don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Gesù narra la parabola delle dieci vergini invitate a una festa nuziale, simbolo del Regno dei cieli.

Ai tempi di Gesù c’era la consuetudine che le nozze si celebrassero di notte; pertanto il corteo degli invitati doveva procedere con le lampade accese. Alcune damigelle sono stolte: prendono le lampade ma non prendono con sé l’olio; quelle sagge, invece, assieme alle lampade prendono anche dell’olio. Lo sposo tarda, tarda a venire, e tutte si assopiscono. Quando una voce avverte che lo sposo sta per arrivare, le stolte, in quel momento, si accorgono di non avere olio per le loro lampade; lo chiedono alle sagge, ma queste rispondono che non possono darlo, perché non basterebbe per tutte. Mentre le stolte vanno a comprare l’olio, arriva lo sposo. Le ragazze sagge entrano con lui nella sala del banchetto, e la porta viene chiusa. Le altre arrivano troppo tardi e vengono respinte.

È chiaro che con questa parabola, Gesù ci vuole dire che dobbiamo essere preparati all’incontro con Lui. Non solo all’incontro finale, ma anche ai piccoli e grandi incontri di ogni giorno in vista di quell’incontro, per il quale non basta la lampada della fede, occorre anche l’olio della carità e delle opere buone. La fede che ci unisce veramente a Gesù è quella, come dice l’apostolo Paolo, «che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). È ciò che viene rappresentato dall’atteggiamento delle ragazze sagge. Essere saggi e prudenti significa non aspettare l’ultimo momento per corrispondere alla grazia di Dio, ma farlo attivamente da subito, cominciare da adesso. “Io… sì, poi più avanti mi convertirò…” – “Convertiti oggi! Cambia vita oggi!” – “Sì, sì… domani”. E lo stesso dice domani, e così mai arriverà. Oggi! Se vogliamo essere pronti per l’ultimo incontro con il Signore, dobbiamo sin d’ora cooperare con Lui e compiere azioni buone ispirate al suo amore.

Noi sappiamo che capita, purtroppo, di dimenticare la meta della nostra vita, cioè l’appuntamento definitivo con Dio, smarrendo così il senso dell’attesa e assolutizzando il presente. Quando uno assolutizza il presente, guarda soltanto il presente, perde il senso dell’attesa, che è tanto bello, e tanto necessario, e anche ci butta fuori dalle contraddizioni del momento. Questo atteggiamento – quando si perde il senso dell’attesa – preclude ogni prospettiva sull’al di là: si fa tutto come se non si dovesse mai partire per l’altra vita. E allora ci si preoccupa soltanto di possedere, di emergere, di sistemarsi… E sempre di più. Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più attraente, da quello che mi piace, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile; non accumuliamo alcuna riserva di olio per la nostra lampada, ed essa si spegnerà prima dell’incontro con il Signore. Dobbiamo vivere l’oggi, ma l’oggi che va verso il domani, verso quell’incontro, l’oggi carico di speranza. Se invece siamo vigilanti e facciamo il bene corrispondendo alla grazia di Dio, possiamo attendere con serenità l’arrivo dello sposo. Il Signore potrà venire anche mentre dormiamo: questo non ci preoccuperà, perché abbiamo la riserva di olio accumulata con le opere buone di ogni giorno, accumulata con quell’attesa del Signore, che Lui venga il più presto possibile e che venga a portarmi con Lui.

Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, perché ci aiuti a vivere, come ha fatto Lei, una fede operosa: essa è la lampada luminosa con cui possiamo attraversare la notte oltre la morte e giungere alla grande festa della vita.

[Papa Francesco, Angelus 8 novembre 2020]

(Mc 6,17-29)

 

La domanda «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutto il Vangelo di Mc, sino alla risposta del centurione sotto la Croce (Mc 15,39).

Il bilancio sulle opinioni della gente (vv.14-16) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti qualcuno tentava di comprendere Cristo a partire da quanto si sapeva già.

Non pochi desideravano capire la sua Persona sulla base di criteri tratti dalle Scritture o dalla Tradizione anche orale del popolo eletto; dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose [come nel caso di Erode].

Ma l’Araldo di Dio non è stato un purificatore del Tempio, né semplice rabberciatore della religiosità datata, d’idee culturali addomesticate. Neppure uno dei tanti “riformatori”… tutto sommato conformisti.

