don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Set 14, 2024

Faccia a faccia

Pubblicato in Angolo dell'apripista

Il brano evangelico di questa domenica (Lc 9,18-24) ci chiama ancora una volta a confrontarci, per così dire, “faccia a faccia” con Gesù. In uno dei rari momenti tranquilli in cui si trova da solo con i suoi discepoli, Egli chiede loro: «Le folle, chi dicono che io sia?» (v. 18). Ed essi rispondono: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto» (v. 19). Dunque la gente aveva stima di Gesù e lo considerava un grande profeta, ma non era ancora consapevole della sua vera identità, cioè che Egli fosse il Messia, il Figlio di Dio inviato dal Padre per la salvezza di tutti.

Gesù, allora, si rivolge direttamente agli Apostoli – perché è questo che gli interessa di più – e domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?». Subito, a nome di tutti, Pietro risponde: «Il Cristo di Dio» (v. 20), vale a dire: Tu sei il Messia, il Consacrato di Dio, mandato da Lui a salvare il suo popolo secondo l’Alleanza e la promessa. Così Gesù si rende conto che i Dodici, e in particolare Pietro, hanno ricevuto dal Padre il dono della fede; e per questo incomincia a parlare loro apertamente - così dice il Vangelo: “apertamente” - di quello che lo attende a Gerusalemme: «Il Figlio dell’uomo – dice – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (v. 22).

Quelle stesse domande vengono oggi riproposte a ciascuno di noi: “Chi è Gesù per la gente del nostro tempo?”. Ma l’altra è più importante: “Chi è Gesù per ciascuno di noi?”. Per me, per te, per te, per te, per te…? Chi è Gesù per ciascuno di noi? Siamo chiamati a fare della risposta di Pietro la nostra risposta, professando con gioia che Gesù è il Figlio di Dio, la Parola eterna del Padre che si è fatta uomo per redimere l’umanità, riversando su di essa l’abbondanza della misericordia divina. Il mondo ha più che mai bisogno di Cristo, della sua salvezza, del suo amore misericordioso. Molte persone avvertono un vuoto attorno a sé e dentro di sé – forse, alcune volte, anche noi –; altre vivono nell’inquietudine e nell’insicurezza a causa della precarietà e dei conflitti. Tutti abbiamo bisogno di risposte adeguate ai nostri interrogativi, ai nostri interrogativi concreti. In Cristo, solo in Lui, è possibile trovare la pace vera e il compimento di ogni umana aspirazione. Gesù conosce il cuore dell’uomo come nessun’altro. Per questo lo può sanare, donandogli vita e consolazione.

Dopo aver concluso il dialogo con gli Apostoli, Gesù si rivolge a tutti dicendo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (v. 23). Non si tratta di una croce ornamentale, o di una croce ideologica, ma è la croce della vita, è la croce del proprio dovere, la croce del sacrificarsi per gli altri con amore – per i genitori, per i figli, per la famiglia, per gli amici, anche per i nemici -, la croce della disponibilità ad essere solidali con i poveri, a impegnarsi per la giustizia e la pace. Nell’assumere questo atteggiamento, queste croci, sempre si perde qualcosa. Non dobbiamo mai dimenticare che «chi perderà la propria vita [per Cristo], la salverà» (v. 24). E’ un perdere per guadagnare. E ricordiamo tutti i nostri fratelli che ancora oggi mettono in pratica queste parole di Gesù, offrendo il loro tempo, il loro lavoro, la loro fatica e perfino la loro vita per non rinnegare la loro fede in Cristo. Gesù, mediante il suo Santo Spirito, ci dà la forza di andare avanti nel cammino della fede e della testimonianza: fare quello in cui crediamo; non dire una cosa e farne un’altra. E in questo cammino sempre ci è vicina e ci precede la Madonna: lasciamoci prendere per mano da lei, quando attraversiamo i momenti più bui e difficili.

