don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

3a Domenica di Avvento (anno A)  [14 dicembre 2025] 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! “Rallegratevi sempre nel Signore… il Signore è vicino”. L’annuncio di questa terza domenica di Avvento è l’annuncio della gioia del Natale vicino. L’Avvento ci educa a saper attendere con paziente speranza Gesù che certamente verrà. 

 

*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (35, 1...10)

Questo passo proviene dalla Piccola Apocalisse di Isaia detta “Apocalisse minore”(cc34-35), probabilmente scritta da un autore anonimo, e  racconta il gioioso ritorno di Israele dall’esilio a Babilonia. Siamo nel periodo in cui il popolo ha subito il sacco di Gerusalemme e trascorso oltre cinquanta anni lontano dalla propria terra, vivendo umiliazioni e sofferenze che scoraggiano anche i più forti. Isaia, vissuto nel VI secolo a.C. durante l’esilio a Babilonia, rassicura il popolo spaventato: “Ecco il vostro Dio: giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Il risultato sarà la liberazione dei sofferenti: ciechi vedranno, sordi udranno, zoppi salteranno di gioia, muti grideranno di gioia. Il popolo ha patito anni di dominazione, deportazione con umiliazioni e tante prove anche religiose: un tempo che scoraggia e fa temere per il futuro. L’autore usa l’espressione “vendetta di Dio”, che oggi può sorprendere. Ma qui la vendetta non è punizione sugli uomini: è la sconfitta del male che li opprime e la liberazione che Dio dona. Dio interviene personalmente per salvare, riscattare e ridare dignità: i ciechi vedranno, i sordi udranno, i zoppi salteranno e i muti grideranno di gioia. Il ritorno dall’esilio è descritto come una marcia trionfale attraverso il deserto: l’arido paesaggio si trasforma in terra fertile e lussureggiante, bella quanto le montagne del Libano, le colline del Carmelo e la pianura del Sarone, simboli di abbondanza e bellezza nella terra di Israele. Questo percorso indica che anche le prove più dure possono diventare un cammino di gioia e speranza quando Dio interviene. Il deserto, simbolo di difficoltà e prova, si trasforma così in un percorso di gioia e speranza grazie all’intervento di Dio. Il popolo liberato è chiamato “riscattato” e la  liberazione è paragonata al “riscatto” della legge ebraica: così come un parente vicino liberava un debito o riscattava uno schiavo, Dio stesso è il nostro “Go’el”, il Parente che libera chi è oppresso o prigioniero del male. In questo senso, la redenzione significa liberazione: fisica, morale e spirituale. Cantare “Alleluia” significa riconoscere che Dio ci conduce dalla servitù alla libertà, trasformando la disperazione in gioia e il deserto in fioritura. Questo testo ci ricorda che Dio non ci abbandona mai: anche nei momenti più difficili, la sua misericordia e il suo amore ci liberano e ci ridanno speranza e mostra come il linguaggio della Bibbia sappia trasformare parole che sembrano minacciose in promesse di salvezza e speranza, ricordandoci che Dio interviene sempre per liberarci e restaurare la nostra dignità.

.Elementi principali +Contesto: esilio babilonese, Israele lontano dalla terra, autore anonimo. +Piccola Apocalisse di Isaia: profezia di speranza e ritorno alla terra promessa. +Vendetta di Dio: sconfitta del male, non punizione sugli uomini. +Liberazione concreta: ciechi, sordi, zoppi, muti e prigionieri riscattati. +Deserto fiorirà: difficoltà trasformate in gioia e bellezza. +Riscatto/Redenzione: Dio come Go’el, liberatore di chi è oppresso. +Alleluia: canto di lode per la liberazione ricevuta. +Messaggio spirituale: Dio interviene per liberarci e ridarci speranza anche nei momenti più duri.

 

*Salmo responsoriale (145/146, 7-8. 9-10

Questo salmo, un “salmo dell’Alleluia” è un canto pieno di gioia e di riconoscenza, scritto dopo il ritorno del popolo d’Israele dall’esilio di Babilonia, probabilmente per la dedicazione del Tempio ricostruito. Il Tempio era stato distrutto nel 587 a.C. da Nabucodonosor, re di Babilonia. Nel 538 a.C., dopo la conquista di Babilonia da parte del re persiano Ciro, gli Ebrei furono autorizzati a tornare nella loro terra e a ricostruire il Tempio. La ricostruzione non fu facile a causa delle tensioni tra chi rientrava da Babilonia e chi era rimasto in Israele, ma grazie alla forza dei profeti Aggeo e Zaccaria i lavori terminarono nel 515 a.C., sotto il re Dario. La dedicazione del nuovo Tempio fu celebrata con grande gioia (Esdra 6,16). Il salmo riflette questa gioia: Israele riconosce che Dio è rimasto fedele all’Alleanza, come già durante l’Esodo. Dio è colui che libera gli oppressi, scioglie le catene, dà pane agli affamati, dona la vista ai ciechi e rialza i deboli. Questa immagine di Dio, un Dio che prende le parti dei poveri e prova compassione (“misericordia”indica come se le viscere fremessero), non era scontata nell’antichità. È il grande contributo di Israele alla fede dell’umanità: rivelare un Dio di amore e di misericordia. Il salmo lo esprime dicendo che il Signore sostiene la vedova e l’orfano. Il popolo è invitato a imitare Dio nella stessa misericordia, e la Legge d’Israele contiene molte norme a protezione dei deboli (vedove, orfani, stranieri). I profeti giudicavano la fedeltà d’Israele all’Alleanza anche sulla base di questo comportamento. A un livello più profondo, il salmo mostra che Dio non libera solo dalle oppressioni esteriori, ma anche da quelle interiori: la fame spirituale trova il suo cibo nella Parola; le cecità interiori vengono illuminate; le catene dell’odio, dell’orgoglio e della gelosia vengono sciolte. Anche se qui non lo vediamo, in realtà questo salmo è incorniciato dalla parola “Alleluia”, che secondo la tradizione ebraica significa cantare la lode di Dio perché Egli conduce dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla tristezza alla gioia. Noi cristiani leggiamo questo salmo alla luce di Gesù Cristo: Egli ha dato il pane ai suoi contemporanei e continua a dare il “pane della vita” nell’Eucaristia; Egli è la luce del mondo (Gv 8,12); nella sua risurrezione ha liberato definitivamente gli uomini dalle catene della morte. Infine, siccome l’uomo è creato a immagine di Dio, ogni volta che soccorre un povero, un malato, un prigioniero, uno straniero, manifesta l’immagine stessa di Dio. E ogni gesto fatto “al più piccolo” contribuisce a far crescere il Regno di Dio. Una catecumena, leggendo il miracolo della moltiplicazione dei pani, chiese: “Perché Gesù non lo fa ancora oggi per tutti gli affamati?” E dopo un attimo rispose: “Forse conta su di noi per farlo.”

Elementi importanti da ricordare +Contesto storico: salmo nato dopo il ritorno dall’esilio e la ricostruzione del Tempio (587–515 a.C.). +Tema centrale: la gioia del popolo per la fedeltà di Dio e la sua liberazione. +Rivelazione di Dio: Dio è misericordioso e difende gli oppressi, i poveri, i deboli. +Impegno del popolo: imitare Dio nelle opere di misericordia verso tutti gli oppressi. +Lettura spirituale: Dio libera dalle catene interiori (odio, orgoglio, cecità spirituale). +Alleluia: simbolo del passaggio dalla schiavitù alla libertà e dalla tristezza alla gioia. +Lettura cristiana: compimento in Cristo, che dà il pane vero, illumina, libera, salva. +Immagine di Dio nell’uomo: ogni gesto di amore verso i più fragili rende visibile l’immagine di Dio. + Responsabilità cristiana: Dio conta anche sul nostro impegno per nutrire, liberare e sostenere i sofferenti.