Egli capovolge le speranze del popolo, così inquieta qualsiasi scuola di pensiero; in particolare, coloro che detengono l’esclusiva.

 

Quando avverte un pericolo, chi è avvolto di lustro e potere diventa sfrontato e disposto a ogni violenza, anche per un falso punto d’onore.

I tiranni si fanno sempre beffe dell’isolato, scomodo e indifeso.

Ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono perdere la faccia davanti agli alleati del loro ambiente smodato e senza controllo, ammantato di esenzioni.

Giuseppe Flavio riferisce che Giovanni era in prigione per timore del sovrano di una sommossa popolare - e stava valutando che fosse bene per lui agire in anticipo.

La trama dell’assassinio è stata occasionale.

 

Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la Voce del suo martirio non tace più.

Per questo motivo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza. Ucciso un inviato, subentra un altro maggiore e più incisivo: all’ultimo dei Profeti, il Figlio di Dio.

Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso che garantiva ai facinorosi di considerarsi intoccabili.

Di fronte al ricatto [senza troppi complimenti] dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.

Giovanni e Gesù sfidano lo status quo e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo gerarchico antico, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.

È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole d’una nostra nobile franchezza critica, la cui ‘rivelazione’ correrà parallela ai Due.

 

Il Maestro si è eretto in difesa della coscienza e della stessa legge divina, contro le autorità opportuniste, che ha sfidato a viso aperto.

Anche oggi chiede coraggio di non piegarsi di fronte alla corruzione, al male, alla mentalità corrente; di essere diversi nel modo di pensare, di parlare, di scegliere e agire.

Non ascoltati, derisi, osteggiati da molti cortigiani, i figli di Dio rendono testimonianza alla Verità, pagando di persona: perfetta Letizia.

Autentica Pienezza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Chi è Gesù secondo te e gli altri?

 

 

[Martirio di s. Giovanni Battista, 29 agosto 2024]

(Mc 6,17-29)

 

La domanda «Gesù, Chi è?» cresce lungo tutto il Vangelo di Mc, sino alla risposta del centurione sotto la Croce (Mc 15,39).

Il bilancio delle opinioni della gente (Mt 14,1-2; Mc 6,14-16; Lc 9,7-9) lascia intendere che anche attorno alle prime assemblee di credenti si tentava di capire Cristo a partire da quanto si sapeva già [dai criteri delle Scritture e della tradizione, dalle credenze e suggestioni antiche - persino superstiziose].

Ma l’uomo di Dio non è semplice purificatore del Tempio, né un rabberciatore della religiosità conformista. Egli capovolge le speranze popolaresche, emotive o standard.

In tal guisa, ogni Profeta inquieta tutti coloro che detengono l’esclusiva.

 

Quando avverte un pericolo, chi è ammantato di lustro e potere diventa sfrontato e disposto a ogni violenza, anche per un falso punto d’onore.

I tiranni si fanno sempre beffe dell’isolato, scomodo e indifeso, ma capi e potenti sono anche vigliacchi: non intendono perdere la faccia davanti agli alleati del loro ambiente smodato e senza controllo, ammantato di esenzioni.

Durante più di 40 anni di regno, Erode Antipa aveva creato una classe di funzionari e un sistema di privilegiati che avevano in pugno il governo,  il fisco, l’economia, la giustizia, ogni aspetto della vita civile e di polizia, e il suo comando copriva capillarmente il territorio.

In ogni villaggio il sovrano poteva contare sull’appoggio di tutte le cricche e dei vari leaders locali, interessati al controllo delle coscienze - insieme a scribi e farisei compromessi, legati alla sua politica.

Oltre che fantoccio di Roma - cui garantiva il controllo del territorio e il flusso delle imposte - Erode era un depravato e superstizioso: pensava che perfino il giuramento leggero a una ballerina andasse mantenuto.

Giuseppe Flavio riferisce invece che Giovanni era in prigione per il timore del sovrano di una sommossa popolare - e stava valutando che fosse bene per lui agire in anticipo. La trama dell’assassinio è stata probabilmente occasionale.

 

Il coraggioso che denuncia soprusi viene stroncato, ma la voce del suo martirio non tacerà più.

