«Oggi, in questa messa, ci faremo vicini alla Chiesa di Costantinopoli, la Chiesa di Andrea, pregheremo per la Chiesa, per l’unità delle Chiese». Con queste parole, all’inizio della celebrazione di venerdì 30 a Santa Marta, Papa Francesco ha voluto ricordare la festa liturgica di sant’Andrea. E la vocazione di «Pietro e Andrea» è stata richiamata dal Pontefice con le parole dell’antifona d’ingresso: «Sulle sponde del mare di Galilea il Signore vide due fratelli, Pietro ed Andrea, e li chiamò: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini” (cfr. Matteo 4, 18-19)». L’annuncio del Vangelo, ha poi affermato il Papa, è «testimonianza» e «coerenza» fino al martirio: è una missione che prevede «il biglietto di sola andata». E non ha nulla a che vedere con il «proselitismo» e la «logica del marketing».
Nell’omelia il Pontefice ha anzitutto ripreso i contenuti dalla lettera di Paolo ai Romani (10, 9-18) proposta come prima lettura. L’apostolo, ha spiegato, «dice ai romani che è importante l’annuncio del Vangelo: portare questo annuncio, che Cristo ci ha salvato, che Cristo è morto, risorto per noi». Ma l’apostolo dice anche «come questa gente deve invocare il nome del Signore per essere salvata: “come invocheranno colui nel quale non hanno creduto?”». Perché «senza fede non si può invocare». E ancora, ha proseguito il Papa ripetendo le parole di Paolo, «come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!”».
«L’annunzio di Gesù Cristo è portare, sì, una notizia, ma non una notizia semplice, comune: la buona notizia» ha spiegato Francesco, aggiungendo che in realtà non si tratta «neppure di una buona notizia» ma della notizia, «l’unica grande buona notizia».
E «questo annunciare Gesù Cristo per i discepoli dei primi tempi e anche di questo tempo — ha detto il Pontefice — non è un lavoro di pubblicità: fare pubblicità per una persona molto buona, che ha fatto del bene, ha guarito tanta gente e ci ha insegnato cose belle». L’annuncio, ha insistito, «non è pubblicità, neppure è proselitismo». Tanto che «se qualcuno va a parlare di Gesù Cristo, a predicare Gesù Cristo per fare proselitismo, no, questo non è annuncio di Cristo: questo è un lavoro di predicatore, retto dalla logica del marketing».
Dunque, si è chiesto il Papa, «che cosa è l’annuncio di Cristo, che non è né proselitismo, né pubblicità, né marketing e come descriverlo?». Si tratta, ha risposto, «prima di tutto, di essere inviato, ma non come il capo di una ditta a cercare nuovi soci», bensì come «inviato alla missione». E «il segnale proprio, che uno è inviato alla missione» è «quando entra in gioco la propria vita: l’apostolo, l’inviato, che porta avanti l’annuncio di Gesù Cristo lo fa a condizione che metta in gioco la propria vita, il proprio tempo, i propri interessi, la propria carne». E «c’è un detto che può spiegare, un detto comune detto da gente semplice della mia terra, che dice: “per fare questo ci vuole mettere la propria carne sulla griglia”». La questione, ha ripetuto Francesco, è «mettersi in gioco e questo viaggio di andare all’annuncio rischiando la vita — perché io mi gioco la mia vita, la mia carne — ha soltanto il biglietto di andata, non del ritorno». Perché «ritornare è apostasia».
«Annuncio di Gesù Cristo con la testimonianza» dunque. E «testimonianza vuol dire mettere in gioco la propria vita: quello che io dico lo faccio» ha ribadito il Pontefice. Del resto, «Gesù rimproverava i dottori della legge di quel tempo che dicevano tante cose belle, ma facevano il contrario». Non a caso, «il consiglio che Gesù dava alla gente era: “Fate tutto quello che loro dicono, ma non imitate quello che fanno”». Infatti, ha aggiunto, «la parola per essere annuncio deve essere testimonianza».
Ma «quanto scandalo diamo noi cristiani quando diciamo di essere cristiani e poi viviamo come pagani, come non credenti, come se non avessimo fede» ha riconosciuto il Papa, invitando ad avere «coerenza tra la parola e la propria vita: questo si chiama testimonianza». E così «l’apostolo, quello che porta, l’annunciatore, quello che porta la parola di Dio, è un testimone che gioca la propria vita fino alla fine». Ed «è anche un martire».
A questo punto, ha suggerito Francesco, «qualcuno può domandarsi chi ha inventato questo metodo di far conoscere una persona come Gesù: è un metodo proprio del cristianesimo. Chi lo ha inventato? Forse san Pietro o sant’Andrea? No, Dio Padre, perché è stato il proprio metodo per farsi conoscere: inviare il suo Figlio in carne, rischiando la propria vita».
Infatti, ha fatto presente il Pontefice, «il primo atto di fede è: “Io credo che il Figlio si è incarnato”». E anche questa affermazione «scandalizzava tanto e continua a scandalizzare: Dio si è fatto uno di noi». Anche questo «è stato un viaggio — ha affermato Francesco — con biglietto soltanto di andata: il diavolo ha cercato di convincerlo a prendere un’altra strada e lui non ha voluto, ha fatto la volontà del Padre fino alla fine». Ma il suo «annuncio deve andare per la stessa strada, la testimonianza, perché lui è stato il testimone del Padre fatto carne». E anche «noi dobbiamo farci carne, cioè farci testimoni: fare, fare quello che diciamo, e questo è l’annuncio di Cristo».
«I martiri sono coloro che dimostrano che l’annuncio è stato vero» ha spiegato il Papa. Sono «uomini e donne che hanno dato la vita — gli apostoli hanno dato la vita — con il sangue». Ma sono «anche tanti uomini e donne nascosti nella nostra società e nelle nostre famiglie, che danno testimonianza tutti i giorni in silenzio di Gesù Cristo, ma con la propria vita, con quella coerenza di fare quello che dicono».
«Tutti noi siamo battezzati e abbiamo con il battesimo la missione di annunciare Gesù Cristo» ha rilanciato il Pontefice. Perciò «se noi viviamo come Gesù ci ha insegnato a vivere, viviamo in armonia con quello che predichiamo, l’annuncio sarà fruttuoso». Ma «se noi viviamo senza coerenza, dicendo una cosa e facendone un’altra contraria, il risultato sarà lo scandalo; e lo scandalo dei cristiani fa tanto male, tanto male al popolo di Dio».
«Chiediamo al Signore la grazia» — ha concluso Francesco — di fare «come Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni che hanno lasciato barca, rete, padre, famiglia: lasciare tutto quello che ci impedisce di andare avanti nell’annuncio della testimonianza». Perché «tutti noi abbiamo qualcosa da lasciare dentro, tutti. Cerchiamo cosa? Lasciamo. Quell’atteggiamento, quel peccato, quel vizio: ognuno sa la sua». Per questo, ha ripetuto, chiediamo «la grazia di lasciare per essere più coerenti e annunciare Gesù Cristo, perché la gente creda con la nostra testimonianza».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 01/12/2018]