1. Nella catechesi precedente abbiamo scorso, seppur velocemente, delle testimonianze dell’Antico Testamento che preparavano ad accogliere la piena rivelazione, annunciata da Gesù Cristo, della verità del mistero della paternità di Dio.
Cristo infatti ha parlato molte volte del Padre suo, presentandone in vari modi la provvidenza e l’amore misericordioso.
Ma il suo insegnamento va oltre. Riascoltiamo le parole particolarmente solenni, riportate dall’evangelista Matteo (e parallelamente da Luca): “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai semplici . . .” e, in seguito: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio, nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 25. 27; cf. Lc 10, 2. 11).
Dunque per Gesù, Dio non è solamente “il Padre d’Israele, il Padre degli uomini”, ma “il Padre mio”! “Mio”: proprio per questo i giudei volevano uccidere Gesù, perché “chiamava Dio suo Padre” (Gv 5, 18). “Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni.
2. Il “Padre mio” è il Padre di Gesù Cristo, colui che è l’origine del suo essere, della sua missione messianica, del suo insegnamento. L’evangelista Giovanni ha riportato con abbondanza l’insegnamento messianico che ci permette di scandagliare in profondità il mistero di Dio Padre e di Gesù Cristo, il Figlio suo unigenito.
Gesù dice: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato” (Gv 12, 44). “Io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare” (Gv 12, 49). “In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre, quello che egli fa, anche il Figlio lo fa” (Gv 5, 19). “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5, 26). E infine: “. . . il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre” (Gv 6, 57).
Il Figlio vive per il Padre prima di tutto perché è stato da lui generato. Vi è una strettissima correlazione tra la paternità e la figliolanza proprio in forza della generazione: “Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato” (Eb 1, 5). Quando presso Cesarea di Filippo Simon Pietro confesserà: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, Gesù gli risponderà: “Beato te . . . perché né la carne, né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio . . .” (Mt 16, 16-17), perché solo “il Padre conosce il Figlio” così come solo il “Figlio conosce il Padre” (Mt 11, 27). Solo il Figlio fa conoscere il Padre: il Figlio visibile fa vedere il Padre invisibile. “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14, 9).
3. Dall’attenta lettura dei Vangeli si ricava che Gesù vive ed opera in costante e fondamentale riferimento al Padre. A lui spesso si rivolge con la parola colma d’amore filiale: “Abbà”; anche durante la preghiera del Getsemani questa stessa parola gli torna alle labbra (cf. Mc 14, 36). Quando i discepoli gli domandano di insegnar loro a pregare, insegna il “Padre nostro” (cf. Mt 6, 9-13). Dopo la risurrezione, al momento di lasciare la terra sembra che ancora una volta faccia riferimento a questa preghiera, quando dice: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20, 17).
Così dunque per mezzo del Figlio (cf. Eb 1, 2), Dio si è rivelato nella pienezza del mistero della sua paternità. Solo il Figlio poteva rivelare questa pienezza del mistero, perché solo “il Figlio conosce il Padre” (Mt 11, 27). “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18).
4. Chi è il Padre? Alla luce della testimonianza definitiva che noi abbiamo ricevuto per mezzo del Figlio, Gesù Cristo, abbiamo la piena consapevolezza della fede che la paternità di Dio appartiene prima di tutto al mistero fondamentale della vita intima di Dio, al mistero trinitario. Il Padre è colui che eternamente genera il Verbo, il Figlio a lui consostanziale. In unione col Figlio, il Padre eternamente “spira” lo Spirito Santo, che è l’amore nel quale il Padre e il Figlio reciprocamente rimangono uniti (cf. Gv 14, 10).
Dunque il Padre è nel mistero trinitario l’“inizio-senza-inizio”. “Il Padre da nessuno è fatto, né creato, né generato” (simbolo Quicumque). È da solo il principio della vita, che Dio ha in se stesso. Questa vita - cioè la stessa divinità - il Padre possiede nell’assoluta comunione col Figlio e con lo Spirito Santo, che sono a lui consostanziali.
Paolo, apostolo del mistero di Cristo, cade in adorazione e preghiera “davanti al Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Ef 3, 15), inizio e modello.
Vi è infatti “un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 6).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 23 ottobre 1985]