Set 12, 2024 Scritto da 

Gesù il Salvatore: Figlio di Dio e Figlio dell’uomo

1. Con la catechesi della scorsa settimana, seguendo i più antichi simboli della fede cristiana, abbiamo iniziato un nuovo ciclo di riflessioni su Gesù Cristo. Il Simbolo apostolico proclama: “Credo . . . in Gesù Cristo, suo unico Figlio (di Dio)”. Il Simbolo niceno-costantinopolitano, dopo aver definito con precisione ancora maggiore la divina origine di Gesù Cristo come Figlio di Dio, prosegue dichiarando che questo Figlio di Dio “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e . . . si è incarnato”. Come si vede, il nucleo centrale della fede cristiana è costituito dalla duplice verità che Gesù Cristo è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo (la verità cristologica), ed è la realizzazione della salvezza dell’uomo, che Dio Padre ha compiuto in lui, Figlio suo e Salvatore del mondo (la verità soteriologica).

2. Se nelle precedenti catechesi abbiamo trattato del male, e in particolare del peccato, lo abbiamo fatto anche per preparare il ciclo presente su Gesù Cristo Salvatore. Salvezza infatti significa liberazione dal male, in particolare dal peccato. La Rivelazione contenuta nella sacra Scrittura, a cominciare dal Proto-Vangelo (Gen 3, 15) ci apre alla verità che solo Dio può liberare l’uomo dal peccato e da tutto il male presente nell’esistenza umana. Dio, mentre rivela se stesso come Creatore del mondo e suo provvidente Ordinatore, si rivela contemporaneamente come Salvatore: come colui che libera dal male, in particolare dal peccato causato dalla libera volontà della creatura. È questo il culmine del progetto creativo attuato dalla Provvidenza di Dio, nel quale mondo (cosmologia), uomo (antropologia) e Dio salvatore (soteriologia) sono strettamente legati.

Come infatti ricorda il Concilio Vaticano II, i cristiani credono che il mondo è “creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto . . .” (Gaudium et Spes, 2).

3. Il nome “Gesù”, considerato nel suo significato etimologico, vuol dire “Jahvè libera”, salva, aiuta. Prima della schiavitù di Babilonia veniva espresso nella forma “Jehosua”: nome teoforico che contiene la radice del santissimo nome di Jahvè. Dopo la schiavitù babilonese prese la forma abbreviata “Jeshua”, che nella traduzione dei Settanta fu trascritto con “Jesoûs” da cui l’italiano “Gesù”.

Il nome era alquanto diffuso, sia al tempo dell’antica sia della nuova alleanza. È infatti il nome che portava Giosuè, che dopo la morte di Mosè introdusse gli Israeliti nella terra promessa: “Egli, secondo il significato del suo nome, fu grande per la salvezza degli eletti di Dio . . . per assegnare il possesso a Israele” (Sir 46, 1). Gesù, figlio di Sirach, fu il compilatore del libro del Siracide (Sir 50, 27). Nella genealogia del Salvatore, riportata nel Vangelo secondo Luca, troviamo enumerato “Er, figlio di Gesù” (Lc 3, 28-29). Tra i collaboratori di san Paolo è presente anche un certo Gesù, “chiamato Giusto” (cf. Col 4, 11).

4. Il nome Gesù, tuttavia, non ebbe mai quella pienezza di significato che avrebbe assunto nel caso di Gesù di Nazaret e che sarebbe stato rivelato dall’angelo a Maria (cf. Lc 1, 31ss.) e a Giuseppe (cf. Mt 1, 21). All’inizio del ministero pubblico di Gesù, la gente intendeva il suo nome nel senso comune di allora.

“Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Così dice uno dei primi discepoli, Filippo, a Natanaele il quale ribatte: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1, 45-46). Questa domanda indica che Nazaret non era molto stimata dai figli di Israele. Nonostante ciò, Gesù fu chiamato “Nazareno” (cf. Mt 2, 23), o anche “Gesù da Nazaret di Galilea” (Mt 21, 11), espressione che lo stesso Pilato utilizzò nell’iscrizione che egli fece porre sulla croce: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19, 19).