 

*Seconda Lettura dalla lettera d san Giacomo apostolo (5,7-10)

La tradizione cristiana conosce tre figure di Giacomo vicine a Gesù: Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, dal carattere impetuoso, presente alla Trasfigurazione e a Getsemani; Giacomo figlio di Alfeo, uno dei Dodici; Giacomo “fratello/cugino” del Signore, guida della Chiesa di Gerusalemme e probabile autore della Lettera di Giacomo. Nel testo emerge un tema fondamentale per i primi cristiani: l’attesa della venuta del Signore. Come Paolo, anche Giacomo guarda sempre all’orizzonte del compimento finale del progetto di Dio. È significativo che proprio all’inizio della predicazione cristiana si desiderasse più ardentemente la fine del mondo, forse perché la Risurrezione aveva dato un assaggio della gloria futura. In questa attesa, Giacomo ripete un invito cruciale: la pazienza, parola che nel greco originale (makrothyméo)  significa “avere il fiato lungo, avere un animo lungo”. L’attesa della venuta del Signore è una corsa di resistenza, non uno scatto: la fede deve imparare a durare nel tempo. Quando i primi cristiani si resero conto che la parusía non arrivava subito, l’attesa divenne una vera prova di fedeltà.

Per vivere questa resistenza, Giacomo offre due modelli: il contadino, che conosce il ritmo delle stagioni fiducioso in Dio che manda la pioggia “a suo tempo” (Dt 11,14) e l’altro modello: i profeti, che hanno sopportato ostilità e persecuzioni per rimanere fedeli alla loro missione. Giacomo chiede ai cristiani di avere fiato (costanza/pazienza) e cuore saldo (“Rinfrancate i vostri cuori”). Proprio nel versetto 11 che segue questo testo Giacomo cita anche Giobbe, unico caso nel Nuovo Testamento, come esempio supremo di perseveranza: chi rimane saldo come lui sperimenterà la misericordia del Signore. La pazienza non è solo personale: si vive nelle relazioni comunitarie. Giacomo riprende l’insegnamento di Gesù: non lamentatevi gli uni degli altri, non giudicatevi, non mormorate. “Il Giudice è alle porte”: solo Dio giudica davvero, perché vede il cuore. L’uomo rischia di confondere facilmente grano e zizzania. La lezione è anche per noi: spesso ci manca il respiro della speranza, e allo stesso tempo cediamo alla tentazione di giudicare. Eppure la parola di Gesù sulla pagliuzza e la trave rimane sempre attuale.

Elementi importanti da ricordare: + dei tre Giacomo, è il Maggiore, il figlio di Alfeo, il “fratello” del Signore il probabile autore di questa Lettera che riflette il tema centrale dell’attesa della venuta del Signore. +La pazienza è ripetuta più volte ed è intesa come “fiato lungo”, una corsa di resistenza. +L’attesa cristiana iniziale era molto intensa: si pensava che il ritorno di Cristo fosse imminente. +Due modelli di perseveranza: il contadino (fiducia nel tempo di Dio) e i profeti (coraggio nella missione). + v.11 non in questo testo ma subito dopo giovanni

cita Giobbe come esempio di tenuta: unica citazione nel NT, simbolo di perseveranza nella prova. +Missione comunitaria: non giudicare, non mormorare, non lamentarsi perché Il Giudice è alle porte” E invita a vivere sapendo che solo Dio giudica rettamente. +Pericolo anche oggi è la mancanza di respiro spirituale e rischio di giudicare gli altri.

   

*Dal Vangelo secondo Matteo (11, 2-11)

Domenica scorsa abbiamo visto Giovanni Battista battezzare lungo il Giordano e annunciare: “Dopo di me viene uno”. Quando Gesù chiese il battesimo, Giovanni riconobbe in lui il Messia atteso, ma i mesi passarono e Giovanni fu messo in prigione da Erode intorno all’anno 28, momento in cui Gesù iniziò la sua predicazione pubblica in Galilea. Gesù iniziò la vita pubblica con discorsi famosi, come il Discorso della Montagna e le Beatitudini, e con molte guarigioni. Tuttavia, il suo comportamento era strano agli occhi della gente: si circondava di discepoli poco “raccomandabili” (pubblicani, persone diverse per origine e carattere); non era un asceta come Giovanni, mangiava e beveva come tutti, e si mostrava tra la gente comune; non rivendicava mai il titolo di Messia, né cercava potere. Dalla prigione, Giovanni riceveva notizie da chi lo teneva informato e iniziò a dubitare: “Sarò stato ingannato? Sei tu il Messia?” Questa domanda è cruciale, perché riguarda sia Giovanni sia Gesù, costretto a confrontarsi con le aspettative di chi lo attendeva. Gesù non risponde con un sì o un no, ma cita le profezie sulle opere del Messia:i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi ascoltano, i morti risuscitano, i poveri ricevono la buona notizia (Isaia 35,5-6; 61,1). Con queste parole, Gesù invita Giovanni a verificare da sé se sta compiendo le opere del Messia, confermando che sì, è il Messia, anche se le sue maniere appaiono strane. Il vero volto di Dio si mostra al servizio dell’uomo, non secondo le aspettative di potere o gloria. Infine, Gesù elogia Giovanni che è beato perché  “non trova in me motivo di scandalo”. Giovanni dà un esempio di fede: anche nel dubbio, non perde fiducia e cerca direttamente la verità da Gesù stesso. Gesù conclude spiegando che Giovanni è il più grande dei profeti perché apre la strada al Messia, ma con la venuta di Gesù, anche il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di Giovanni, sottolineando che il contenuto del messaggio di Cristo supera qualsiasi aspettativa umana: “Il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi”.

 

Elementi importanti da ricordare +Giovanni Battista annuncia il Messia e battezza lungo il Giordano.+Gesù inizia la vita pubblica dopo l’arresto di Giovanni, in Galilea, con discorsi e miracoli.+Comportamento “strano” di Gesù che frequenta tutti, anche i più emarginati, non rivendica titoli o potere, si nutre e si mostra come la gente comune.+Dubbi di Giovanni: manda i discepoli a chiedere se Gesù è davvero il Messia.+ Risposta di Gesù: cita le opere profetiche del Messia (guarigioni, liberazioni, annuncio ai poveri).+Fede attiva di Giovanni: non resta nel dubbio, chiede chiarimenti direttamente a Gesù. +Gioia e sorpresa: il volto di Dio si rivela al servizio dell’uomo, non secondo le aspettative tradizionali. +Giovanni come precursore: il più grande dei profeti, ma con Gesù il più piccolo nel Regno è più grande. +Messaggio finale: Cristo è il Verbo incarnato, la realizzazione delle promesse di Dio.

 

*Ecco una citazione di San Gregorio Magno nell’Omelia 6 sui Vangeli, che commenta così l’episodio: “Giovanni non ignora chi sia Gesù: egli lo indica come l’Agnello di Dio. Ma, mandato in prigione, invia i discepoli non per sapere lui, bensì perché essi imparino dal Cristo ciò che egli già sapeva. Giovanni non cerca di istruirsi, ma di istruire. E Cristo non risponde con parole, ma con le opere: fa capire che è Lui il Messia non dicendo di esserlo, ma mostrando le opere annunciate dai profeti.” E aggiunge: “Il Signore proclama beato chi non si scandalizza di Lui, perché in Lui vi è grandezza nascosta sotto umile apparenza: chi non si scandalizza della sua umiltà, riconosce la sua divinità.” Questo commento illumina perfettamente il cuore del Vangelo: Giovanni non dubita per sé, ma per aiutare i suoi discepoli a riconoscere che Gesù è il Messia atteso, anche se si presenta in modo sorprendente e umile.

 

+Giovanni D’Ercole

Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria [8 Dicembre]

Testi biblici: Gn3, 9…20 – Ep 1, 3…12 – Lc 1, 26-38 Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Invece di commentare le letture propongo una meditazione teologica e spirituale sulla Immacolata Concezione a partire da San Paolo e facendo riferimento alla tradizione della Chiesa e alla liturgia.