[Papa Francesco, Angelus 19 giugno 2016]

Nell’enigma, la soluzione

(Lc 9,7-9)

 

Gesù, chi è? Non si può dare risposta se non alla luce della sua vicenda e della sua condanna: nulla a che vedere con uno degli spiritati o facitori di miracolo che suscita curiosità, come Erode si aspettava.

Il contrasto tra la straordinaria figura attesa e fraintesa, e l’ottusità del giudizio elusivo finisce per lasciare le cose come stanno. Peggio: racchiude il Mistero e smarrisce il suo “dove” oggi.

Non si comprende la Persona del Cristo a partire dalle cose che si conoscono.

Egli intende spazzare via tutti gl’idoli attrattivi ma falsi; però non ama la scure del Battezzatore, né lo zelo violento di Elia.

Vuol valorizzare l’intuizione delle coscienze, più che i doveri o la smania di analizzare i comportamenti. Questo l’incredibile.

Gesù non è una sorta di ‘fantasma’ che affiora dal passato.

Egli volge la storia a compimento secondo spinte innate e spontanee, che lasceranno emergere il semplice personale e il palese inedito.

 

Ogni gruppo religioso chiudeva il Messia nel suo modello interpretativo, consono a un ambiente venato di speranze antiche: difesa dei beni e delle consuetudini, identità “culturale”, benessere a discapito altrui, espansione, prodigi.

La rivoluzione dei figli pone una tematica che cerca la Via autentica, prossima e Altrove. L’umanità di Dio.

Insomma, interrogarsi sulla Persona di Gesù significa già iniziare a superare i codici conformisti e le piccine interpretazioni abitudinarie; per abbracciare l’irruzione dell’Eterno.

È il quesito stesso sulla dimensione Persona che invita ad allargare l’orizzonte e cominciare un Esodo. Esso ci guiderà all’autentica intesa e misura; al motivo per cui siamo al mondo.

 

Cristo rovescia sorti e destino del regno dell’uomo, e le sue rivendicazioni.

Ogni accostamento esteriore a figure pur eminenti della galleria dei grandi della storia rimane statico, parziale, troppo prevedibile.

Non di rado deviante, per le inevitabili limitazioni cerebrali che procura, ingabbiando l'anima [e immobilizzando la vita].

Per Via, la crescita di conoscenza della sua vicenda, l’adesione alla sua profondità, l’Azione dello Spirito, non lasceranno perdurare i pensieri fissi, gli attaccamenti, i luoghi comuni.

Interpretazioni, preconcetti o vetrine che poi impregnano tutta la vita e la attutiscono, privandola di ebbrezza.

Presenza del tutto personale, nuovo Fiuto, innata Sapienza di ‘natura’; non uno specifico particolarismo che non porge vita rigenerata - che fa l’occhiolino solo a se stessa.

 

Gesù: è Motore, Via e Motivo del Cammino nello Spirito che ci sta conducendo.

La sua Persona in noi trova un “punto” dentro da cui effonde il coraggio di essere se stessi, e di non cercare più l’approvazione esterna.

Ciò libera l'anima dalle attese comuni, o prodigiose; dai rimpianti del conformismo. Per far avanzare da stati e credenze primordiali a nuovi Sogni dell’essere che corrisponde e tintinna, che affiora e vuole esprimersi - umanizzando.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quando ti sei accorto che nell’enigma sulla Persona del Cristo c’è già un taglio con l’ovvio di aspettative, e uno spunto - l’energia della soluzione?

 

 

[Giovedì 25.a sett. T.O.  26 settembre 2024]

Set 12, 2024

Nell’enigma, la soluzione

Pubblicato in Croce e Vuoto

Chi è Gesù: domanda che giudica

(Lc 9,7-9)

 

Gesù, chi è? Non si può dare risposta se non alla luce della sua vicenda e della sua condanna: nulla a che vedere con uno degli spiritati o facitori di miracolo che suscita curiosità, come Erode si aspettava.

