullo e così insegnò ai suoi frati e alle povere Dame di s. Damiano, sorelle virtuose nel cammino di fede, fra le quali rifulse per la sua umiltà e trasparenza Chiara.
Questa giovane donna diede testimonianza di luce; fu stella del mattino nel farsi bambina al servizio di Dio, sulle orme di Cristo, sull’esempio del beato padre Francesco, vero amante e imitatore di Lui.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8)
Giovedì della 14.a sett. T.O. (Mt 10,7-15)
Chissà quante volte Francesco, l’Araldo del Gran Re, nel leggere questo brano di Matteo avrà pensato che per annunciare il Regno di Dio avrebbe percorso tutta la terra pur di portare anime a Cristo e di raggiungere le pecore perdute della casa d’Israele.
«Voi lo fareste?».
Francesco di certo se la sarà posta questa disarmante domanda, cui tutta la sua eloquente esistenza rispose: «Sì, senza alcun dubbio!».
Per una sola pecorella del suo gregge avrebbe certo lasciato le altre al sicuro alla ricerca di quella perduta.
«Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon Pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce» (FF 155 - Ammonizioni).
Lui, che era solito chiamare frate Leone «pecorella di Dio», avrebbe affrontato ogni avversità pur di ritrovarla, e per questo cercava il martirio perfino presso il Sultano d’Egitto, per guadagnarlo a Cristo.
Le Fonti, attraverso la Leggenda Maggiore, riferiscono:
"Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose [al Sultano] che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità.
E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire" (FF 1173).
Ricco di tenerezza e misericordia, è un episodio che mette in evidenza il cuore di pastore del Poverello e la premura di lui per il Regno di Dio.
Troviamo nelle Fonti:
“Attraversando una volta la Marca d’Ancona, dopo aver predicato nella stessa città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di frate Paolo, che aveva eletto ministro di tutti i frati di quella provincia, incontrò nella campagna un pastore, che pascolava il suo gregge di montoni e di capre.
In mezzo al branco c’era una sola pecorella, che tutta quieta e umile brucava l’erba.
Appena la vide, Francesco si fermò, e quasi avesse avuto una stretta al cuore, pieno di compassione disse al fratello:
«Vedi quella pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù Cristo, circondato e braccato dai farisei e dai sinedriti doveva proprio apparire come quell’umile creatura.
Per questo ti prego, figlio mio, per amore di Lui, sii anche tu pieno di compassione, compriamola e portiamola via da queste capre e da questi caproni» (FF 456).
«Partiti, predicate dicendo che il regno dei cieli si è fatto vicino» (Mt 10,7)
Mercoledì della 14.a sett. T.O. (Mt 10,1-7)
Nel Vangelo odierno vediamo Gesù che percorreva città e villaggi annunziando il Regno di Dio e guarendo malati.
L’assidua contemplazione e la purezza della vita avevano reso Francesco potente, per grazia, anche sul potere del male, rendendolo testimone credibile del Signore attraverso numerose guarigioni.
Le Fonti illuminano in proposito, in modo eloquente:
“Gente di ogni età […] correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo.
Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava, confermando la Parola con i miracoli che l’accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco, predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli infermi” (FF 1212).
Una volta ”non so come qualificare la malattia orrenda di cui soffriva un confratello, alcuni l’attribuivano alla presenza di un diavolo maligno.
Il poveretto spesso si gettava a terra e, stralunando gli occhi in modo orribile, si ravvoltolava tutto con la schiuma alla bocca; le sue membra ora si contraevano, ora si distendevano, or rigide, or piegate e contorte […]
Il santo Francesco ne ebbe compassione immensa, si recò da lui, lo benedisse, pregando umilmente Iddio, e il malato ottenne pronta e completa salute e non patì più un male del genere” (FF 440).
“A Città di Castello una donna era posseduta da uno spirito maligno e furioso: appena il Santo […] ebbe ingiunto per obbedienza [di uscire da lei], il demonio fuggì pieno di sdegno, lasciando libera nell’anima e nel corpo la povera ossessa” (FF 1219)
Francesco aveva sposato la Luce, oscurando la forza del male.
Il Minimo aveva compassione delle folle stanche e sfinite che lo seguivano e, nella preghiera, suo costante rifugio, chiedeva a Dio operai per la messe abbondante.