1. San Paolo e Maria: un legame nascosto ma reale Anche se Paolo parla quasi per nulla direttamente della Vergine Maria, il suo insegnamento sull’elezione, santità e predestinazione dei cristiani (Ef 1,4-11) illumina profondamente il mistero di Maria. San Paolo afferma che tutti i battezzati sono eletti, santi e immacolati. Applicando questo a Maria, comprendiamo che ciò che vale per l’intera Chiesa si realizza in lei in modo perfetto e anticipato.

2. Il mistero della Chiesa illumina il mistero di Maria Nella cammino della teologia soprattutto nei primi secoli, si è compreso Maria a partire dalla Chiesa: Maria è ciò che la Chiesa è chiamata a diventare. Ciò che in noi è parziale, in lei è perfetto. È “la prima in cammino”: prima per tempo, prima per perfezione. Maria è la “prima” in due sensi: cronologicamente prima ad accogliere Cristo, prima a condividere la sua Passione, prima ad entrare nella gloria con corpo e anima. Qualitativamente: nessuno ha accolto Cristo con maggiore purezza, amore e libertà. La sua grazia unica non la separa da noi, ma manifesta ciò che Dio vuole realizzare in tutta la Chiesa. L’Immacolata Concezione non è un privilegio isolato, ma la piena realizzazione della vocazione di ogni cristiano: Maria è preservata dal peccato in vista dei meriti di Cristo. Noi siamo salvati dal peccato attraverso i meriti di Cristo (battesimo, sacramenti, conversione). Le traiettorie sono le stesse; in Maria sono solo anticipate e portate a perfezione grazie alla sua totale obbedienza e totale abbandono nella volontà di Dio: Maria non ha fatto la volontà divina ma ha vissuto interamente nella volontà di Dio. E’ qui la chiave della sua vita: tentata come tutti compreso Gesù, ha sconfitto Satana scegliendo di vivere sempre e completamente nella volontà del Padre e per questo è ora segno di sicura speranza per noi tutti

3. Perché Maria è Immacolata? La ragione è profondamente semplice: per essere veramente Madre di Dio. Per amare Gesù per ciò che è realmente — vero Dio e vero uomo — Maria doveva essere totalmente libera dal peccato, totalmente aperta all’amore, capace di accogliere Dio senza ostacoli. L’Immacolata Concezione è un dono d’amore: Dio la forma così per amore del Figlio e per amore nostro, perché Maria diventi Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Scrive san Giovanni Damasceno: “Come Eva ha collaborato alla caduta, Maria ha cooperato alla redenzione: immacolata, ha portato la vita a colui che doveva dare la vita al mondo.” E san Bartolo Longo recentemente canonizzato osserva: “L’Immacolata non è solo un titolo, ma un mistero vivo: Dio l’ha creata tutta pura per farne la Madre del Redentore.”

4. Maria ci precede per indicarci il nostro destino. Maria non schiaccia, non umilia, non allontana: mostra ciò che noi saremo nella gloria; è anticipo di ciò che la Chiesa diventerà; la sua santità è promessa della nostra. In lei vediamo la meta della vita cristiana. Maria riceve l’annuncio dell’angelo liberamente e Il suo “fiat” apre la porta alla salvezza. Oggi anche la Chiesa, come Maria, è chiamata ad annunciare Cristo, a portare il suo amore nel mondo, a dire il proprio “sì” nella storia. Dio ha bisogno delle nostre mani, dei nostri occhi, delle nostre abbra, del nostro cuore: come Maria, siamo chiamati a essere portatori di luce e lo possiamo essere nella misura in cui in noi vive la volontà di Dio come protagonista di tutta la nostra esistenza.

5. Che significa essere “immacolati” oggi? Per noi non significa essere senza peccato, ma accogliere l’azione di Dio nella nostra vita. Significa vivere aperti alla grazia, dire il nostro “sì” quotidiano, lasciarci purificare e trasformare dallo Spirito, diventare trasparenti per mostrare Cristo nel mondo. L’Immacolata Concezione diventa così una vocazione e un cammino. “La verità sull’Immacolata Concezione mi sembrava la più difficile da accettare … quando finalmente l’ho accolta, tutto si è chiarito: la mia fede ha trovato senso.”  (testimonianza riportata sul sito CatholicConvert.com nel racconto di Delores, una donna che narra la sua conversione al cattolicesimo).

Elementi importanti da ricordare: +Maria è compresa a partire dalla Chiesa: ciò che è vero per tutti i battezzati è perfetto in lei. +Immacolata perché Madre di Dio: per amare pienamente il Figlio, doveva essere totalmente libera dal peccato +“Prima in cammino”: prima nel tempo e nella qualità dell’amore e della santità.+La sua grazia è promessa per noi: ciò che lei vive già, la Chiesa e i cristiani lo vivranno appieno nella gloria. +Predestinazione condivisa: Maria è preservata dal peccato; noi siamo salvati dal peccato. +Il “fiat” di Maria come modello: Dio chiama, ma attende la nostra libertà; il sì apre la via alla missione. +Essere immacolati oggi: significa accogliere Dio, lasciarsi purificare, diventare trasparenza della sua luce. +Maria non toglie nulla a Dio: è “eco di Dio”; venerarla significa onorare l’opera di Dio in lei. +Maria indica il nostro destino: in lei vediamo ciò che Dio vuole realizzare in ognuno di noi. +L’Immacolata è un dono d’amore: di Dio a Maria e di Maria al  mondo.

*Ecco una brevissima sintesi storica dei principali difensori medievali dell’Immacolata Concezione: Sant’Alberto Magno (1200‑1280) – Teologo domenicano; aperto all’idea della preservazione di Maria dal peccato originale, ma senza definirla definitivamente. San Tommaso d’Aquino (1225‑1274) – Teologo domenicano; sosteneva che Maria fosse redenta «dopo il peccato originale», quindi non immacolata fin dal concepimento. Duns Scoto (1266‑1308) – Teologo francescano; difensore principale dell’Immacolata Concezione. Maria fu preservata dal peccato originale fin dal primo istante, grazie ai meriti di Cristo anticipati da Dio. Guglielmo di Ockham (1287‑1347) – Francescano; sostenitore della posizione di Scoto, pur con alcune sfumature filosofiche. L’idea centrale di Scoto: Maria immacolata fin dal concepimento, preservata dalla grazia di Dio grazie ai meriti futuri di Cristo, anticipando il dogma ufficiale definito nel 1854.

 

+ Giovanni D’Ercole

La crisi dello spirito titanico

(Mt 11,2-11)

 

«Che cosa siete usciti a contemplare nel deserto? Ma che cosa siete usciti a vedere?» (vv.7.8.9).

Il Signore vuole aiutarci a prendere coscienza profonda del tratto di strada percorso e di ciò che ancora ci sta davanti.

Non siamo già in possesso della Salvezza. C’è da riflettere sul vero Esodo ancora da fare.

Battista e Gesù non hanno mai frequentato i palazzi di corte. Questo è chiaro (v.8).

Lo spirito edonista o di domesticazione blandisce e ci attrae, ma attutisce e snerva la franchezza, la vitalità di ogni cammino.

Invece Cristo propone un altro movimento di Conversione: uno scavo ulteriore, che distingue la sua proposta anche da quella del Precursore.

«In verità vi dico, non è sorto tra i nati di donne uno più grande di Giovanni, il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (v.11).

Per un percorso di crescita autentica e finalmente matura - figli nel Figlio - è opportuno liberarsi da ogni modello di perfezione.

Adottare una via unilaterale non conduce ad alcuna fioritura, piuttosto a rattrappire le cose.

Nell’itinerario positivo (e intimo) non c’è una strada sola. La vita è varietà, mutamento, esperienza di risuscitazione.

In tale orizzonte, gli intoppi maggiori nel corrispondere alla personale Chiamata per Nome nascono proprio dalle identificazioni.

