La grazia di riconoscere quando Gesù passa, quando «bussa alla nostra porta», la grazia «di riconoscere il tempo in cui siamo stati visitati, siamo visitati e saremo visitati». È la preghiera rivolta al Signore per ogni cristiano da Papa Francesco al termine dell’omelia tenuta durante la messa celebrata a Santa Marta giovedì 17 novembre. Una preghiera per non cadere in un «dramma» ripetuto nella storia, dalle origini ai giorni nostri: quello di «non riconoscere l’amore di Dio».
La meditazione del Pontefice ha preso spunto dal brano evangelico in cui Luca (19, 41-44) descrive il pianto di Gesù sulla città di Gerusalemme. «Cosa sentì Gesù, nel suo cuore — si è chiesto il Papa — in questo momento del suo pianto? Perché piange Gesù su Gerusalemme?». E la risposta può venire sfogliando la Bibbia: «Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre».
Così «nel cuore di Gesù, nella memoria di Gesù, in quel momento, venivano i passi dei profeti». Come quello di Osea — «Io la sedurrò, la condurrò al deserto e parlerò al suo cuore; la farò mia sposa» — nel quale si incontra «l’entusiasmo e la voglia di Dio per il suo popolo», il suo «amore». O le parole di Geremia: «Di te ricordo il tempo della tua giovinezza, il tempo del tuo fidanzamento, del tuo amore giovane, quando mi seguivi nel deserto. Ma ti sei allontanata da me». E ancora: «Cosa trovarono i vostri padri per allontanarsi da me?», «Disgrazia per voi che i vostri padri si siano allontanati da me...».
Il Pontefice ha provato a immaginare il flusso di memoria che ha coinvolto Gesù in quel momento e ha di nuovo richiamato il profeta Osea: «Quando Israele era fanciullo io l’ho amato, ma più lo chiamavo, più si allontanava da me». Ne è emerso il «dramma dell’amore di Dio e l’allontanarsi, l’infedeltà del popolo». Era, ha spiegato, «quello che aveva Gesù nel cuore»: da una parte la memoria di una «storia di amore», addirittura di «amore “pazzo” di Dio per il suo popolo, un amore senza misure», e dall’altra la risposta «egoista, sfiduciata, adultera, idolatrica» del popolo.
C’è poi un altro aspetto che emerge dal brano evangelico del giorno. Gesù infatti si lamenta su Gerusalemme, «perché — dice — non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata da Dio, dai patriarchi, dai profeti». Il Pontefice ha suggerito che nella memoria di Gesù ci fosse «quella parabola divinatoria, quella di quando il padrone invia un suo impiegato a chiedere i soldi: lo bastonano; e poi un altro lo uccidono. Alla fine invia suo figlio e cosa dice questa gente? “Ma questo è il figlio! Questo ha l’eredità... Uccidiamolo! Ammazziamolo e l’eredità sarà per noi!». È la spiegazione di cosa s’intende per «l’ora della visita», ovvero: «Gesù è il figlio che viene e non è riconosciuto. È rifiutato!». Infatti nel vangelo di Giovanni si legge: «È venuto da loro e loro non lo hanno accettato», «la luce è venuta e il popolo ha scelto le tenebre». È quindi questo, ha spiegato Francesco, «che fa dolore al cuore di Gesù Cristo, questa storia di infedeltà, questa storia di non riconoscere le carezze di Dio, l’amore di Dio, di un Dio innamorato» che vuole la felicità dell’uomo.
Gesù, ha detto il Papa, «vide in quel momento cosa lo aspettava come Figlio. E pianse “perché questo popolo non ha riconosciuto il tempo in cui è stato visitato”».
A questo punto la meditazione del Pontefice si è rivolta alla vita quotidiana di ogni cristiano, perché, ha detto, «questo dramma non è accaduto soltanto nella storia e finito con Gesù. È il dramma di tutti i giorni». Ognuno di noi può chiedersi: «Io so riconoscere il tempo nel quale sono stato visitato? Mi visita Dio?».
Per meglio far comprendere il concetto, Francesco ha fatto riferimento alla liturgia di martedì scorso, nella quale si parlava di «tre momenti della visita di Dio: per correggere; per entrare in colloquio con noi; e per invitarsi alla nostra casa». In quell’occasione è emerso che «Dio sta, Gesù sta davanti a noi, e quando vuole correggerci ci dice: “Svegliati! Cambia vita! Questo non va bene!”. Poi quando vuol parlare con noi dice: “Io busso alla porta e chiamo. Aprimi!». Come quando a Zaccheo disse: «Scendi!» per «farsi invitare a casa».
E allora oggi possiamo domandarci: «Com’è il mio cuore davanti alla visita di Gesù?”». E anche «fare un esame di coscienza: “Io sono attento a quello che passa nel mio cuore? Io sento? So ascoltare le parole di Gesù, quando lui bussa alla mia porta o quando lui mi dice: “Svegliati! Correggiti!”; o quando lui mi dice: “Scendi, che voglio cenare con te”?». È una domanda importante perché, ha ammonito il Pontefice, «ognuno di noi può cadere nello stesso peccato del popolo di Israele, nello stesso peccato di Gerusalemme: non riconoscere il tempo nel quale siamo stati visitati».