Chiedeva pure ai suoi frati di pregare molto per questa causa.
Come Gesù, il Santo percorreva tutte le città e i villaggi, predicando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità (cf. Mt 9,35).
Martedì della 14.a sett. T.O. (Mt 9,32-38)
Il Vangelo proposto oggi evidenzia Gesù che risuscita una fanciulla morta e la guarigione di una donna affetta, da molto tempo, da perdite di sangue.
Gesù salva entrambe, e alla donna dice:
«Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata» (Mt 9,22).
Come Gesù, Francesco il Semplice non umiliava i bisognosi, ma andava loro incontro e li salvava per mezzo della fede in Dio.
Le Fonti raccontano:
“Nella diocesi di Sora, una nobildonna di nome Rogata, da ventitré anni era affetta da perdite di sangue. Si aggiunga che era ricorsa a moltissimi medici, ricavandone moltissimi malanni.
Spesso per l’acuirsi della malattia, sembrava in fin di vita. Se, poi, si riusciva ad arrestare l’emorragia, le si gonfiava tutto il corpo.
Le capitò di sentire un ragazzo che cantava in vernacolo romanesco la storia dei miracoli operati da Dio per mezzo di San Francesco e allora, sciogliendosi in lacrime per la commozione e il dolore, incominciò a dire così:
«O beato Padre Francesco, che rifulgi per tanti miracoli, se ti degnerai di liberarmi da questa malattia, ne avrai grande accrescimento di Gloria, perché un miracolo così grande finora non l’hai mai fatto».
A che tante parole? Aveva appena finito di parlare, che si sentì guarita per i meriti del beato Francesco.
Anche una donna di Sicilia, che per sette anni aveva patito perdite di sangue, fu guarita dal Santo alfiere di Cristo” (FF 1314).
La fede in Gesù e nei suoi servi opera cose meravigliose!
Lunedì della 14.a sett. T.O. (Mt 9,18-26)
Il brano proposto in questa domenica è tratto dal Vangelo lucano e pone l’accento sul mandato di Gesù ai suoi, evidenziando in che modo dovevano essere itineranti del Vangelo.
«Andate! Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi. Non portate borsa, né bisaccia, né sandali, e non salutate nessuno per la via» (Lc 10,3-4).
Le Fonti documentano come Francesco prese alla lettera questa Parola di Dio, invitando i suoi frati a fare altrettanto.
Il Povero d’Assisi si dichiarava semplice e idiota e insegnava ai suoi frati la via della semplicità, sorella della vera Sapienza e della mansuetudine.
Nella Leggenda Maggiore si legge:
«Voglio che i miei frati siano discepoli del Vangelo e progrediscano nella conoscenza della Verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza della semplicità. Così non disgiungeranno la semplicità della colomba dalla prudenza del serpente, che il Maestro insuperabile ha congiunto con la sua Parola benedetta» (FF 1188).
Francesco ebbe la grazie di farsi grande testimone anche nell’incontro con i soldati Saraceni.
Prese con sé un compagno, frate Illuminato, e decise di annunciare Cristo anche fra chi tagliava la testa ai cristiani.
“Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso.
Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle.
Il Santo si rallegrò e disse al compagno:
«Abbi fiducia nel Signore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi».
Avanzarono ancora e si imbatterono nelle sentinelle saracene, che, slanciandosi come lupi contro le pecore, catturarono i servi di Dio minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono, li coprirono d’ingiurie e di percosse e li incatenarono.
Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi, per disposizione della divina Provvidenza li portarono dal Soldano, come l’uomo di Dio voleva” (FF 1173).
E spesso il Poverello “riscattò gli agnelli che venivano condotti al macello, in memoria di quell’Agnello mitissimo, che volle essere condotto alla morte per redimere i peccatori” (FF 1145).
Inoltre, dovunque si recasse ad annunciare il Vangelo, portava a tutti il saluto della Pace:
"In ogni suo sermone, prima di comunicare la Parola di Dio al popolo, augurava la pace, dicendo:
«Il Signore vi dia Pace!».
Questa Pace egli annunciava sempre con molta devozione a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui” (FF 359).
Francesco era tutto teso ad annunciare quel Regno di Dio da cui ormai era posseduto; ardeva dal desiderio di testimoniarlo perché raggiungesse più anime possibili.