Il contrasto tra la straordinaria figura attesa e fraintesa, e l’ottusità del giudizio elusivo finisce per lasciare le cose come stanno. Peggio: racchiude il Mistero - quello più normale del mondo, ma che rimane per sempre [l'umanità di Dio] - e smarrisce il suo “dove” oggi.

Non si comprende la Persona del Cristo a partire dalle cose che sappiamo o che cercano di inquadrarlo nei criteri consuetudinari del Primo Testamento; col sentire comune, coi modelli magici del tempo...

Egli non è uno degli antichi profeti, tornati a purificare le sconcezze delle cordate opportuniste del Tempio, e rabberciare le pratiche della religione antica. Viene a soppiantarle.

 

Per esigenze politiche, Erode Antipas è costretto a essere costantemente all’erta per la sicurezza del suo piccolo regno [Galilea e Perea] quindi il successo del Battista lo spaventa.

Come riferisce Giuseppe Flavio, il reuccio ha preferito farlo fuori per timore di una sollevazione popolare, di cui avrebbe dovuto rendere conto a Roma.

Ma - è la stupidità del potere - decapitato un profeta ecco subentrare qualcuno più incisivo.

Quando ancora il sangue del Battista era fresco, giunge notizia di un giovane Rabbi che sconvolge le menti dei sudditi di quelle terre.

L’incubo sovversivo si ripresenta, più sottile di prima: il Figlio di Dio non si limita a chiedere un miglioramento della situazione; vuole sostituirla.

Egli proclama la Verità del Padre e dell’uomo autentico, proponendo un germe di mondo alternativo alla società spietata e piramidale del tempo.

Intende spazzare via gl’idoli attrattivi ma falsi; però non ama la scure del Battezzatore, né lo zelo violento di Elia - il quale aveva fatto scendere un fuoco portentoso e irrefrenabile dal cielo, sui nemici.

 

Gesù vuol valorizzare l’intuizione delle coscienze, più che i doveri o la smania di analizzare i comportamenti. Questo l’incredibile.

Il Signore non è una sorta di ‘fantasma’ che affiora dal passato per fare il “massimo”, in un’atmosfera [anche di gruppo] che opprime e attende risultati potenziati o addirittura fuori scala.

Egli volge la storia a compimento secondo spinte innate e spontanee, che lasceranno emergere il semplice personale e il palese inedito.

 

Ogni gruppo religioso chiudeva il Messia nel suo modello interpretativo, consono a un ambiente venato di speranze antiche: difesa dei beni e consuetudini, identità “culturale”, benessere a discapito altrui, espansione, prodigi.

La rivoluzione dei figli pone una tematica che cerca la Via autentica, prossima e Altrove - appunto, l’umanità di Dio. In fondo, dietro l’angolo, ma non relegata dentro un angolo.

Insomma, interrogarsi sulla Persona di Gesù significa già iniziare a superare i codici conformisti e le piccine interpretazioni abitudinarie... per abbracciare l’irruzione dell’Eterno.

È il quesito stesso sul rilievo di Persona che invita a non guardare un’unica banale soluzione [quella di tutti o di qualche amante del parossismo].

Piuttosto, ad allargare l’orizzonte e cominciare un Esodo, che ci guiderà all’autentica intesa e misura; al motivo per cui siamo al mondo.

 

Cristo rovescia sorti e destino del regno dell’uomo, e le sue rivendicazioni.

Ogni accostamento esteriore a figure pur eminenti della galleria dei grandi della storia rimane statico, parziale, troppo prevedibile.

Non di rado deviante, per le inevitabili limitazioni cerebrali che procura, ingabbiando l'anima [e immobilizzando la vita].

Per Via, la crescita di conoscenza della sua vicenda, l’adesione alla sua profondità, l’Azione dello Spirito, non lasceranno perdurare nella nostra mente i pensieri fissi, gli attaccamenti, i luoghi comuni.