I riconoscimenti risoluti sono sempre artificiosi. Essi non ci svegliano da situazioni paludose, né lasciano che ritroviamo l’oro delle misteriose, intime, sapienti inclinazioni.

L’esistenza e le stesse persone infatti non sono bianco o nero. E il percorso della Vita nello Spirito accetta le sfumature di carattere.

Esse talora possono apparire come fossero note confusionarie, tipiche di personalità da correggere. Così s’immaginava fino a non molto tempo fa; situazione che però tendeva a impoverire e livellarci.

L’idea devota antica - che tanto ci ha condizionati - era infatti legata al primato della “coerenza” morale esterna [corrispondenza tra idee e azioni].

A questo pensiero banale Cristo sostituisce tutt’altro focus: la corrispondenza tra stati interiori e loro manifestazione.

Insomma, un «piccolo nel regno dei cieli» può anche essere un disadattato e perturbante, un eccentrico e riprovevole inquieto - che però vorrebbe crescere.

Quindi non copre le proprie lotte interne.

Non di rado i sorrisi di circostanza, i moralismi, o le stesse buone maniere, velano idee, pulsioni, abitudini opposte che in qualche modo, prima o poi, troveranno una loro strada per diventare protagoniste.

Per non parlare - anche in religione - degli atteggiamenti dirigisti, i quali appunto non si sa bene quale “doppio” nascondano.

Non sono essi la vera linearità, ordine autentico; tantomeno “disciplina”.

Il Maestro sogna che i suoi apostoli si allontanino da giudizi temerari e ideali astratti. Troppo facili. Non fanno percepire in modo nitido.

Insomma, dobbiamo sospendere i luoghi comuni sull’amore verso Dio e gli altri, così l’opinione corriva su noi stessi - nonché i pareri assorbiti.

I contrasti sono naturali.

I disagi sono il linguaggio primordiale dell’anima che ci chiama a girare lo sguardo, per attivare lo spirito verso nuovi sentieri da esplorare.

Solo in tale Esodo approderemo alla Terra Promessa, terra vergine tutta da scoprire. Da rifare ogni giorno.

Non tagliando in orizzontale le Radici, bensì partendo da esse.

 

 

[3.a Domenica Avvento (anno A) Gaudete, 14 dicembre 2025]

(Mt 11,2-11)

 

La Crisi dello spirito titanico. Perplessità del Battista

(Mt 11,2-6)

 

È la cosiddetta crisi del Battista. In fondo, è il crocevia della nostra stessa esperienza nella crescita della Fede.

Il nome Giovanni significa Dio-è-misericordioso, ma qui l’ultimo dei profeti antichi e battistrada del Cristo prova scandalo per la Misericordia eccessiva: senza condizioni.

Gesù compie tutti segni positivi, di recupero. Nessuna condanna, nessun castigo: questa la Parola prodigiosa!

Il popolo dei giusti è ora di altra natura - sconcertante, in quanto si compone anche di miscredenti.

Come per Zaccheo-Matteo [Lc 19,1-10]: chi si vergogna di farsi vedere e presentarsi non è messo in castigo, ma viene riqualificato in società. 

Le viscere di Misericordia di Dio pongono vita in coloro che l’hanno smarrita.

Cristo non spezza, aggiusta: persino chi si ritrova fuori strada “secondo religione” - e si sente ripugnante, repellente anche a se stesso.

Censura la vendetta (v.5) degli oracoli messianici del Primo Testamento [cf. Is 29,20s. 61,2]: perché l’autentica «Terra che darà alla luce le ombre» (Is 26,19), il vero «suolo riarso che diventa sorgenti d’acqua» [Is 35,7 - non si capisce perché escluso dalla liturgia] non sarà dirigista né forense.

Neanche noi forse ci aspetteremmo tante posizioni di premura, ma il Maestro butta tutto all’aria e sostituisce le appariscenze del Santuario di pietra.

Un rovesciamento sacrale: perché di fatto in esso si promuoveva una mentalità sleale, opportunista, corrotta, senza scrupoli.

Modo di concepire utile a commedianti astuti, ai forti e agli svelti; umiliante per i fuori del giro.

Non un Regno di Dio si rintanava lì, bensì il campo dei “grandi”, che infine piegavano dove tirava il vento - in alcuni casi di manipolazione, ancora oggi talora espropriando le persone di se stesse.

Nessuno si sarebbe atteso una ripulitura di tutte le tossine spirituali che andavano a configurare la vita pia di coloro che amano la forza.

Gesù recuperava in leggerezza, perché la sua Parola, le Opere e l’alto Discernimento risvegliavano i lati più personali.

I caratteri propri non conducevano le persone a rimpiangere reami.

L’intima vocazione invita a coinvolgersi - accendendo l’amore che cambia pagina, non che pianta rabbiosamente nelle trappole del timore.

La Chiamata per Nome svincola dalle pastoie di accalappiamenti artificiosi, che impediscono di proseguire in naturalezza.

 

Privo di spirito titanico, il nuovo Rabbi risvegliava risorse e coraggio che i minimi neanche sospettavano di avere in dono inespresso.

Senza posa il Maestro ne stimolava il contributo eccezionale - addirittura decisivo - alla storia della Salvezza.

Egli assecondava gli slanci di coloro che l’opinione devota comune considerava malati o squilibrati, perché non conformi - ma che avevano in dote punti davvero ricchi di sfaccettature.

Volti caldi e propulsivi.

Il giovane Maestro favoriva i sogni di trasformazione, non solo di ricovero - tutti col solito colore (pigiama, o armatura).

Accoglieva lo sprigionarsi di lati naturali e altre individuazioni, più eleganti e morbide, o strambe, affascinanti d’unicità.

Insegnava non a rinunciare e progettare e praticare, bensì ad ascoltare, accogliere e accogliersi - aspettando le nuove energie: profili suscitati dal momento di necessità, dal contatto con i propri stati profondi.

Non riduceva il senso del Mistero recato dal tempo opportuno, o dagli stessi fastidi che ci forniscono preziose indicazioni [più del boomerang di volontarismi ascetici, tanto ideali quanto artificiosi].

 

Faceva riscoprire il fascino convincente della bellezza della vita dai toni tenui, senza l’esagerazione di continue tinte forti.

Lacerazioni a quel tempo anche suscitate dal nazionalismo che accentuava le ferite e alterava gli equilibri della Famiglia umana, sulla quale il Padre sognava viceversa di “riposare”.

Ebbene, Cristo elogiava anche la lentezza dei meno rabbiosi. Perché il ritmo blando faceva emergere la radice interiore, la specifica Missione e sembianza anche dei senza voce.

In tal guisa, non con atti perentori di muscolo, bensì spontaneamente, da dentro.

Tutto ciò, con una trasparente e sacra genuinità - a partire dalla custodia della propria Chiamata qualitativa, portata a consapevolezza senza troppi colpi di genio o di reni.

Solo quando pronti.

Stimolava la scoperta dei codici dell’inaspettato, sapendo attendere nuove prontezze e valutando… perché chi inizia a vedere la propria vicenda con occhi nuovi, è già sulla soglia del cambiamento.

 

Accontentarsi tutti della vecchia canzone [o accodarsi all’inno glamour] non avrebbe sviluppato il vaglio di larghi orizzonti e modi, rigeneranti anche se solo portati in cuore.

Ci si sarebbe accontentati di qualche fantasia disincarnata, o d’un ritorno nel solito villaggio antico, ovvero poco altrove.

La pesantezza d’idee e conformismi, luoghi comuni, tradizioni, sensi di colpa, attivismi e giudizi moralisti, ingabbiava le personalità.

Mai prima di Cristo le persone sottoposte avrebbero immaginato l’Altissimo diversamente da un vampiro energetico e spirituale, ricolmo di programmi e aspettative di perfezione formale.

Invece, grazie al Figlio potevano scoprire che il Padre benedice il recupero personale e sociale degli opposti.