Domenica 14.a T.O. (anno C) [Lc 10,1-12.17-20]
Gesù risponde ai discepoli di Giovanni sul digiuno. Ora lo Sposo è con loro e non si digiuna; quando sarà loro tolto digiuneranno.
Logica che scardina la mentalità legalista.
Nelle Fonti abbiamo vari brani che evidenziano il modo di agire del Povero d’Assisi in merito a tale argomento.
Il Minimo vietava gli eccessi.
Francesco sapeva ben discernere fra importanza del digiuno ed esagerazione nel praticarlo.
Nella sua vita, mai la forma prese il posto della sostanza. Le Fonti francescane c’illustrano:
“Francesco muoveva rimproveri ai suoi fratelli troppo duri verso se stessi, e che arrivavano allo sfinimento a forza di veglie, digiuni, orazioni e penitenze corporali […]
L’uomo di Dio vietava simili eccessi, ammonendo quei fratelli con amorevolezza e richiamandoli al buonsenso, curando le loro ferite con la medicina di sagge istruzioni […]
Parlava con loro immedesimandosi nella loro situazione, non come un giudice quindi, bensì come un padre comprensivo con i suoi figli e come un medico compassionevole con i propri malati.
Sapeva essere infermo con gli infermi, afflitto con gli afflitti” (FF 1470).
Tutto questo pur essendo “uomo nuovo, [che] con nuove virtù rinnovava la via della perfezione ormai sparita dal mondo” (FF 3162).
Da persona matura e profondamente umana, egli sapeva aiutare i suoi frati, valutando le diverse situazioni che aveva dinanzi.
Nella Leggenda dei Tre compagni: “Tuttavia, quand’era il caso, castigava quelli che commettevano delle infrazioni" (FF 1470).
Francesco aveva ricevuto, per Grazia, il dono incommensurabile del vero discernimento.
Il Piccolo non tradiva la sostanza per la forma: custodiva entrambe in un sensato equilibrio umano e spirituale.
«Ma verranno giorni quando sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno» (Mt 9,15)
Sabato della 13.a sett. T.O. (Mt 9,14-17)
Gesù ci fa contemplare la chiamata forte e particolare di Matteo, spiazzando tutti, proprio perché comincia dai peccatori e non dai perfetti secondo la mentalità del tempo.
«Infatti non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).
Francesco e Chiara vedevano negli stimoli della loro vocazione e dei fratelli e sorelle che li seguivano un appuntamento attraente fondamentale. Un’occasione per l’esistenza nella Grazia, che li aveva guardati e riscattati.
Attraverso la Chiamata, in loro Dio realizzava un dono segreto, ben oltre le attese d’una vita di piccolo cabotaggio.
In merito a Francesco, nelle Fonti si legge:
"Mentre passava vicino alla chiesa di S. Damiano, fu ispirato ad entrarci. Andatoci, prese a fare orazione fervidamente davanti all’immagine del Crocifisso, che gli parlò con commovente bontà
«Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela».
Tremante e stupefatto, il giovane rispose:
«Lo farò volentieri, Signore».
Egli aveva però frainteso; pensava si trattasse di quella chiesa che, per la sua antichità, minacciava prossima rovina.
Per quelle parole del Cristo egli si fece immensamente lieto e raggiante; sentì nell’anima ch’era stato veramente il Crocifisso a rivolgergli il messaggio.
Uscito dalla chiesa, trovò un sacerdote seduto lì accanto, e mettendo mano alla borsa, gli offrì del denaro dicendo:
«Messere, ti prego di comprare l’olio per fare ardere una lampada dinanzi a quel Crocifisso. Finiti questi soldi, te ne porterò degli altri, secondo il bisogno» " (FF 1411).
Il Poverello, continuò in vita a considerare la minorità come specifica vocazione del Frate.
In tal guisa, osservando il comportamento dei religiosi, a volte sembrava preoccupato…
Talora egli "vedeva che alcuni desideravano ardentemente le cariche dell’Ordine, delle quali si rendevano indegni, oltre al resto, anche per la sola ambizione di governare. E diceva che questi «non erano frati minori, ma avevano dimenticato la loro vocazione ed erano decaduti dalla gloria»” (FF 729).