Interpretazioni, preconcetti o vetrine che poi impregnano tutta la vita e la attutiscono, privandola di ebbrezza.

Presenza del tutto personale, nuovo Fiuto, innata Sapienza di ‘natura’; non uno specifico particolarismo che non porge vita rigenerata - che fa l’occhiolino solo a se stessa.

 

Gesù: è Motore, Via e Motivo del Cammino nello Spirito che ci sta conducendo.

La sua Persona in noi trova un “punto” dentro da cui effonde il coraggio di essere se stessi, e di non cercare più l’approvazione esterna.

Ciò libera l'anima dalle attese comuni, o prodigiose; dai rimpianti del conformismo. Per far avanzare da stati e credenze primordiali a nuovi Sogni dell’essere che corrisponde e tintinna, che affiora e vuole esprimersi - umanizzando.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Secondo te, quali interpretazioni e preconcetti attutiscono l’esercizio dell’intuizione personale nella propria crescita, e l’Evangelizzazione? 

Quando ti sei accorto che nell’enigma sulla Persona del Cristo c’è già un taglio con l’ovvio di aspettative, e uno spunto - l’energia della soluzione, anche per la rinascita dall’emergenza globale?

 

 

Mentre lo seguiamo

 

Per conoscere veramente Gesù bisogna parlare con lui, dialogare con lui mentre lo seguiamo sulla sua strada. Papa Francesco ha incentrato proprio sulla conoscenza di Gesù l’omelia della messa celebrata il 26 settembre 2013, nella cappella di Santa Marta.

Il Pontefice ha preso spunto dal brano del Vangelo di Luca (9, 7-9) nel quale Erode si interroga su chi sia quel Gesù di cui sente tanto parlare. La persona di Gesù, ha ricordato il Pontefice, ha suscitato spesso domande del tipo: «Chi è costui? Da dove viene? Pensiamo a Nazareth, per esempio, nella sinagoga di Nazareth, quando se n’è andato per la prima volta: ma dove ha imparato queste cose? Noi lo conosciamo bene: è il figlio del falegname. Pensiamo a Pietro e agli apostoli dopo quella tempesta, quel vento che Gesù ha fatto tacere. Ma chi è costui al quale obbediscono il cielo e la terra, il vento, la pioggia, la tempesta? Ma chi è?».

Domande, ha spiegato il Papa, che si possono fare per curiosità o per avere sicurezze sul modo di comportarsi davanti a lui. Resta comunque il fatto che chiunque conosca Gesù si fa queste domande. Anzi, «alcuni — ha proseguito il Papa tornando all’episodio evangelico — incominciamo a sentire paura di quest’uomo, perché li può portare a un conflitto politico con i romani»; e dunque pensano di non tenere maggiormente in considerazione «quest’uomo che crea tanti problemi».

E perché, si è chiesto il Pontefice, Gesù crea problemi? «Non si può conoscere Gesù — è stata la sua risposta — senza avere problemi». Paradossalmente, ha aggiunto, «se tu vuoi avere un problema, vai per la strada che ti porta a conoscere Gesù» e allora di problemi ne sorgeranno tanti. In ogni caso, Gesù non si può conoscere «in prima classe» o «nella tranquillità», tantomeno «in biblioteca». Gesù lo si conosce solo nel cammino quotidiano della vita.

E lo si può conoscere, ha affermato il Santo Padre, «anche nel catechismo. È vero! Il catechismo — ha precisato — ci insegna tante cose su Gesù e dobbiamo studiarlo, dobbiamo impararlo. Così impariamo che il Figlio di Dio è venuto per salvarci e capiamo dalla bellezza della storia della salvezza l’amore del Padre». Resta comunque il fatto che anche la conoscenza di Gesù attraverso il catechismo «non è sufficiente»: conoscerlo con la mente è già un passo in avanti, ma «Gesù è necessario conoscerlo nel dialogo con lui. Parlando con lui, nella preghiera, in ginocchio. Se tu non preghi, se tu non parli con Gesù — ha detto — non lo conosci».