Proprio le eccentricità ci completano, e danno stimoli [non solo ornamentali] alla convivialità delle differenze.

Dire ad esempio: “questa è la nostra cultura e modo di fare!” oppure “bisogna fare questo e mostrarsi à la page” limita le facoltà operative e inedite, non fa trasalire né stupire nessuno.

Anzi, l’unilateralità sempre accentua l’inimicizia esterna e interiore, limita le conquiste e l’indipendenza d’azione (piantata sulle discrepanze).

Gesù ha invitato anche il Battista ad accendere il suo mondo interno e cambiare sguardo - perché fissando solo i problemi e i controlli non si vedono più le soluzioni.

Non si torna come bambini; non si trasforma gli intrusi in gioielli. Non s’incontra la propria parte infinita.

 

Insomma, voleva che facesse lui in prima persona quella Conversione dalla religiosità alla Fede che predicava agli altri.

 

 

Le Radici: il vero Amico, e il grande nemico

 

Battista, Gesù, le corti: differenze di esodo

 

«Che cosa siete usciti a contemplare nel deserto? Ma che cosa siete usciti a vedere?» (vv.7.8.9).

Il Signore vuole aiutarci a prendere coscienza profonda del tratto di strada percorso e di ciò che ancora ci sta davanti.

Non siamo già in possesso della Salvezza. C’è da riflettere sul vero Esodo ancora da fare.

Battista e Gesù non hanno mai frequentato i palazzi di corte. Questo è chiaro (v.8).

Lo spirito edonista o di domesticazione blandisce e ci attrae, ma attutisce e snerva la franchezza, la vitalità di ogni cammino.

Invece Cristo propone un altro movimento di Conversione: uno scavo ulteriore, che distingue la sua proposta anche da quella del Precursore.

«In verità vi dico, non è sorto tra i nati di donne uno più grande di Giovanni, il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (v.11).

Per un percorso di crescita autentica e finalmente matura - figli nel Figlio - è opportuno liberarsi da ogni modello di perfezione.

Adottare una via unilaterale non conduce ad alcuna fioritura, piuttosto a rattrappire le cose.

Nell’itinerario positivo (e intimo) non c’è una strada sola. La vita è varietà, mutamento, esperienza di risuscitazione.

In tale orizzonte, gli intoppi maggiori nel corrispondere alla personale Chiamata per Nome nascono proprio dalle identificazioni.

I riconoscimenti risoluti sono sempre artificiosi. Essi non ci svegliano da situazioni paludose, né lasciano che ritroviamo l’oro delle misteriose, intime, sapienti inclinazioni.

L’esistenza e le stesse persone infatti non sono bianco o nero. E il percorso della Vita nello Spirito accetta le sfumature di carattere.

Esse talora possono apparire come fossero note confusionarie, tipiche di personalità da correggere. Così s’immaginava fino a non molto tempo fa; situazione che però tendeva a impoverire e livellarci.

L’idea devota antica - che tanto ci ha condizionati - era infatti legata al primato della “coerenza” morale esterna [corrispondenza tra idee e azioni].

A questo pensiero banale Cristo sostituisce tutt’altro focus: la corrispondenza tra stati interiori e loro manifestazione.

Insomma, un «piccolo nel regno dei cieli» può anche essere un disadattato e perturbante, un eccentrico e riprovevole inquieto - che però vorrebbe crescere. Quindi non copre le proprie lotte interne.

Non di rado i sorrisi di circostanza, i moralismi, o le stesse  buone maniere, velano idee, pulsioni, abitudini opposte che in qualche modo, prima o poi, troveranno una loro strada per diventare protagoniste.

Per non parlare - anche in religione - degli atteggiamenti dirigisti, i quali appunto non si sa bene quale “doppio” nascondano. Non sono essi la vera linearità, ordine autentico; tantomeno “disciplina”.

Il Maestro sogna che i suoi apostoli si allontanino da giudizi temerari e ideali astratti. Troppo facili. Non fanno percepire in modo nitido.

Insomma, dobbiamo sospendere i luoghi comuni sull’amore verso Dio e gli altri, così l’opinione corriva su noi stessi - nonché i pareri assorbiti.

I contrasti sono naturali. I disagi sono il linguaggio primordiale dell’anima che ci chiama a girare lo sguardo, per attivare lo spirito verso nuovi sentieri da esplorare.

Solo in tale Esodo approderemo alla Terra Promessa, terra vergine tutta da scoprire. Da rifare ogni giorno.

Non tagliando in orizzontale le Radici, bensì partendo da esse.

 

 

Un concetto diverso

 

1. Nelle catechesi precedenti abbiamo cercato di mostrare gli aspetti più rilevanti della verità sul Messia così come essa è stata preannunziata nell’antica alleanza, e così come è stata ereditata dalla generazione dei contemporanei di Gesù di Nazaret, entrati nella nuova tappa della rivelazione divina. Di questa generazione, coloro che hanno seguito Gesù, lo hanno fatto perché convinti che in lui si è compiuta la verità sul Messia: che proprio lui è il Messia, il Cristo. Significative sono le parole con cui Andrea, il primo degli apostoli chiamati da Gesù, annuncia a suo fratello Simone: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” (Gv 1, 41).

Si deve però riconoscere che le constatazioni così esplicite sono piuttosto rare nei Vangeli. Ciò è dovuto anche al fatto che nella società israeliana di quei tempi era diffusa un’immagine di Messia al quale Gesù non volle adattare la sua figura e la sua opera, nonostante lo stupore e l’ammirazione suscitati da tutto ciò che egli “fece e insegnò” (At 1, 1).

2. Sappiamo anzi che lo stesso Giovanni Battista, il quale sulle rive del Giordano aveva indicato Gesù come “colui che doveva venire” (cf. Gv 1, 15.30), avendo con spirito profetico visto in lui “l’agnello di Dio” venuto per togliere i peccati del mondo, Giovanni che aveva preannunziato il “nuovo battesimo” che Gesù avrebbe conferito con la forza dello Spirito, quando già si trovava in prigione mandò i suoi discepoli a porre a Gesù la domanda: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?” (Mt 11, 3).

3. Gesù non lascia senza risposta Giovanni e i suoi messaggeri: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7, 22). Con questa risposta Gesù intende confermare la sua missione messianica ricorrendo in particolare alle parole di Isaia (cf. Is 35, 4-5; 61, 1). E conclude: “Beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!” (Lc 7, 23). Queste ultime parole suonano come un richiamo indirizzato direttamente a Giovanni, suo eroico precursore, il quale aveva del Messia un concetto diverso.

Infatti nella sua predicazione Giovanni aveva delineato la figura del Messia come quella di un giudice severo. In questo senso aveva parlato dell’“ira imminente”, della “scure già posta alla radice degli alberi” (cf. Lc 3, 7.9), per tagliare ogni pianta “che non porta buon frutto” (Lc 3, 9). Certamente Gesù non avrebbe esitato a trattare con fermezza e anche con asprezza, quando necessario, l’ostinazione e la ribellione alla parola di Dio, ma egli sarebbe stato soprattutto l’annunziatore della “buona novella ai poveri” e con le sue opere e i suoi prodigi avrebbe rivelato la volontà salvifica di Dio, Padre misericordioso.

4. La risposta che Gesù dà a Giovanni presenta anche un altro elemento che è interessante rilevare: Egli evita di proclamarsi apertamente Messia. Nel contesto sociale del tempo, infatti, tale titolo risultava molto ambiguo: la gente comunemente lo interpretava in senso politico. Gesù preferisce perciò rimandare alla testimonianza offerta dalle sue opere, desideroso maggiormente di persuadere e di suscitare la fede.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 4 marzo 1987]

 

3. Nella dottrina di Giovanni, preannunciatrice di quella di Gesù, emerge una visione fondamentalmente positiva della società, delle classi e delle professioni: nessuna di esse esclude dalla salvezza, se ci s’impegna a praticare la giustizia e la carità. Tuttavia il Battista è severo, persino rude, nel suo annuncio del Cristo che verrà col ventilabro a pulire l’aia e a mettere la scure alle radici. Si tratta di un messaggio schietto e forte che delinea i nuovi rapporti di giustizia tra gli uomini.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus dicembre 1990]

 

 

La Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa

 

Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d'amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare «le grandi opere di Dio» [41], che l'hanno convertita al Signore, e d'essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d'essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo. Il Concilio Vaticano II ha ricordato [42] e il Sinodo del 1974 ha fortemente ripreso questo tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità.