5. La gente chiamò Gesù “il Nazareno” dal nome del luogo in cui egli risiedette con la sua famiglia fino all’età di trent’anni. Sappiamo tuttavia che il luogo di nascita di Gesù non fu Nazaret ma Betlemme, località della Giudea, a sud di Gerusalemme. Lo attestano gli evangelisti Luca e Matteo. Il primo, in particolare, fa notare che a causa del censimento ordinato dalle autorità romane, “Giuseppe, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2, 4-6).

Come avviene per altri luoghi biblici, anche Betlemme assume un valore profetico. Rifacendosi al profeta Michea, Matteo ricorda che questa cittadina è stata designata come luogo della nascita del Messia: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te infatti uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele” (Mt 2, 6). Il profeta aggiunge: “. . . le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mt 5, 1).

A questo testo si riferirono i sacerdoti e gli scribi che Erode aveva consultato per rispondere ai Magi che, giunti dall’Oriente, domandavano dove era il luogo della nascita del Messia.

Il testo del Vangelo di Matteo (Mt 2, 1): “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode”, si rifà alla profezia di Michea, alla quale si riferisce anche l’interrogativo riportato nel quarto Vangelo: “Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?” (Gv 7, 42).

6. Da questi particolari si deduce che Gesù è il nome di una persona storica, vissuta in Palestina. Se è giusto riconoscere credibilità storica a figure come Mosè e Giosuè, a maggior ragione va accolta l’esistenza storica di Gesù. I Vangeli non ci riferiscono in dettaglio la sua vita perché non hanno scopo primariamente storiografico. Sono però proprio i Vangeli che, letti con onestà di critica, portano a concludere che Gesù di Nazaret è una persona storica vissuta in uno spazio e tempo determinati. Anche da un punto di vista puramente scientifico deve suscitare meraviglia non chi afferma, ma chi nega l’esistenza di Gesù, come hanno fatto le teorie mitologiche del passato e come ancora oggi fa qualche studioso.

Per quanto riguarda la data precisa della nascita di Gesù, i pareri degli esperti non sono concordi. Si ammette comunemente che il monaco Dionigi il Piccolo, quando nell’anno 533 propose di calcolare gli anni non dalla fondazione di Roma, ma dalla nascita di Gesù Cristo, sia caduto in errore. Fino a qualche tempo fa si riteneva che si trattasse di uno sbaglio di circa quattro anni, ma la questione è tutt’altro che risolta.

7. Nella tradizione del popolo israelitico il nome “Gesù” ha conservato il suo valore etimologico: “Dio libera”. Per tradizione erano sempre i genitori che imponevano il nome ai loro figli. Invece nel caso di Gesù, figlio di Maria, il nome fu scelto e assegnato dall’alto già prima della nascita, secondo l’indicazione dell’angelo a Maria, nell’annunciazione (Lc 1, 31) e a Giuseppe in sogno (Mt 1, 21). “Gli fu messo nome Gesù” - sottolinea l’evangelista Luca - perché con questo nome “era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2, 21).

8. Nel progetto disposto dalla Provvidenza di Dio, Gesù di Nazaret porta un nome che allude alla salvezza: “Dio libera”, perché egli è in realtà ciò che il nome indica, cioè il Salvatore. Lo testimoniano alcune frasi, presenti nei cosiddetti Vangeli dell’infanzia, scritti da Luca (Lc 2, 11): “. . . vi è nato . . . un salvatore”, e da Matteo (Mt 1, 21): “egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Sono espressioni che riflettono la verità che è rivelata e proclamata da tutto il Nuovo Testamento. Scrive ad esempio l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi . . . e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore (Kyrios, Adonai) a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11).

La ragione dell’esaltazione di Gesù la troviamo nella testimonianza resa a lui dagli apostoli i quali proclamarono con coraggio: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 14 gennaio 1987]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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The family in the modern world, as much as and perhaps more than any other institution, has been beset by the many profound and rapid changes that have affected society and culture. Many families are living this situation in fidelity to those values that constitute the foundation of the institution of the family. Others have become uncertain and bewildered over their role or even doubtful and almost unaware of the ultimate meaning and truth of conjugal and family life. Finally, there are others who are hindered by various situations of injustice in the realization of their fundamental rights [Familiaris Consortio n.1]
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti [Familiaris Consortio n.1]
"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

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