C’è infine una terza strada per conoscere Gesù: «È la sequela, andare con lui, camminare con lui, percorrere le sue strade». E mentre si cammina con lui, si conosce «Gesù con il linguaggio dell’azione. Se tu conosci Gesù con questi tre linguaggi: della mente, del cuore, dell’azione, allora puoi dire di conoscere Gesù». Fare questo tipo di conoscenza comporta il coinvolgimento personale. «Non si può conoscere Gesù — ha ribadito il Pontefice — senza coinvolgersi con lui, senza scommettere la vita per lui». Dunque per conoscerlo davvero è necessario leggere «quello che la Chiesa ti dice di lui, parlare con lui nella preghiera e camminare nella sua strada con lui». Questa è la strada e «ognuno — ha concluso — deve fare la sua scelta».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 27/09/2013]

Il.mo Signor Professore Odifreddi, (...) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.

Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell'avventatezza dell'argomentazione. (...)

Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti:

1. È corretto affermare che "scienza" nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l'aritmetica e la geometria. In tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto. L'essenziale è che applichi un metodo verificabile, escluda l'arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità.

2. Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell'ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli.

3. Una funzione importante della teologia è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione. Ambedue le funzioni sono di essenziale importanza per l'umanità. Nel mio dialogo con Habermas ho mostrato che esistono patologie della religione e - non meno pericolose - patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l'una dell'altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia.

4. La fantascienza esiste, d'altronde, nell'ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l'inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni ed anticipazioni, per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all'interno della teoria dell'evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: "La comparsa dei Vertebrati tetrapodi... trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo "scelse" di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell'evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari..." (citato secondo l'edizione italiana Il caso e la necessità, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.). 

In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io - come ho già detto ripetutamente  -  sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica, e ancora diversamente nei capitoli su Gesù. Quanto a ciò che Lei dice dell'abuso morale di minorenni da parte di sacerdoti, posso  -  come Lei sa  -  prenderne atto solo con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall'altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano. Non è neppure motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo.

Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. Bisogna ricordare le figure grandi e pure che la fede ha prodotto  -  da Benedetto di Norcia e sua sorella Scolastica, a Francesco e Chiara d'Assisi, a Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, ai grandi Santi della carità come Vincenzo dè Paoli e Camillo de Lellis fino a Madre Teresa di Calcutta e alle grandi e nobili figure della Torino dell'Ottocento. È vero anche oggi che la fede spinge molte persone all'amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia. (...)

Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po' più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell'esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un'altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (Ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto "Gesù storico" è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l'importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l'annuncio e la figura di Gesù. 

(...) Inoltre devo respingere con forza la Sua affermazione (pag. 126) secondo cui avrei presentato l'esegesi storico-critica come uno strumento dell'anticristo. Trattando il racconto delle tentazioni di Gesù, ho soltanto ripreso la tesi di Soloviev, secondo cui l'esegesi storico-critica può essere usata anche dall'anticristo - il che è un fatto incontestabile. Al tempo stesso, però, sempre - e in particolare nella premessa al primo volume del mio libro su Gesù di Nazaret - ho chiarito in modo evidente che l'esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico. Per questo non è neppure corretto che Lei dica che io mi sarei interessato solo della metastoria: tutt'al contrario, tutti i miei sforzi hanno l'obiettivo di mostrare che il Gesù descritto nei Vangeli è anche il reale Gesù storico; che si tratta di storia realmente avvenuta. (...)

Con il 19° capitolo del Suo libro torniamo agli aspetti positivi del Suo dialogo col mio pensiero. (...) Anche se la Sua interpretazione di Gv 1,1 è molto lontana da ciò che l'evangelista intendeva dire, esiste tuttavia una convergenza che è importante. Se Lei, però, vuole sostituire Dio con "La Natura", resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell'esistenza umana restano non considerati: la libertà, l'amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell'epoca moderna. L'amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c'è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.

Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.

[Papa Benedetto, art. in La Repubblica 24/09/2013]

1. Con la catechesi della scorsa settimana, seguendo i più antichi simboli della fede cristiana, abbiamo iniziato un nuovo ciclo di riflessioni su Gesù Cristo. Il Simbolo apostolico proclama: “Credo . . . in Gesù Cristo, suo unico Figlio (di Dio)”. Il Simbolo niceno-costantinopolitano, dopo aver definito con precisione ancora maggiore la divina origine di Gesù Cristo come Figlio di Dio, prosegue dichiarando che questo Figlio di Dio “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e . . . si è incarnato”. Come si vede, il nucleo centrale della fede cristiana è costituito dalla duplice verità che Gesù Cristo è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo (la verità cristologica), ed è la realizzazione della salvezza dell’uomo, che Dio Padre ha compiuto in lui, Figlio suo e Salvatore del mondo (la verità soteriologica).

2. Se nelle precedenti catechesi abbiamo trattato del male, e in particolare del peccato, lo abbiamo fatto anche per preparare il ciclo presente su Gesù Cristo Salvatore. Salvezza infatti significa liberazione dal male, in particolare dal peccato. La Rivelazione contenuta nella sacra Scrittura, a cominciare dal Proto-Vangelo (Gen 3, 15) ci apre alla verità che solo Dio può liberare l’uomo dal peccato e da tutto il male presente nell’esistenza umana. Dio, mentre rivela se stesso come Creatore del mondo e suo provvidente Ordinatore, si rivela contemporaneamente come Salvatore: come colui che libera dal male, in particolare dal peccato causato dalla libera volontà della creatura. È questo il culmine del progetto creativo attuato dalla Provvidenza di Dio, nel quale mondo (cosmologia), uomo (antropologia) e Dio salvatore (soteriologia) sono strettamente legati.

Come infatti ricorda il Concilio Vaticano II, i cristiani credono che il mondo è “creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto . . .” (Gaudium et Spes, 2).

3. Il nome “Gesù”, considerato nel suo significato etimologico, vuol dire “Jahvè libera”, salva, aiuta. Prima della schiavitù di Babilonia veniva espresso nella forma “Jehosua”: nome teoforico che contiene la radice del santissimo nome di Jahvè. Dopo la schiavitù babilonese prese la forma abbreviata “Jeshua”, che nella traduzione dei Settanta fu trascritto con “Jesoûs” da cui l’italiano “Gesù”.

Il nome era alquanto diffuso, sia al tempo dell’antica sia della nuova alleanza. È infatti il nome che portava Giosuè, che dopo la morte di Mosè introdusse gli Israeliti nella terra promessa: “Egli, secondo il significato del suo nome, fu grande per la salvezza degli eletti di Dio . . . per assegnare il possesso a Israele” (Sir 46, 1). Gesù, figlio di Sirach, fu il compilatore del libro del Siracide (Sir 50, 27). Nella genealogia del Salvatore, riportata nel Vangelo secondo Luca, troviamo enumerato “Er, figlio di Gesù” (Lc 3, 28-29). Tra i collaboratori di san Paolo è presente anche un certo Gesù, “chiamato Giusto” (cf. Col 4, 11).

4. Il nome Gesù, tuttavia, non ebbe mai quella pienezza di significato che avrebbe assunto nel caso di Gesù di Nazaret e che sarebbe stato rivelato dall’angelo a Maria (cf. Lc 1, 31ss.) e a Giuseppe (cf. Mt 1, 21). All’inizio del ministero pubblico di Gesù, la gente intendeva il suo nome nel senso comune di allora.

“Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Così dice uno dei primi discepoli, Filippo, a Natanaele il quale ribatte: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1, 45-46). Questa domanda indica che Nazaret non era molto stimata dai figli di Israele. Nonostante ciò, Gesù fu chiamato “Nazareno” (cf. Mt 2, 23), o anche “Gesù da Nazaret di Galilea” (Mt 21, 11), espressione che lo stesso Pilato utilizzò nell’iscrizione che egli fece porre sulla croce: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19, 19).