[40] Cfr. Act. 2, 42-46; 4, 32-35; 5, 12-16

[41] Cfr. Ibid. 2, 11; 1 Petr. 2, 9

[42] Cfr. Ad Gentes, 5, 11, 12: AAS 58, 1966, pp. 951-952, 959-961

[Papa Paolo VI, Evangelii Nuntiandi n.15]

 

 

Il grande Battezzatore, più piccino del Minimo

 

E perché Elia

(Mt 11,11-15)

 

S. Agostino affermava: «In Vetere Testamento Nuvum latet, in Novo Testamento Vetus patet». Ma a un diverso livello.

È vero che il messaggio del secondo Patto sorge dall’humus del primo, così come il nuovo rivela il senso ed è culmine dell’antico.

È anche accertato che nell’arco della storia della Redenzione il Battista sia stato un crocevia di proposte radicali, inattese, dirimenti.

Aveva rifiutato di far parte della classe sacerdotale, corrotta e refrattaria alle novità dello Spirito.

Predicava la giustizia sociale, nonché il perdono dei peccati fuori del Tempio - grazie a un cambiamento di mentalità che si dispiegasse nella vita reale.

Già secondo Giovanni, fattore di salvezza non poteva essere un rito formale, bensì la conversione concreta e di relazione: ad es. il non pensare più solo a se stessi. 

Ma non ha rivelato - come il Figlio - la profondità del cuore del Padre.

Credeva che l’opera dei nuovi profeti dovesse fare giustizia immediata (sommaria...).

Sognava di poter recuperare l’incontaminatezza e la forza antiche, rabberciando gl’ingredienti della religione dei padri; insomma, di tornare alle origini.

Tutto, purificando e aggiornando il gran Tempio - non soppiantandolo nella sua configurazione giuridico-teologica.

Secondo Gesù invece, essa permaneva radicalmente deviante, perché incline alla forza e incapace di valorizzare fragilità e insicurezze.

 

Il Dio delle credenze arcaiche disdegnava le contraddizioni. Veniva a sentenziare e castigare secondo un freddo codice, tanto ideale quanto distante da ciascuno [anche dei suoi stessi credenti].

Ma un Altissimo sovrano che non ha cura delle persone deboli o delle cose che non piacciono, non sembra amabile: innesca e accentua i meccanismi settari della devozione competitiva, ansiogena, avvilente.

E il problema «Dove trovo la fiducia?» non ha riscontro; non si sposta di un millimetro.

Ebbene, non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, purista, forzata e sterilizzante; contraria alla fioritura della nostra preziosa Unicità.

Le continue mortificazioni delle eccentricità che renderebbero fantastici, demotivano.

Chiusi nelle armature che non ci appartengono, diventiamo arcigni, nemici della vita, invece che eccezionali, unici, rigogliosi.

Per questo Gesù annuncia la novità di un Regno da «accogliere».

Non da allestire con sudori e preparare con sforzo, secondo dettati culturali, legalisti, esterni, ma appunto da ospitare e includere; perché spiazza, travalica, sbalordisce.

 

Gli occhi nuovi per scoprire il senso di tutto un cammino sono trasmessi solo da colui che è Amico.

E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale (v.15).

 

In tal senso Giovanni è inferiore a qualsiasi ultimo degli ultimi e senza peso (v.11) che si presenta alla soglia delle comunità.

Costui vuol godere della vita fraterna, e apprendere come interiorizzare il passaggio dal senso religioso alla Fede, alla fioritura di sé, all’Amore.

 

Anche l’idea del Battezzatore circa il Messia non era quella del Cristo disposto ad abbracciare, recuperare, valorizzare e prediligere persino i senza voce, o i lontani considerati impuri.

Il nostro Maestro e Fratello è viceversa propugnatore di opere di sola vita con pienezza di Felicità (vv.2-6). Non di rudezze e cruda mortificazione - propria e dei nemici - o accuse.

 

Per Gesù i mikròi (v.11) - ossia i minimi, estranei e pitocchi - portano in cuore e nel Regno il germe della novità dei cieli squarciati per sempre.

Malgrado abbiano scarsa energia, essi recano la colomba di pace [Matteo 3,16; Marco 1,10; Luca 3,22].

Icona di una energia non più aggressiva, sebbene la subiscano (versetto 12) [Luca 16,16].

Per questo alla personalità distinta del grande e celebre Santo del deserto e del Giordano - incensurato conquistatore di folle - il Figlio di Dio può anteporre non un suo veterano, ma un qualsiasi inesperto, nuovo, claudicante, peccatore; reso libero perché rigenerato.

 

Questa la nuova era, dove più nessuno è additato e sotto assedio. Il Regno differente è quello di attese non istituzionali (talora da sbadiglio).

Gli stati creativi di qualsiasi infante - fuori dal giro, ma sensibile - sono accolti e risvegliati, invece che tirati da una parte e messi a tacere.

 

L’autentico motore della storia è in una dedita ma aperta e tranquilla potenza spontanea, naturale, innata.

Sia nei rovesci (anche epocali) che nella ricerca dello sviluppo umano integrale, o nell’incessante ricerca della pace, tale attitudine battesimale sa riprendere da zero.

 

«Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi» [cf. enciclica Fratelli Tutti n.235] non dai già realizzati.

L’energia dimessa è infatti la tipica risorsa persino del meno capace e più irrilevante dei discepoli autentici.

Unica virtù, e impareggiabile spirito che non decurta spazio all’esistenza.

Anzi, scioglie i veri nodi e non impoverisce le cose.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa, per te significa tutto?

E valore aggiunto?

E se il più piccolo del Regno fosse Gesù stesso?

Che tu sia misero e incapace di trionfare, lo consideri un nulla... o ti blocca?

La comunità accoglie i tuoi desideri o li tira da una parte?

 

 

Perché Elia

 

Al tempo, nell’area palestinese le difficoltà economiche e la dominazione romana costringevano le persone a ripiegare su un modello di vita individuale.

I problemi di sussistenza e assetto sociale avevano avuto come conseguenza uno sgretolamento della vita di relazione (e legami) sia di clan che nelle stesse famiglie.

Nuclei accorpanti, che avevano sempre assicurato assistenza, sostegno e difesa concreta ai membri più deboli e in difficoltà.

Tutti si attendevano che la venuta di Elia e del Messia potesse avere un esito positivo nella ricostruzione della vita fraterna, allora intaccata.

Come si diceva: «ricondurre il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» [Mal 3,22-24 annunciava proprio l’invio di Elia] per ricostruire la convivenza disintegrata.

Ovviamente il recupero del senso d'identità interno del popolo era malvisto dal sistema di dominazione. Figuriamoci la cifra gesuana della Chiamata per Nome, che avrebbe spalancato la vita pia popolare a mille possibilità.

Giovanni aveva predicato con forza un ripensamento dell’idea di libertà conquistata (passaggio del Giordano), il riassetto delle idee religiose consolidate (conversione e perdono dei peccati nella vita reale, fuori del Tempio) e giustizia sociale.

Avendo un progetto evoluto di riforma nella solidarietà (Lc 3,7-14), in pratica era il Battezzatore stesso che aveva già svolto la missione dell’Elia atteso [Mt 17,10-12; Mc 9,11-13].

Per questo motivo era stato tolto di mezzo: poteva riassemblare tutto un popolo di estromessi - emarginati sia dal giro del potere che della religiosità verticista, accomodante, servile, e collaborazionista.