Per questo motivo l’episodio non induce Gesù a maggiore prudenza. Ucciso un profeta, subentra un altro maggiore e più incisivo: all’ultimo dei Profeti, il Figlio di Dio.

I delinquenti non devono illudersi che la Provvidenza non sappia equipaggiare anche le alte sfere (e più smidollate) del contraltare di persone coerenti e valide.

Sia Giovanni che il Signore non hanno mai frequentato la nuova capitale erodiana, Tiberiade, la città dei palazzi di corte, costruita - dopo Sefforis, dove anche Gesù ha lavorato - in diplomatico omaggio all’imperatore romano.

La religiosità generica e confusionaria può adattarsi a ogni stagione ed esser fatta propria anche da chi pensa che la vita altrui non valga nulla, ma un Profeta non si arresta di fronte al capriccio del sistema corrotto.

 

Nei villaggi palestinesi la vita della gente era vessata di tasse e abusi di latifondisti [che neppure risiedevano in loco]; controllata dal perfetto connubio d’interessi fra potere civile e religioso - che in modo astuto tentavano d’imporre il loro stile di vita e trasmettere alle folle un sapere (inutile) ormai consolidato.

I leaders della fede popolare, ortodossa e confacente - come spesso capita - erano a guinzaglio delle autorità sul territorio, le quali si consideravano definitive e trovavano forza nella coalizione.

Sembrava assurdo che in quella società qualcuno osasse infrangere il muro omertoso il quale garantiva ai facinorosi, alle autorità “spirituali” e ai prepotenti persino d’infimo livello di considerarsi intoccabili.

Di fronte al ricatto [senza troppi complimenti] dei privilegiati che avevano il controllo d’ogni ceto sociale e culturale, pareva impossibile iniziare un nuovo cammino, o dire e fare qualsiasi cosa non allineata.

Giovanni e Gesù sfidano lo status quo e attraggono su di sé le vendette di coloro che tentano di perpetuare le prerogative del cosmo gerarchico antico, e le rabbie di quanti vengono smascherati nelle loro ipocrisie.

È la difficoltà reale che incontra l’Annuncio del nuovo Regno nel mondo. Il suo rifiuto sprezzante e ogni tentativo di omicidio saranno una cartina al tornasole della profezia critica, la cui rivelazione correrà parallela ai Due.

 

Il Battezzatore è stato un intrepido denunciatore del vizio, della superficialità, del malcostume, delle perversioni dei potenti.

Papa Francesco avrebbe parlato di buone maniere (nella ricerca di alleanze di cordata) e pessime abitudini - nella vita privata irresponsabile e insulsa, e nella violenza con cui si perpetua il dominio sui piccoli.

Anche Gesù ha puntato i piedi, invece di fare carriera interna. Malgrado il presagio di Giovanni, ha rifiutato la strada delle astuzie soppesate, della finzione, della diplomazia e delle piroette di circostanza.

Il Maestro si è eretto in difesa della coscienza e della stessa legge divina, contro le autorità religiose e politiche opportuniste, che ha sfidato a viso aperto.

 

Il Signore chiede il coraggio di non piegarsi di fronte alla corruzione, al male, alla mentalità corrente; di essere diversi nel modo di pensare, di parlare (mellifluo), di scegliere e agire.

Non ascoltati, derisi, osteggiati da signori, luminari e cortigiani, i figli di Dio rendono testimonianza alla Verità, pagando di persona: perfetta Letizia.

Autentica Pienezza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Conosci vittime di autoritarismo, corruzione, dominio di potenti, eccesso e strafottenza di potere? Anche nella Chiesa?

Come mai ancora capita questo (e tutto prima o poi vien messo a tacere)?

Chi è Gesù secondo te e gli altri? E che direbbe?

Cari fratelli e sorelle,

[…] ricorre la memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Nel Calendario Romano, è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio. Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.

Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3, 4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.

Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).

Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 29 agosto 2012]

1. Quest’oggi, 29 agosto, la tradizione cristiana fa memoria del martirio di San Giovanni Battista, "il più grande fra i nati di donna", secondo l’elogio del Messia stesso (cfr Lc 7, 28). Egli rese a Dio la suprema testimonianza del sangue immolando la sua esistenza per la verità e la giustizia; fu infatti decapitato per ordine di Erode, al quale aveva osato dire che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello (cfr Mt 6, 17 – 29).

