(Lc 24,46-53; At 1,1-11)
Luca 24:46 «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno
Luca 24:47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.
Luca 24:48 Di questo voi siete testimoni.
Luca 24:49 E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto».
Luca 24:50 Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse.
Luca 24:51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo.
Atti 1:4 Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me:
Atti 1:5 Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».
Atti 1:8 ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».
Da Gerusalemme, in modo espansivo, si diffonde l'annuncio della salvezza, che abbraccia l'intera umanità. La centralità di Gerusalemme è evidente in Luca fin dagli inizi del suo Vangelo, che si apre nel cuore stesso di Gerusalemme, il Tempio, e nel momento più sacro, quello del culto, e attorno alla quale gira l'intera infanzia di Gesù. Ora, con il v. 48 vi è l'investitura dell'intero gruppo apostolico a testimone ufficiale degli eventi della salvezza, di cui essi sono costituiti depositari. In altri termini, il gruppo apostolico riceve il mandato per la sua missione, venendo costituito in autorità dal Risorto stesso. Una investitura da cui si genera non solo la missione, ma funge anche da fondamento costitutivo della Chiesa stessa, che trae origine proprio dal mandato del Risorto.
A fronte dell'affidamento della missione, posta a fondamento della Chiesa, costituendola in autorità presso Dio e presso gli uomini, il v. 49 preannuncia come tale missione assumerà piena efficacia con l'unzione dello Spirito Santo: “E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso”. Gesù non accenna allo Spirito Santo, ma soltanto alla “promessa del Padre mio”.
Luca definisce lo Spirito Santo quale “promessa del Padre”, benché da nessuna parte nel Vangelo di Luca compaia in termini espliciti una simile promessa. Per poter comprendere a quale promessa Luca faccia riferimento e dove questa sia stata menzionata nel suo Vangelo, è necessario proseguire la ricerca in At 1,4-5 dove dice che “Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni”. Il riferimento qui è a Lc 3,16: “Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Una promessa, che vedrà il suo attuarsi in At 1,8 dove si parla dell'investitura dello Spirito Santo sui discepoli.
La fine del Vangelo di Luca sta qui toccando gli inizi degli Atti degli Apostoli e congiungendosi con questi. Gli estremi, quindi, si toccano tra loro e tra loro si congiungono, creando una sorta di vasi comunicanti in cui l'evento Gesù, ora Risorto, travasa se stesso nella Chiesa, continuando in essa la sua azione salvifica.
Alla promessa del Padre - il dono dello Spirito Santo - segue la raccomandazione: “restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto”. La città di cui si parla è chiaramente Gerusalemme, il luogo del compiersi del mistero della salvezza, attuatosi nella morte-risurrezione di Gesù, ma la cui efficacia trova il suo pieno compimento soltanto nel dono dello Spirito Santo, che è potenza di Dio che opera in coloro che credono.
Luca chiude il suo Vangelo in modo inconsueto rispetto alla tradizione evangelica, raccontando dell'ascensione di Gesù al cielo. Unico tra gli evangelisti che ne faccia una trattazione specifica a parte.
L'ascensione mette fine all'attività di Gesù a Gerusalemme, per lasciarla in eredità ai suoi. Per questo Gesù compie un'azione benedicente (v. 50), il cui senso è trasmettere la sua eredità spirituale sulla comunità apostolica, che dovrà proseguire la sua missione, proprio partendo da Gerusalemme. La benedizione posta sul gruppo apostolico richiama da vicino l'immagine genesiaca della creazione dell'uomo, sul quale Dio pose la sua benedizione, accompagnata dal comando di essere fecondi e di moltiplicarsi, riempendo tutta la terra. È questa la missione di cui è stato investito l'intero gruppo apostolico, e la benedizione non va intesa quindi come un semplice e commovente gesto di saluto, ma imprime su quel gruppo germinale della chiesa nascente il segno della fecondità divina. Il termine benedizione in ebraico è, infatti, “berakah”, che deriva da “berek”, che significa “ginocchio”, un eufemismo per indicare gli organi genitali, che sono gli organi preposti alla generazione e quindi, per loro natura e funzione, sinonimi di fecondità.
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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