Una devozione a compartimenti stagni, che non consentiva assolutamente né il “ricordo” di se stessi, né dell’antico assetto sociale comunitario, incline alla condivisione.

Insomma, il sistema di cose, interessi, gerarchie, forzava a radicarsi in quella configurazione insoddisfacente. Ma ecco Gesù, che non si piega.

 

Chi ha il coraggio d’intraprendere un cammino di spiritualità biblica e di Esodo impara ad apprendere che ciascuno ha un modo differente di scendere in campo e stare nel mondo.

Allora, esiste un saggio equilibrio tra rispetto di sé, del contesto, e altrui?

Gesù viene presentato da Mt alle sue comunità come Colui che ha voluto continuare l’opera di edificazione del Regno, sia sotto il profilo della qualità vocazionale che per quanto concerne la ricostruzione della coesistenza.

Con una differenza fondamentale: rispetto al portato delle concezioni etnico-religiose, il Maestro non propone a tutti una sorta di ideologia di corpo, che finisce per spersonalizzare i Doni eccentrici dei deboli - quelli imprevedibili per una mentalità consolidata, ma che tracciano futuro.

In clima di clan rinsaldato, non di rado sono proprio i senza peso e coloro che conoscono solo abissi (e non vertici) a venire come spinti all’assenso di una conformazione rassicurante d’idee - invece che dinamica - e fucina di accoglienza più larga.

Quanti non conoscono vette ma solo povertà, proprio nei momenti di crisi sono i primi invitati dalle circostanze avverse ad oscurare il proprio sguardo sull’avvenire.

 

I miseri restano gl’impossibilitati a guardare in un’altra direzione e spostarsi, tracciando un diverso destino - proprio a causa di tare esterne a loro: culturali, di tradizione, di reddito, o “spirituali”.

Tutte caselle riconoscibili, forse talora non allarmanti, ma lontane dalla nostra natura.

E subito: con la condanna a portata di giudizio comune [per mancata omologazione].

Sentenza che vuole tarpare le ali, annientare l’atmosfera nascosta e segreta che appartiene davvero all'unicità personale, e condurci tutti - anche in modo esasperato.

 

Il Signore propone una vita assembleare di carattere, ma non ostinata né targata - non disattenta... come nella misura in cui viene costretta ad andare nella medesima rotta antica di sempre. O nella stessa direzione dei capitribù.

Cristo vuole una collaborazione più rigogliosa, che faccia utilizzare bene le risorse (interne e non) e le differenze.

Assetto per l’inedito: nel modo che ad es. le cadute o le inesorabili tensioni non vengano camuffate - anzi, diventino opportunità, sconosciute e impensabili ma assai feconde di vita.

 

Qui anche le crisi diventano importanti, anzi fondamentali per far evolvere la qualità dello stare accanto - nella ricchezza del «poliedro» che come scrive Papa Francesco «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» [Evangelii Gaudium n.236].

Senza rigenerarsi, solo ripetendo e ricalcando modalità collettive - da modello sfera (ibidem) - o altrui, ossia da nomenclatura, non personalmente rielaborate o valicate, non si cresce; non ci si dirige verso la propria irripetibile missione.

Non si colma il senso lacerante di vuoto.

Tentando di manipolare caratteri e personalità per guidarle al “come devono essere”, non si sta bene con se stessi e neppure fianco a fianco. Non si trasmette ai tanti diversi la percezione di stima e adeguatezza, né il senso di benevolenza - tantomeno gioia di vivere.

Le traiettorie curve o a tentativo ed errore si confanno alla Prospettiva del Padre, e alla nostra crescita irripetibile.

Differenza tra religiosità e Fede.

 

 

Per il suo Nome

(Regno di Dio, Regno messianico, Popolo divino convocato nella Chiesa)

 

1. Leggiamo nella Costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II che “i credenti in Cristo (Dio) li ha voluti chiamare nella Santa Chiesa, la quale . . . preparata nella storia del popolo d’Israele e nell’antica Alleanza . . . è stata manifestata dalla effusione dello Spirito (Santo)” (Lumen Gentium, 2). A questa preparazione della Chiesa nell’antica Alleanza abbiamo dedicato la catechesi precedente, nella quale abbiamo visto che, nella progressiva coscienza che Israele prendeva del disegno di Dio attraverso le rivelazioni dei profeti e i fatti stessi della sua storia, si faceva sempre più chiaro il concetto di un futuro regno di Dio, ben più alto ed universale di ogni previsione circa le sorti della dinastia davidica. Oggi passiamo alla considerazione di un altro fatto storico, denso di significato teologico: Gesù Cristo dà inizio alla sua missione messianica con l’annuncio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1, 15). Quelle parole segnano l’ingresso “nella pienezza del tempo”, come dirà San Paolo (cf. Gal 4, 4), e preparano il passaggio alla Nuova Alleanza, fondata sul mistero dell’incarnazione redentrice del Figlio e destinata ad essere Alleanza eterna. Nella vita e nella missione di Gesù Cristo il regno di Dio non solo “è vicino” (Lc 10, 9), ma è già presente nel mondo, già agisce nella storia dell’uomo. Lo dice Gesù stesso: “Il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17, 21).

2. La differenza di livello e di qualità tra il tempo della preparazione e quello del compimento - tra l’antica e la nuova Alleanza - è fatta conoscere da Gesù stesso quando, parlando del suo precursore Giovanni Battista, così si esprime: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11, 11). Giovanni, dalle rive del Giordano (e dal suo carcere), certamente ha contribuito più di chiunque altro, anche più degli antichi profeti (cf. Lc 7, 26-27), alla immediata preparazione delle vie del Messia. Tuttavia egli rimane in un certo senso ancora sulla soglia del nuovo regno, entrato nel mondo con la venuta di Cristo e in via di manifestazione col suo ministero messianico. Soltanto per mezzo di Cristo gli uomini diventano i veri “figli del regno”: cioè del nuovo regno ben superiore a quello di cui i giudei contemporanei si ritenevano gli eredi naturali (cf. Mt 8, 12).

3. Il nuovo regno ha un carattere eminentemente spirituale (…)

4. Questa trascendenza del regno di Dio è data dal fatto che esso ha origine non da un’iniziativa soltanto umana, ma dal piano, dal disegno e dalla volontà di Dio stesso. Gesù Cristo, che lo rende presente e lo attua nel mondo, non è soltanto uno dei profeti mandati da Dio, ma il Figlio consostanziale al padre, che si è fatto uomo con l’Incarnazione. Il regno di Dio è dunque il regno del Padre e del suo Figlio. Il regno di Dio è il regno di Cristo; è il regno dei cieli che si sono aperti sulla terra per concedere agli uomini di entrare in questo nuovo mondo di spiritualità e di eternità (…)

Insieme con il Padre e con il Figlio, anche lo Spirito Santo opera per l’attuazione del Regno già in questo mondo. Gesù stesso lo rivela: il Figlio dell’uomo “scaccia i demoni per virtù dello Spirito di Dio”, e per questo “è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12, 28) (…)

7. Il regno messianico, attuato da Cristo nel mondo, si rivela e precisa definitivamente il suo significato nel contesto della passione e morte in croce. Già all’entrata in Gerusalemme avviene un fatto, disposto da Cristo, che Matteo presenta come realizzazione di una predizione profetica, quella di Zaccaria sul “re che cavalca un asino, un puledro figlio di asina” (Zc 9, 9; Mt 21, 5). Nella mente del profeta, nell’intento di Gesù e nella interpretazione dell’evangelista, l’asinello significava mitezza e umiltà. Gesù era il re mite e umile che entrava nella città davidica, dove col suo sacrificio avrebbe realizzato le profezie sulla vera regalità messianica.