2. Nell’Enciclica Veritatis splendor, ricordando il sacrificio di Giovanni Battista (cfr n.91), notavo che il martirio è "un segno preclaro della santità della Chiesa" (n.93). Esso infatti "rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale" (ibid.). Se relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però "una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici" (ibid.). Ci vuole davvero un impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere il Vangelo "sine glossa".

3. L’eroico esempio di Giovanni Battista fa pensare ai martiri della fede che lungo i secoli hanno seguito coraggiosamente le sue orme. In modo speciale, mi tornano alla mente i numerosi cristiani, che nel secolo scorso sono stati vittime dell’odio religioso in diverse nazioni d’Europa. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa.

Sentano questi nostri fratelli e sorelle la piena solidarietà dell’intera comunità ecclesiale! Li affidiamo alla Vergine Santa, Regina dei martiri, che ora insieme invochiamo.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 29 agosto 2004]

Ago 19, 2024

Strade parallele

Pubblicato in Angolo dell'apripista

Un uomo, Giovanni, e una strada, che è quella di Gesù, indicata dal Battista, ma è anche la nostra, nella quale tutti siamo chiamati al momento della prova.

Parte dalla figura di Giovanni, «il grande Giovanni: al dire di Gesù “l’uomo più grande nato da donna”» la riflessione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 6 febbraio. Il vangelo di Marco (6, 14-29) racconta della prigionia e del martirio di quest’«uomo fedele alla sua missione; l’uomo che ha sofferto tante tentazioni» e che «mai, mai ha tradito la sua vocazione». Un uomo «fedele» e «di grande autorità, rispettato da tutti: il grande di quel tempo».

Papa Francesco si è soffermato ad analizzare la sua figura: «Quello che gli usciva dalla bocca era giusto. Il suo cuore era giusto». Era tanto grande che «Gesù dirà anche di lui che “è Elia che è tornato, per pulire la casa, per preparare il cammino”». E Giovanni «era cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare: annunziare la prossimità del Messia. Lui era cosciente, come ci fa riflettere sant’Agostino, che lui era la voce soltanto, la Parola era un altro». Anche quando «è stato tentato di “rapinare” questa verità, lui è rimasto giusto: “Io non sono, dietro di me viene, ma io non sono: io sono il servo; io sono il servitore; io sono quello che apre le porte, perché lui venga».

A questo punto il Pontefice ha introdotto il concetto di strada, perché, ha ricordato: «Giovanni è il precursore: precursore non solo della entrata del Signore nella vita pubblica, ma di tutta la vita del Signore». Il Battista «va avanti nel cammino del Signore; dà testimonianza del Signore non soltanto mostrandolo — “È questo!”— ma anche portando la vita fino alla fine come l’ha portata il Signore». E finendo la vita «col martirio» è stato «precursore della vita e della morte di Gesù Cristo».

Il Papa ha continuato a riflettere su queste strade parallele lungo le quali «il grande» soffre «tante prove e diventa piccolo, piccolo, piccolo, piccolo fino al disprezzo». Giovanni, come Gesù, «si annienta, conosce la strada dell’annientamento. Giovanni con tutta quella autorità, pensando alla sua vita, comparandola con quella di Gesù, dice alla gente chi è lui, come sarà la sua vita: “Conviene che lui cresca, io invece debbo diminuire”». È questa, ha sottolineato il Papa, «la vita di Giovanni: diminuire davanti a Cristo, perché Cristo cresca». È «la vita del servo che fa posto, fa strada perché venga il Signore».

La vita di Giovanni «non è stata facile»: infatti, «quando Gesù ha incominciato la sua vita pubblica», egli era «vicino agli Esseni, cioè agli osservanti della legge, ma anche delle preghiere, delle penitenze». Così, a un certo punto, nel periodo in cui era in carcere, «ha sofferto la prova del buio, della notte nella sua anima». E quella scena, ha commentato Francesco, «commuove: il grande, il più grande manda da Gesù due discepoli per domandargli: “Ma Giovanni ti domanda: sei tu o ho sbagliato e dobbiamo aspettare un altro?”». Lungo la strada di Giovanni si è affacciato quindi «il buio dello sbaglio, il buio di una vita bruciata nell’errore. E questa per lui è stata una croce».