Di fronte a tante nostre certezze — «Ma io sono sicuro delle mie cose. Io vado a messa, sono sicuro» — bisogna ricordare che «ogni giorno il Signore ci fa visita, ogni giorno bussa alla nostra porta». E dunque «dobbiamo imparare a riconoscere questo, per non finire in quella situazione tanto dolorosa» che si ritrova nelle parole del profeta Osea: «Quanto più li amavo, quanto più li chiamavo, più si allontanavano da me». Perciò ha ripetuto il Papa: «Tu fai tutti i giorni un esame di coscienza su questo? Oggi il Signore mi ha visitato? Ho sentito qualche invito, qualche ispirazione per seguirlo più da vicino, per fare un’opera di carità, per pregare un po’ di più?», insomma per realizzare tutte quelle cose alle quali «il Signore ci invita ogni giorno per incontrarsi con noi»?
L’insegnamento che emerge da questa meditazione è dunque che «Gesù pianse non solo per Gerusalemme, ma per tutti noi», e che egli «dà la sua vita, perché noi riconosciamo la sua visita». In tal senso il Pontefice ha ricordato «una frase molto forte» di sant’Agostino: «“Ho paura di Dio, di Gesù, quando passa!” — “Ma perché hai paura? — “Ho paura di non riconoscerlo!”». Perciò, ha concluso il Papa, «se tu non stai attento al tuo cuore, mai saprai se Gesù ti sta visitando o no».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 18/11/2016]
Con lacrime di padre e di madre
Oggi Dio continua a piangere — con lacrime di padre e di madre — davanti alle calamità, alle guerre scatenate per adorare il dio denaro, a tanti innocenti uccisi dalle bombe, a un’umanità che sembra non volere la pace. È un forte invito alla conversione quello rilanciato da Francesco nella messa celebrata giovedì mattina, 27 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta. Un invito che il Pontefice ha motivato ricordando che Dio si è fatto uomo proprio per piangere con e per i suoi figli.
Nel passo del vangelo di Luca (13, 31-35) proposto dalla liturgia, ha spiegato il Papa, «sembra che Gesù avesse perso la pazienza e usa anche parole forti: non è un insulto ma non è fare un complimento dire “volpe” a una persona». Per la precisione dice ai farisei che gli hanno parlato di Erode: «Andate a dire a quella volpe». Ma già «in altre occasioni Gesù ha parlato duro»: ad esempio, ha detto «generazione perversa e adultera». E ha chiamato i discepoli «duri di cuore» e «stolti». Luca riporta le parole con cui Gesù fa un vero e proprio «riassunto di quello che dovrà accadere: “è necessario che io prosegua il mio cammino perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”». In pratica il Signore «dice quello che succederà, si prepara a morire».
Ma «poi subito Gesù cambia i toni», ha evidenziato Francesco. «Dopo questo scoppio tanto forte», infatti, «cambia tono e guarda il suo popolo, guarda la città di Gerusalemme: “Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te!”». Egli guarda «la Gerusalemme chiusa, che non ha sempre ricevuto i messaggeri del Padre». E «il cuore di Gesù incomincia a parlare con tenerezza: “Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini!”». Ecco «la tenerezza di Dio, la tenerezza di Gesù». Quel giorno egli «pianse su Gerusalemme». Ma «quel pianto di Gesù — ha spiegato il Papa — non è il pianto dell’amico davanti alla tomba di Lazzaro. Quello è il pianto di un amico davanti alla morte dell’altro»; invece «questo è il pianto di un padre che piange, è Dio Padre che piange qui nella persona di Gesù».
«Qualcuno ha detto che Dio si è fatto uomo per poter piangere quello che avevano fatto i suoi figli» ha affermato il Pontefice. E così «il pianto davanti alla tomba di Lazzaro è il pianto dell’amico». Ma quello che racconta Luca «è il pianto del Padre». A questo proposito Francesco ha voluto riproporre anche l’atteggiamento del «padre del figliol prodigo, quando il figlio più piccolo gli ha chiesto i soldi dell’eredità e se ne è andato via». E «quel padre è sicuro, non è andato dai suoi vicini a dire: “guarda cosa mi è accaduto, ma questo povero disgraziato cosa mi ha fatto, io maledico questo figlio!”. No, non ha fatto questo». Invece, ha detto il Papa, «sono sicuro» che quel padre «se ne è andato a piangere da solo».
È vero, il Vangelo non rivela questo particolare — ha proseguito Francesco — però racconta «che quando il figlio tornò vide il padre da lontano: questo significa che il padre continuamente saliva sul terrazzo a guardare il cammino per vedere se il figlio tornava». E «un padre che fa questo è un padre che vive nel pianto, aspettando che il figlio torni». Proprio questo è «il pianto di Dio Padre; e con questo pianto il Padre ricrea nel suo Figlio tutta la creazione».
«Quando Gesù andava con la croce al Calvario — ha ricordato il Pontefice — le pie donne piangevano e ha detto loro: “No, non piangete su di me, piangete per i vostri figli”». È il «pianto di padre e di madre che Dio anche oggi continua a fare: anche oggi davanti alle calamità, alle guerre che si fanno per adorare il dio denaro, a tanti innocenti uccisi dalle bombe che gettano giù gli adoratori dell’idolo denaro». E così «anche oggi il Padre piange, anche oggi dice: “Gerusalemme, Gerusalemme, figlioli miei, cosa state facendo?”». E «lo dice alle vittime poverette e anche ai trafficanti delle armi e a tutti quelli che vendono la vita della gente».
In conclusione Francesco ha suggerito di «pensare che Dio si è fatto uomo per poter piangere. E ci farà bene pensare che nostro Padre Dio oggi piange: piange per questa umanità che non finisce di capire la pace che lui ci offre, la pace dell’amore».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 27 ottobre 2016]