Questa regalità diventa ben chiara durante l’interrogatorio subìto da Gesù al tribunale di Pilato (…) quella davanti al governatore romano

8. È una dichiarazione che conclude tutta l’antica profezia che scorre lungo la storia d’Israele e diventa fatto e rivelazione in Cristo. Le parole di Gesù ci fanno afferrare i bagliori di luce che solcano l’oscurità del mistero condensato nel trinomio: Regno di Dio, Regno messianico, Popolo di Dio convocato nella Chiesa. Su questa scia di luce profetica e messianica, possiamo meglio capire e ripetere, con più chiara comprensione delle parole, la preghiera insegnataci da Gesù (Mt 6, 10): “Venga il tuo Regno”. È il regno del Padre, entrato nel mondo con Cristo; è il regno messianico che per opera dello Spirito Santo si sviluppa nell’uomo e nel mondo per risalire nel seno del Padre, nella gloria dei cieli.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 4 settembre 1991]

Cari fratelli e sorelle, accanto all’invito alla gioia, la liturgia odierna – con le parole di san Giacomo che abbiamo sentito - ci rivolge anche quello ad essere costanti e pazienti nell’attesa del Signore che viene, e ad esserlo insieme, come comunità,  evitando lamentele e giudizi (cfr Gc 5,7-10).

Abbiamo sentito nel Vangelo la domanda del Battista che si trova in carcere; il Battista, che aveva annunciato la venuta del Giudice che cambia il mondo, e adesso sente che il mondo rimane lo stesso. Fa chiedere, quindi, a Gesù: “Sei tu quello che deve venire? O dobbiamo aspettare un altro? Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?”. Negli ultimi due, tre secoli molti hanno chiesto: “Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?”. E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori, che hanno detto: “Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!”. Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. Oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro.

E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni”.

Cominciamo qui, nella nostra Parrocchia: San Massimiliano Kolbe, che si offre di morire di fame per salvare un padre di famiglia. Che grande luce è divenuto lui! Quanta luce è venuta da questa figura ed ha incoraggiato altri a donarsi, ad essere vicini ai sofferenti, agli oppressi! Pensiamo al padre che era per i lebbrosi Damiano de Veuster, il quale è vissuto ed è morto con e per i lebbrosi, e così ha portato luce in questa comunità. Pensiamo a Madre Teresa, che ha dato tanta luce a persone, che, dopo una vita senza luce, sono morte con un sorriso, perché erano toccate dalla luce dell’amore di Dio.

E così potremmo continuare e vedremmo, come il Signore ha detto nella risposta a Giovanni, che non è la violenta rivoluzione del mondo, non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma è la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio che è il segno della Sua presenza e ci dà la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore.

Così possiamo vivere, possiamo sentire la vicinanza di Dio. “Dio è vicino”, dice la Prima Lettura di oggi, è vicino, ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri.

E questo è proprio anche il senso della Chiesa parrocchiale: entrare qui, entrare in colloquio, in contatto con Gesù, con il Figlio di Dio, così che noi stessi diventiamo una delle più piccole luci che Lui ha acceso e portiamo luce nel mondo che sente di essere redento.

Il nostro spirito deve aprirsi a questo invito e così camminiamo con gioia incontro al Natale, imitando la Vergine Maria, che ha atteso nella preghiera, con intima e gioiosa trepidazione, la nascita del Redentore. Amen!

[Papa Benedetto, omelia 12 dicembre 2010]

È signifìcativo che, quando i messi inviati da Giovanni Battista giunsero da Gesù per domandargli: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?» (Lc 7, 19), egli, rifacendosi alla stessa testimonianza con cui aveva inaugurato l'insegnamento a Nazaret, abbia risposto: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella», ed abbia poi concluso: «E beato è chiunque non si sarà scandalizzato di me!» (Lc 7, 22 s.).

Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità. Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la «condizione umana» storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell'uomo, sia fisica che morale. Appunto il modo e l'ambito in cui si manifesta l'amore viene denominato nel linguaggio biblico «misericordia».

Cristo quindi rivela Dio che è Padre, che è «amore», come si esprimerà nella sua prima lettera san Giovanni (1 Gv 4, 8.16); rivela Dio «ricco di misericordia», come leggiamo in san Paolo (Ef 2, 4). Tale verità, più che tema di un insegnamento, è una realtà a noi resa presente da Cristo. Il render presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia, lo confermano le parole da lui pronunciate prima nella sinagoga di Nazaret, poi dinanzi ai suoi discepoli ed agli inviati di Giovanni Battista.

[Dives in Misericordia n.3]

In questa terza Domenica di Avvento, detta domenica “della gioia”, la Parola di Dio ci invita da una parte alla gioia, e dall’altra alla consapevolezza che l’esistenza include anche momenti di dubbio, nei quali si fa fatica a credere. Gioia e dubbio sono entrambe esperienze che fanno parte della nostra vita.

All’esplicito invito alla gioia del profeta Isaia: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa» (35,1), si contrappone nel Vangelo il dubbio di Giovanni Battista: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). In effetti, il profeta vede al di là della situazione: egli ha davanti a sé gente scoraggiata: mani fiacche, ginocchia vacillanti, cuori smarriti (cfr 35,3-4). È la stessa realtà che in ogni tempo mette alla prova la fede. Ma l’uomo di Dio guarda oltre, perché lo Spirito Santo fa sentire al suo cuore la potenza della sua promessa, ed egli annuncia la salvezza: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, […] Egli viene a salvarvi» (v. 4). E allora tutto si trasforma: il deserto fiorisce, la consolazione e la gioia si impadroniscono degli smarriti di cuore, lo zoppo, il cieco, il muto sono risanati (cfr vv. 5-6). È ciò che si realizza con Gesù: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,5).

Tale descrizione ci mostra che la salvezza avvolge tutto l’uomo e lo rigenera. Ma questa nuova nascita, con la gioia che l’accompagna, sempre presuppone un morire a noi stessi e al peccato che è in noi. Da qui deriva il richiamo alla conversione, che è alla base della predicazione sia del Battista sia di Gesù; in particolare, si tratta di convertire l’idea che abbiamo di Dio. E il tempo dell’Avvento ci stimola a questo proprio con l’interrogativo che Giovanni Battista pone a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). Pensiamo: per tutta la vita Giovanni ha atteso il Messia; il suo stile di vita, il suo stesso corpo è plasmato da questa attesa. Anche per questo Gesù lo elogia con quelle parole: nessuno è più grande di lui tra i nati di donna (cfr Mt 11,11). Eppure, anche lui ha dovuto convertirsi a Gesù. Come Giovanni, anche noi siamo chiamati a riconoscere il volto che Dio ha scelto di assumere in Gesù Cristo, umile e misericordioso.

L’Avvento è tempo di grazia. Ci dice che non basta credere in Dio: è necessario ogni giorno purificare la nostra fede. Si tratta di prepararsi ad accogliere non un personaggio da fiaba, ma il Dio che ci interpella, ci coinvolge e davanti al quale si impone una scelta. Il Bambino che giace nel presepe ha il volto dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi, dei poveri che «sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi» (Lett. ap. Admirabile signum, 6).

La Vergine Maria ci aiuti, perché, mentre ci avviciniamo al Natale, non ci lasciamo distrarre dalle cose esteriori, ma facciamo spazio nel cuore a Colui che è già venuto e vuole venire ancora a guarire le nostre malattie e a darci la sua gioia.

[Papa Francesco, Angelus 15 dicembre 2019]

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And thus we must see Christ again and ask Christ: “Is it you?” The Lord, in his own silent way, answers: “You see what I did, I did not start a bloody revolution, I did not change the world with force; but lit many I, which in the meantime form a pathway of light through the millenniums” (Pope Benedict)
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni” (Papa Benedetto)
Experts in the Holy Scriptures believed that Elijah's return should anticipate and prepare for the advent of the Kingdom of God. Since the Lord was present, the first disciples wondered what the value of that teaching was. Among the people coming from Judaism the question arose about the value of ancient doctrines…
Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio. Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento. Tra i provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche...
Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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