Alla domanda di Giovanni «Gesù risponde con le parole di Isaia»: il Battista «capisce, ma il suo cuore rimane nel buio». Ciò nonostante si presta alle richieste del re, «al quale piaceva sentirlo, al quale piaceva portare avanti una vita adultera», e «quasi diventava un predicatore di corte, di questo re perplesso». Ma «lui si umiliava» perché «pensava di convertire quest’uomo».

Infine, ha detto il Papa, «dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita». Quel re da perplesso «diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito»; piuttosto «perché il vino gli dà coraggio».

E così Giovanni finisce la sua vita «sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera». Così «finisce il grande, l’uomo più grande nato da donna», ha commentato Francesco che ha confessato: «Quando io leggo questo brano, mi commuovo». E ha aggiunto una considerazione utile alla vita spirituale di ogni cristiano: «Penso a due cose: primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati». E questa, ha sottolineato, «non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo». Perciò «ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi, del 2015».

Il Pontefice ha proseguito aggiungendo che questo brano lo spinge anche a riflettere su se stesso: «Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita “comprata”. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita». E ciò, ha detto, lo spinge «a pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento».

Si chiude così il cerchio della meditazione di Francesco: «Giovanni, il grande, che diminuisce continuamente fino al nulla; i martiri, che diminuiscono oggi, nella nostra Chiesa di oggi, fino al nulla; e noi, che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo». In questo senso la preghiera finale del Papa: «Che il Signore ci illumini, ci faccia capire questa strada di Giovanni, il precursore della strada di Gesù; e la strada di Gesù, che ci insegna come deve essere la nostra».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 07.02.2015]

(Mt 23,27-32)

 

Giovanni Crisostomo scrive nel Commento al Vangelo di Mt:

«Se si potesse aprire la coscienza di ciascuno, quanti vermi, quanta putredine e quale lezzo inimmaginabile vi troveremmo dentro. Desideri turpi e perversi, più sudici degli stessi vermi» (73,2).

Nel puntuale Commento al Vangelo di Mt, s. Girolamo scrive:

«I sepolcri all’esterno sono candidi di calce, adorni di marmi e d’oro, splendenti nei loro colori; ma all’interno sono pieni di ossa di morti. Così anche i maestri perversi, che una cosa dicono e l’altra fanno: nell’abito mostrano la purezza e nella parola l’umiltà; ma dentro sono pieni d’ogni marciume e di ogni desiderio impuro» (4).

 

Gesù prende posizione contro l’ipocrisia e l’estrinsecismo incoerente. Lo fa nei confronti delle autorità che salvano le vesti, le idee e l’immagine, ma radicalmente infedeli.

Si duole del loro apparire fittizio e corretto, mentre dentro sono la negazione totale del rispetto verso Dio che allestiscono in vetrina.

Così fanno stagnare il lato oscuro del mondo, invece di aiutarci a rimuoverlo.

La pietà ostentata per i grandi antenati denuncia un complesso di colpa (vv.29-32), non una cifra intima profonda - ambito unificatore dell’essere e dell’agire.

I maestri spirituali sono in campo non per fare mostra di sé - bensì per beneficare, dare colore, nuova linfa; promuovere situazioni autentiche e rallegranti, creative.

Il Signore propone un rinnovamento che giunga in profondità, più intimo dell’agitarsi epidermico; che tocchi il luogo e la dimensione dell’incontro col Padre.

Egli non si accontenta di ‘monumenti’ con la sorpresina dentro.

 

Siamo sempre tentati di rimanere sul piano d’una superficie abbellita, alla ricerca di facili e immediate soddisfazioni, stima, onore - soprattutto noi preti, che non di rado amiamo cullarci nei riconoscimenti.

Ci appaghiamo di cose epidermiche, perché? Incontrare se stessi, gli altri e la realtà richiede un impegno gravoso: quello di mettersi in discussione; uscire dalle forme, e dalle mode esterne.

Le tombe imbiancate appaiono sacre e graziose, ma si sa cosa talora contengono.

Non sempre diamanti cristallini; non sempre espressioni di filo diretto con gli altri e con Dio.

