Gesù invita i suoi ad una preghiera non prolissa, ma scarna, essenziale; da figli.
Sebbene in paradigmi diversi, Chiara e Francesco d’Assisi avevano consapevolezza che nel profondo del proprio essere si annidava un segreto da rinvenire per rinascere e guarire.
Al punto che, prendendo le distanze dal padre terreno, dinanzi al vescovo del luogo, così il Poverello si espresse:
«Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: PADRE NOSTRO, CHE SEI NEI CIELI, perché in Lui ho riposto ogni mio Tesoro e ho collocato tutta la mia Fiducia e la mia Speranza» (FF 1043).
Ai suoi frati che gli chiedevano d’insegnar loro a pregare, rispose:
«Quando pregate, dite: Padre nostro, e […] Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono in tutto il mondo, e ti benediciamo, perché, per mezzo della tua santa Croce, hai redento il mondo» (FF 1068).
E nella parafrasi del “Padre nostro” troviamo:
«Sia santificato il tuo Nome: si faccia luminosa in noi la conoscenza di Te, affinché possiamo conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi» (FF 268).
Una preghiera, dunque, attestata dalla vita, dalla capacità di perdono, in Ascolto.
Tutto nella cella del proprio corpo, sosteneva Francesco - come ci ricorda la Leggenda Perugina:
«Dovunque siamo o ci muoviamo, portiamo con noi la nostra cella: fratello corpo; l’anima è l’eremita che vi abita dentro a pregare Dio e meditare.
E se l’anima non vive serena e solitaria nella sua cella, ben poco giova al religioso una cella eretta da mano d’uomo» (FF 1636).
E nella Leggenda, Chiara stessa:
"Quanta forza e sostegno riceveva nella fornace della preghiera ardente […] riportava dal fuoco dell’altare del Signore parole ardenti, tali da infiammare il cuore delle sorelle" (FF 3199).
Un’orazione non segnata dal moltiplicarsi delle parole, ma dalla relazione autentica e di spessore con Dio, che conosce ogni cosa.
«Pregando, non blaterate come i pagani, infatti essi credono di venire esauditi per la loro verbosità» (Mt 6,7)
Martedì 1.a sett. di Quaresima (Mt 6,7-15)