Giu 21, 2024 Scritto da 

Nel vocabolario dei cristiani c’è posto per la parola ‘impossibile’?

XII Domenica del Tempo Ordinario B (23.06.2024)

1. Il Signore cominciò a parlare a Giobbe in mezzo all’uragano. Così comincia la prima lettura, tratta dal libro di Giobbe che non pretende di raccontare la storia reale d’un uomo, ma è piuttosto una riflessione sapienziale sui grandi drammi e tragedie dell’uomo e dell’umanità. Il popolo ebreo sapeva che il diluvio universale distrusse tutto e in seguito ebbe a sperimentare la siccità, l’asprezza del deserto e quindi conosceva cosa significa soffrire la fame, la sete e le malattie. Presentare Dio come colui che domina le acque, i venti e la natura diventa un modo simbolico per proclamare la fede d’Israele nell’onnipotenza divina. Addirittura leggiamo qui che Dio parla in mezzo all’uragano, una maniera ancor più incisiva di dire che solamente il Signore è l’essere che domina la tempesta al punto da farla diventare il suo portavoce. La travagliata vicenda di Giobbe c’invita a considerare che nella vita d’ogni persona possono avvenire stravolgimenti d’ogni genere; in un modo o l’altro tutti dobbiamo fare i conti con il problema del male sotto le sue diverse forme: sofferenze fisiche, morali, sociali e spirituali, solitudine, fallimenti di ogni sogno e progetto, ingiustizie e sfruttamento, disperazione e morte. La tentazione della sfiducia spingeva il popolo, come avviene anche a noi, a ritenere Dio colpevole del male perché non basta essere persone perbene e religiose, come Giobbe uomo giusto e fedele a Dio, per esserne risparmiati. L’esperienza mostra che tutti all’improvviso possono conoscere disastri e sventure d’ogni genere, proprio come avvenne a Giobbe: la tragica fine dei suoi figli, la più nera miseria e l’improvvisa perdita di tutto ciò che possedeva, e, come se non bastasse, la malattia che lo ridusse a una ributtante larva umana. E’ nel mezzo di questo travaglio esistenziale che Giobbe interroga Dio sul perché della sofferenza che colpisce una persona buona come lui. E riceve un’articolata risposta dal Signore di cui l’odierno testo biblico ci riferisce soltanto l’inizio: una risposta che prende la forma di un lungo discorso che è bene rileggere integralmente nel libro di Giobbe. Dio, in maniera dolce e tranquilla, ma ferma e decisa rimette l’uomo al suo posto: non sei tu il creatore del mondo, né il dominatore di ogni fenomeno naturale, né sei tu che assicuri il cibo agli animali e la loro riproduzione. Non dimenticare allora che la vita di ogni essere umano è nelle mani di Dio, ma questo suo potere assoluto su tutto non serve a provare ed esaltare la sua onnipotenza, bensì tende a suscitare la fiducia dell’uomo perché nulla sfugge a Dio anche quando ci si ritrova nel pieno della sventura. Insomma chi ha scritto questo libro dell’Antico Testamento vuole incoraggiarci a non disperare quando ci sentiamo impotenti davanti a tragici imprevisti perché anche quando tutto crolla, noi restiamo sempre tra le braccia di un Dio che è Padre. Per quanto violente possono diventare le tempeste, lui non ci lascerà mai soccombere al male. La lezione di Giobbe è un invito a porre la fiducia in Dio sempre e comunque, con pazienza e perseveranza.