Insomma, la vistosità di fastigi e parvenze, o di patinature che strizzano sempre l’occhiolino, è una sorta di proiezione.

Artificio che non consente di elaborare pensieri; solo allontana gli incubi faticosi - nel modo più puerile.

L’Amore invece vive di scintille reali - non le varca indenne accontentandosi di autorappresentarsi nei segni decorativi, o nell’ideologia che adesca gli ingenui.

Paraventi d’incredibile vuoto.

 

Pur riconoscendo lecite le sfaccettature di grandi espressioni artistiche e le opinioni difformi, Gesù avrebbe sottoscritto un principio dei laici puritani: «Maggiori sono le cerimonie, minore è la Verità».

 

 

[Mercoledì 21.a sett. T.O. 28 agosto 2024]

Parvenze: vuoto

(Mt 23,27-32)

 

Giovanni Crisostomo scrive nel Commento al Vangelo di Mt:

«Se si potesse aprire la coscienza di ciascuno, quanti vermi, quanta putredine e quale lezzo inimmaginabile vi troveremmo dentro. Desideri turpi e perversi, più sudici degli stessi vermi» (73,2).

Forse ci ha spiazzato il severo impegno del Papa contro forme allegre, disinvolte e ambigue di gestione dei beni, e in campo di moralità interna alla Chiesa Cattolica - una vera e propria opera di bonifica clericale, che si è spinta sino alla riapertura delle carceri.

Ma prendendo posizione contro il sistema delle grandi parvenze [l’ipocrisia e l’estrinsecismo incoerente] Gesù rincara la dose.

Lo fa nei confronti delle autorità antiche, dei capi religiosi e mestieranti del sacro - leaders che salvano le vesti, le idee e l’immagine, ma radicalmente infedeli.

Si duole del loro apparire fittizio e corretto, mentre dentro sono la negazione totale del rispetto verso Dio che allestiscono in vetrina.

Così fanno stagnare il lato oscuro del mondo, invece di aiutarci a rimuoverlo.

La pietà ostentata per i grandi antenati denuncia un complesso di colpa (vv.29-32), non una cifra intima profonda - ambito unificatore dell’essere e dell’agire.

Isterismo che esorcizza il vizio degli “eletti” di sempre: togliersi dai piedi chi smaschera il loro esistere vuoto; nonché il loro ascendente ben adornato, cerebrale o legalista, che ancora costringe la vita di tanta gente nei sepolcri.

 

I maestri spirituali sono in campo non per fare mostra di sé - né incarnarsi a mo’ di guide minacciose.

Essi devono agire per beneficare, dare colore, nuova linfa; promuovere situazioni autentiche e contenuti nuovi, rallegranti e creativi.

Nel puntuale Commento al Vangelo di Mt, s. Girolamo scrive:

«I sepolcri all’esterno sono candidi di calce, adorni di marmi e d’oro, splendenti nei loro colori; ma all’interno sono pieni di ossa di morti. Così anche i maestri perversi, che una cosa dicono e l’altra fanno: nell’abito mostrano la purezza e nella parola l’umiltà; ma dentro sono pieni d’ogni marciume e di ogni desiderio impuro» (4).

Il Signore propone un rinnovamento che giunga in profondità, più intimo dell’agitarsi epidermico; che tocchi il luogo e la dimensione dell’incontro col Padre.

Egli non si accontenta di ‘monumenti’ con la sorpresina dentro.

 

Siamo sempre tentati di rimanere sul piano d’una superficie abbellita, alla ricerca di facili e immediate soddisfazioni, stima, onore - soprattutto noi preti, che non di rado amiamo cullarci nei riconoscimenti futili.

E i nostri diversi teatri della religiosità vistosa ma sorda sono largamente disponibili a truccare con rango spirituale l’appartenenza dei grandi primattori alla civiltà delle fictions - pulita e ornata.

Ci appaghiamo di cose epidermiche, perché? Incontrare se stessi, gli altri e la realtà richiede un impegno gravoso: quello di mettersi in discussione; uscire dalle forme, e dalle mode esterne.

Ma non sono sufficienti le buone maniere, per coprire tante pessime abitudini.

Non basta più la falsa sicurezza di presentare la nostra facciata da soap opera: figura apparecchiata dal rango anche religioso e devoto che si vuol mostrare.