Altresì Chiara, riguardo la vocazione delle sorelle dimoranti in S. Damiano, così si esprimeva nel suo Testamento:
«Proprio il Signore ha collocato noi come modello, ad esempio e specchio non solo per gli altri uomini, ma anche per le nostre sorelle, quelle che il Signore stesso ha chiamato a seguire la nostra vocazione, affinché esse pure risplendano come specchio ed esempio per tutti coloro che vivono nel mondo» (FF 2829).
Venerdì della 13.a sett. T.O. (Mt 9,9-13)
Nel primo giorno della settimana Gesù entrò a porte chiuse nel luogo dove i discepoli erano riuniti.
Affidò loro il mandato di annunciare la Buona Novella, «alitando» su di essi perché ricevessero lo Spirito Santo.
Tommaso, assente, faticò a credere e ricevette un richiamo da Gesù per aver preteso di vedere e toccare, senza accogliere la testimonianza degli altri discepoli.
Eppure Tommaso cercava l’esperienza in prima persona del Risorto.
Il Povero d’Assisi e i suoi frati crebbero nella fede anche mediante l’incontro fattivo con il Signore nella povertà vissuta, nella solitudine ed orazione sperimentata nel quotidiano.
La fede in Gesù, morto sulla croce come un malfattore per assicurarci la Vita senza fine, traboccava nella nuda esistenza minoritica di Francesco e dei suoi.
Certamente era dono divino, ma anche frutto di una relazione non formale, sviluppatasi nell’itinerario intrapreso.
Giova ricordare quanto le Fonti attestano:
"[Francesco] insegnò loro a lodare Dio in tutte le creature; ad onorare con particolare venerazione i sacerdoti, come pure a credere fermamente e a confessare schiettamente la verità della fede […]
Essi osservavano in tutto e per tutto gli insegnamenti del padre santo e, appena scorgevano qualche chiesa da lontano, o qualche croce, si volgevano verso di essa, prostrandosi umilmente a terra e pregando secondo la forma loro indicata" (FF 1069).
La stessa Chiara, nella Lettera a Ermentrude di Bruges, in merito alla vita di Fede, suggerisce:
«Rimani, dunque, o carissima, fedele fino alla morte a Colui, al quale ti sei legata per sempre. E certamente sarai da Lui coronata con la corona della vita.
Il tempo della fatica quaggiù è breve, ma la ricompensa è eterna.
Non ti abbaglino gli splendori del mondo che passa come ombra.
Non ti sorprendano le vuote immagini di questo mondo ingannatore; chiudi le tue orecchie ai sibili dell’inferno e spezza da forte le sue tentazioni.
Sostieni di buona voglia le avversità, e la superbia non rigonfi il tuo cuore nelle cose prospere; queste ti richiamano alla tua fede, quelle la richiedono» (FF 2914).
L’esperienza di Dio nella loro vita era stata così forte, incisiva e misericordiosa da poter parlare come nessuno aveva fatto mai.
"Gli rispose Tommaso e gli disse: «Il mio Signore e il mio Dio!»" (Gv 20,28)
3 luglio, s. Tommaso apostolo (Gv 20,24-29)
It is a huge message of hope for each of us, for you whose days are always the same, tiring and often difficult. Mary reminds you today that God calls you too to this glorious destiny (Pope Francis)
È un grande messaggio di speranza per ognuno noi; per te, che vivi giornate uguali, faticose e spesso difficili. Maria ti ricorda oggi che Dio chiama anche te a questo destino di gloria (Papa Francesco)
In the divine attitude justice is pervaded with mercy, whereas the human attitude is limited to justice. Jesus exhorts us to open ourselves with courage to the strength of forgiveness, because in life not everything can be resolved with justice. We know this (Pope Francis)
Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia; lo sappiamo (Papa Francesco)
The Second Vatican Council's Constitution on the Sacred Liturgy refers precisely to this Gospel passage to indicate one of the ways that Christ is present: "He is present when the Church prays and sings, for he has promised "where two or three are gathered together in my name there am I in the midst of them' (Mt 18: 20)" [Sacrosanctum Concilium, n. 7]
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" [Sacrosanctum Concilium, 7]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)
By willingly accepting death, Jesus carries the cross of all human beings and becomes a source of salvation for the whole of humanity. St Cyril of Jerusalem commented: “The glory of the Cross led those who were blind through ignorance into light, loosed all who were held fast by sin and brought redemption to the whole world of mankind” (Catechesis Illuminandorum XIII, 1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B) [Pope Benedict]
don Giuseppe Nespeca
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