6. Le pesche miracolose sono per gli apostoli e per la chiesa i “segni” della fecondità della loro missione se si manterranno profondamente uniti alla potenza salvifica di Cristo (cf. Lc 5, 4-10; Gv 21, 3-6). Difatti Luca inserisce nella narrazione il fatto di Simon Pietro che si getta alle ginocchia di Gesù esclamando: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5, 8), e la risposta di Gesù: “Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini”(Lc 5, 10). Giovanni a sua volta fa seguire alla narrazione della pesca dopo la risurrezione, il mandato di Cristo a Pietro. “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle” (cf. Gv 21, 15-17). È un accostamento significativo.
7. Si può dunque dire che i miracoli di Cristo, manifestazione della onnipotenza divina nei riguardi della creazione, che si rivela nel suo potere messianico su uomini e cose, sono nello stesso tempo i “segni” mediante i quali si rivela l’opera divina della salvezza, l’economia salvifica che con Cristo viene introdotta e si attua in modo definitivo nella storia dell’uomo e viene così inscritta in questo mondo visibile, che è pure sempre opera divina. La gente che - così come gli apostoli sul lago - vedendo i “miracoli” di Cristo s’interroga: “Chi è . . . costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?” (Mc 4, 41), mediante questi “segni” viene preparata ad accogliere la salvezza offerta all’uomo da Dio nel suo Figlio.
Questo è lo scopo essenziale di tutti i miracoli e segni fatti da Cristo agli occhi dei suoi contemporanei, e di quei miracoli che nel corso della storia saranno compiuti dai suoi apostoli e discepoli in riferimento alla potenza salvifica del suo nome: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At 3, 6).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 2 dicembre 1987]