L’ipocrisia delle interpretazioni accomodate o delle caratterizzazioni plateali è un atteggiamento non di rado camuffato e perfino delittuoso.

Esso ci sta portando allegramente al male oscuro della più decadente vacuità, e diffusa tristezza.

 

Le tombe imbiancate del nostro camposanto anticipato appaiono sacre e graziose, ma si sa cosa talora contengono.

Non sempre diamanti cristallini; non sempre espressioni di filo diretto con gli altri e con Dio.

Quindi il sorprendente impegno delle attuali gerarchie per la purificazione interna resta un punto fermo, del tutto opportuno.

È la vita che conta e va promossa, non l’apparire in cartapesta di tutto ciò che di sconosciuto o coperto ci è cresciuto in casa.

Anzi, proprio i manieristi o modernisti, i moralizzatori di facciata, i più vanitosi protagonisti della bellezza rituale o à la page… si rivelano le peggiori persone - dalla doppia vita; amanti d’uno stile da satrapi [forse per riscatto sociale].

Ecco il confondere idee anche a se stessi, e la paradossale opera di disidentificazione.

Insomma, la vistosità di fastigi e parvenze, o di patinature che strizzano sempre l’occhiolino, è una sorta di proiezione.

Artificio che non consente di elaborare pensieri; solo allontana gli incubi faticosi - nel modo più puerile.

L’Amore invece vive di scintille reali - non le varca indenne accontentandosi di autorappresentarsi nei segni decorativi, o nell’ideologia che adesca gli ingenui.

Paraventi d’incredibile vuoto.

 

Pur riconoscendo lecite le sfaccettature di grandi espressioni artistiche e le opinioni difformi, Gesù avrebbe sottoscritto il principio dei laici puritani anglosassoni: «Maggiori sono le cerimonie, minore è la Verità».

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali ipocrisie clericali [o adesioni-scapicollo] ti danno fastidio, malgrado il loro fastigio?

Gli accusatori ipocriti, infatti, fingono di affidargli il giudizio, mentre in realtà è proprio Lui che vogliono accusare e giudicare. Gesù, invece, è “pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14): Egli sa che cosa c’è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore, e smascherare l’ipocrisia. L’evangelista san Giovanni dà risalto ad un particolare: mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza, Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra. Osserva sant’Agostino che quel gesto mostra Cristo come il legislatore divino: infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra (cfr Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore, è la Giustizia in persona. E qual è la sua sentenza? “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia.

[Papa Benedetto, Angelus 21 marzo 2010]

2. La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia.

15. Eleviamo le nostre suppliche, guidati dalla fede, dalla speranza, dalla carità che Cristo ha innestato nei nostri cuori. Questo atteggiamento è parimenti amore verso Dio, che l'uomo contemporaneo a volte ha molto allontanato da sé, reso estraneo a se stesso, proclamando in vari modi che gli è «superfluo». Questo è quindi amore verso Dio, la cui offesa ripulsa da parte dell'uomo contemporaneo sentiamo profondamente, pronti a gridare con Cristo in croce: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Questo è, al tempo stesso, amore verso gli uomini, verso tutti gli uomini senza eccezione e divisione alcuna: senza differenza di razza, di cultura, di lingua, di concezione del mondo, senza distinzione tra amici e nemici. Questo è amore verso gli uomini - e desidera ogni vero bene per ciascuno di essi e per ogni comunità umana, per ogni famiglia, ogni nazione, ogni gruppo sociale, per i giovani, gli adulti, i genitori, gli anziani, gli ammalati - verso tutti senza eccezione. Questo è amore, ossia premurosa sollecitudine per garantire a ciascuno ogni autentico bene ed allontanare e scongiurare qualsiasi male.

[Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia]

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The family in the modern world, as much as and perhaps more than any other institution, has been beset by the many profound and rapid changes that have affected society and culture. Many families are living this situation in fidelity to those values that constitute the foundation of the institution of the family. Others have become uncertain and bewildered over their role or even doubtful and almost unaware of the ultimate meaning and truth of conjugal and family life. Finally, there are others who are hindered by various situations of injustice in the realization of their fundamental rights [Familiaris Consortio n.1]
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti [Familiaris Consortio n.1]
"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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