2. Riprende il tema della prima lettura la pagina del vangelo che si chiude con questa domanda: “Chi è dunque costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. L’evangelista Marco mostra il contrasto tra la violenza della tempesta che rischia di sommergere la barca, lo spavento dei discepoli che svegliano preoccupati il Maestro e la pacatezza di Gesù che, destato dal sonno, con un semplice intervento tutto risolve. Comanda infatti al mare e al vento: “Taci, calmati!”  e immediatamente ristabilisce la calma. Se è vero che l’intero vangelo di Marco tende a offrire la risposta alla domanda: “Chi è il Cristo?”, nell’odierno brano troviamo la risposta perché c’invita a riflettere che la ragione per cui Gesù ha potere sulla creazione calmando la furia delle acque e del vento, sta nel fatto  che egli è Dio, lo stesso Dio che, come leggiamo nella prima lettura, ha limitato lo spazio delle acque, ha fatto delle nuvole il suo abito e ha bloccato l’arroganza dei flutti del mare ponendo le forze della natura al servizio del suo popolo. Nello stesso momento in cui i discepoli si pongono la domanda su chi sia quest’uomo che domina la violenza delle acque, si danno anche la risposta: è l’inviato di Dio e, proprio per questo come l’evangelista sottolinea, da terrorizzati a causa della tempesta sono poi pieni di meraviglia per la calma miracolosamente ristabilita. Ciò che tuttavia sorprende di più in questo testo non sono la paura dei discepoli per la furia della tempesta e poi il timore che provano davanti a colui che riconoscono come l’inviato di Dio, ma è piuttosto la domanda che Gesù rivolge loro: “Non avete ancora fede?”. Ci stupisce che Gesù ponga ai discepoli questa domanda. Renderci conto della nostra impotenza davanti a certe prove e difficoltà che ci sorprendono ed avere paura è del tutto normale. La domanda di Gesù c’invita ad andare oltre: quando siamo sopraffatti da qualcosa di assolutamente sconvolgente che pone in crisi la nostra vita come reagiamo? Quale è la nostra attitudine difronte alle tempeste che stravolgono improvvisamente il mondo? Come gli apostoli viene naturale gridare: Maestro siamo persi e tu che fai, tu dormi e non ti preoccupi di noi? L’evangelista Marco vuole metterci in guardia dal rischio di cadere nella tentazione di interpretare il frequente silenzio di Dio davanti a ciò che ci fa soffrire, come un segno della sua indifferenza e del suo abbandono. Al contrario, il vangelo ci vuole mettere in guardia dal rischio dello scoraggiamento e c’invita a non aver paura perché Dio, nonostante tutto, può tutto e ci riporta alla calma. Inoltre ce ne rivela il segreto: ci assicura che tutto è possibile se, come lui, abbiamo fiducia nel Padre celeste, il solo che può renderci capaci di comandare al mare in burrasca e calmare il vento impetuoso. 

Proviamo a riflettere: “non è il nostro sentimento d’impotenza davanti alle difficoltà già il segno di una mancanza di fede”? Non dobbiamo certamente prendere i nostri sogni come realtà e crederci onnipotenti alla maniera di Dio perché la realtà di ogni giorno ci riconduce alla nostra umana limitatezza. Si tratta però di crescere nella fede, cioè mantenere la fiducia che in Gesù tutto ci è possibile, compreso dominare la forza della natura e la violenza del male. Una simile fiducia pacifica il cuore e lo apre a inediti orizzonti di speranza pur quando si resta nel buio dei problemi.

3. Ecco la buona notizia: con l’avvento di Gesù è nato un nuovo mondo e niente resta come prima. Nel giardino dell’Eden Dio ordinò ad Adamo e Eva di lavorare e sottomettere la terra e non era un semplice modo di parlare, bensì il progetto di Dio che si realizzerà pienamente in Gesù. E il Cristo prima dell’ascensione dice agli apostoli: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”: affida ai suoi discepoli l’intero pianeta (Mt 28,19). Ormai, come afferma san Paolo nell’odierna seconda lettura, l’amore di Cristo ci possiede e nulla più ci può separare da questo amore nel quale siamo stati immersi il giorno del battesimo. Spiega poi san Paolo: “se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove” (2Cor. 5,14-17). Con Cristo è nato il mondo nuovo: non siamo più nel mondo della prima creazione, ma dobbiamo entrare nel mondo della risurrezione di Cristo. Il battesimo ci rende nuova umanità chiamata a vivere in Cristo risorto un’esistenza di solidarietà, di giustizia e di condivisione nel servizio dei fratelli, imitando il Maestro che non è venuto per essere servito ma per servire. Questa novità di vita esige però di restare innestati in Cristo per diventare persone “nuove”, cioè rinnovate, e pronte ad affrontare le battaglie contro la violenza, l’ingiustizia e l’odio, che sfigurano il volto dell’umanità, contando sulla potenza dell’amore divino. Ci aiuti il Signore a realizzare con coerenza questa nostra vocazione cristiana per giungere, come san Paolo, a poter affermare che non siamo più noi che viviamo, ma Cristo vive in noi, e di conseguenza pronte a correre “con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Ebr.: 12, 2). In definitiva, se vogliamo essere coerenti con la nostra fede fino in fondo, la parola impossibile non fa parte del vocabolario dei cristiani, perché tutto è possibile a Dio: non è questa la vera provocazione per la nostra fede?

+Giovanni D’Ercole

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
For the prodigious and instantaneous healing of the paralytic, the apostle St. Matthew is more sober than the other synoptics, St. Mark and St. Luke. These add broader details, including that of the opening of the roof in the environment where Jesus was, to lower the sick man with his lettuce, given the huge crowd that crowded at the entrance. Evident is the hope of the pitiful companions: they almost want to force Jesus to take care of the unexpected guest and to begin a dialogue with him (Pope Paul VI)
Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata. Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui (Papa Paolo VI)
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)

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