Nov 6, 2024 Scritto da 

La meta finale. Speranza: la più piccola delle virtù, ma la più forte

Il Vangelo di questa penultima domenica dell’anno liturgico propone una parte del discorso di Gesù sugli avvenimenti ultimi della storia umana, orientata verso il pieno compimento del regno di Dio (cfr Mc 13,24-32). E’ un discorso che Gesù fece a Gerusalemme, prima della sua ultima Pasqua. Esso contiene alcuni elementi apocalittici, come guerre, carestie, catastrofi cosmiche: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte» (vv. 24-25). Tuttavia questi elementi non sono la cosa essenziale del messaggio. Il nucleo centrale attorno a cui ruota il discorso di Gesù è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione, e il suo ritorno alla fine dei tempi.

La nostra meta finale è l’incontro con il Signore risorto. E io vorrei domandarvi: quanti di voi pensano a questo? Ci sarà un giorno in cui io incontrerò faccia a faccia il Signore. E’ questa la nostra meta: questo incontro. Noi non attendiamo un tempo o un luogo, ma andiamo incontro a una persona: Gesù. Pertanto, il problema non è “quando” accadranno i segni premonitori degli ultimi tempi, ma il farsi trovare pronti all’incontro. E non si tratta nemmeno di sapere “come” avverranno queste cose, ma “come” dobbiamo comportarci, oggi, nell’attesa di esse. Siamo chiamati a vivere il presente, costruendo il nostro futuro con serenità e fiducia in Dio. La parabola del fico che germoglia, come segno dell’estate ormai vicina (cfr vv. 28-29), dice che la prospettiva della fine non ci distoglie dalla vita presente, ma ci fa guardare ai nostri giorni in un’ottica di speranza. E’ quella virtù tanto difficile da vivere: la speranza, la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene «con grande potenza e gloria» (v. 26), che cioè manifesta il suo amore crocifisso trasfigurato nella risurrezione. Il trionfo di Gesù alla fine dei tempi sarà il trionfo della Croce, la dimostrazione che il sacrificio di sé stessi per amore del prossimo, ad imitazione di Cristo, è l’unica potenza vittoriosa e l’unico punto fermo in mezzo agli sconvolgimenti e alle tragedie del mondo.

Il Signore Gesù non è solo il punto di arrivo del pellegrinaggio terreno, ma è una presenza costante nella nostra vita: è sempre accanto a noi, ci accompagna sempre; per questo quando parla del futuro, e ci proietta verso di esso, è sempre per ricondurci al presente. Egli si pone contro i falsi profeti, contro i veggenti che prevedono vicina la fine del mondo, e contro il fatalismo. Lui è accanto, cammina con noi, ci vuole bene. Vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, gli oroscopi, e concentra la nostra attenzione sull’oggi della storia. Io avrei voglia di domandarvi - ma non rispondete, ognuno risponda dentro -: quanti di voi leggono l’oroscopo del giorno? Ognuno risponda. E quando ti viene voglia di leggere l’oroscopo, guarda a Gesù, che è con te. E’ meglio, ti farà meglio. Questa presenza di Gesù ci richiama all’attesa e alla vigilanza, che escludono tanto l’impazienza quanto l’assopimento, tanto le fughe in avanti quanto il rimanere imprigionati nel tempo attuale e nella mondanità.

Anche ai nostri giorni non mancano calamità naturali e morali, e nemmeno avversità e traversie di ogni genere. Tutto passa – ci ricorda il Signore –; soltanto Lui, la sua Parola rimane come luce che guida, rinfranca i nostri passi e ci perdona sempre, perché è accanto a noi. Soltanto è necessario guardarlo e ci cambia il cuore. La Vergine Maria ci aiuti a confidare in Gesù, il saldo fondamento della nostra vita, e a perseverare con gioia nel suo amore.

[Papa Francesco, Angelus 15 novembre 2015]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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In the Holy Family, we are invited to "return to Jerusalem". But by observing the autonomy of the young Christ also in the holy city, we will gradually be able to open ourselves to the unprecedented vocation that we carry within
Nella sacra Famiglia, siamo invitati a «tornare a Gerusalemme». Ma osservando anche nella città santa l’autonomia del giovane Cristo, gradualmente sapremo aprirci alla vocazione inedita che portiamo dentro
Herod is a figure we dislike, whom we instinctively judge negatively because of his brutality. Yet we should ask ourselves: is there perhaps something of Herod also in us? Might we too sometimes see God as a sort of rival? Might we too be blind to his signs and deaf to his words because we think he is setting limits on our life and does not allow us to dispose of our existence as we please? (Pope Benedict)
Erode è un personaggio che non ci è simpatico e che istintivamente giudichiamo in modo negativo per la sua brutalità. Ma dovremmo chiederci: forse c’è qualcosa di Erode anche in noi? Forse anche noi, a volte, vediamo Dio come una sorta di rivale? Forse anche noi siamo ciechi davanti ai suoi segni, sordi alle sue parole, perché pensiamo che ponga limiti alla nostra vita e non ci permetta di disporre dell’esistenza a nostro piacimento? (Papa Benedetto)i
John is the origin of our loftiest spirituality. Like him, ‘the silent ones' experience that mysterious exchange of hearts, pray for John's presence, and their hearts are set on fire (Athinagoras)
Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma (Atenagora)
Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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don Giuseppe Nespeca

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