5. La gente chiamò Gesù “il Nazareno” dal nome del luogo in cui egli risiedette con la sua famiglia fino all’età di trent’anni. Sappiamo tuttavia che il luogo di nascita di Gesù non fu Nazaret ma Betlemme, località della Giudea, a sud di Gerusalemme. Lo attestano gli evangelisti Luca e Matteo. Il primo, in particolare, fa notare che a causa del censimento ordinato dalle autorità romane, “Giuseppe, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2, 4-6).

Come avviene per altri luoghi biblici, anche Betlemme assume un valore profetico. Rifacendosi al profeta Michea, Matteo ricorda che questa cittadina è stata designata come luogo della nascita del Messia: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te infatti uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele” (Mt 2, 6). Il profeta aggiunge: “. . . le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mt 5, 1).

A questo testo si riferirono i sacerdoti e gli scribi che Erode aveva consultato per rispondere ai Magi che, giunti dall’Oriente, domandavano dove era il luogo della nascita del Messia.

Il testo del Vangelo di Matteo (Mt 2, 1): “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode”, si rifà alla profezia di Michea, alla quale si riferisce anche l’interrogativo riportato nel quarto Vangelo: “Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?” (Gv 7, 42).

6. Da questi particolari si deduce che Gesù è il nome di una persona storica, vissuta in Palestina. Se è giusto riconoscere credibilità storica a figure come Mosè e Giosuè, a maggior ragione va accolta l’esistenza storica di Gesù. I Vangeli non ci riferiscono in dettaglio la sua vita perché non hanno scopo primariamente storiografico. Sono però proprio i Vangeli che, letti con onestà di critica, portano a concludere che Gesù di Nazaret è una persona storica vissuta in uno spazio e tempo determinati. Anche da un punto di vista puramente scientifico deve suscitare meraviglia non chi afferma, ma chi nega l’esistenza di Gesù, come hanno fatto le teorie mitologiche del passato e come ancora oggi fa qualche studioso.

Per quanto riguarda la data precisa della nascita di Gesù, i pareri degli esperti non sono concordi. Si ammette comunemente che il monaco Dionigi il Piccolo, quando nell’anno 533 propose di calcolare gli anni non dalla fondazione di Roma, ma dalla nascita di Gesù Cristo, sia caduto in errore. Fino a qualche tempo fa si riteneva che si trattasse di uno sbaglio di circa quattro anni, ma la questione è tutt’altro che risolta.

7. Nella tradizione del popolo israelitico il nome “Gesù” ha conservato il suo valore etimologico: “Dio libera”. Per tradizione erano sempre i genitori che imponevano il nome ai loro figli. Invece nel caso di Gesù, figlio di Maria, il nome fu scelto e assegnato dall’alto già prima della nascita, secondo l’indicazione dell’angelo a Maria, nell’annunciazione (Lc 1, 31) e a Giuseppe in sogno (Mt 1, 21). “Gli fu messo nome Gesù” - sottolinea l’evangelista Luca - perché con questo nome “era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2, 21).

8. Nel progetto disposto dalla Provvidenza di Dio, Gesù di Nazaret porta un nome che allude alla salvezza: “Dio libera”, perché egli è in realtà ciò che il nome indica, cioè il Salvatore. Lo testimoniano alcune frasi, presenti nei cosiddetti Vangeli dell’infanzia, scritti da Luca (Lc 2, 11): “. . . vi è nato . . . un salvatore”, e da Matteo (Mt 1, 21): “egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Sono espressioni che riflettono la verità che è rivelata e proclamata da tutto il Nuovo Testamento. Scrive ad esempio l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi . . . e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore (Kyrios, Adonai) a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11).

La ragione dell’esaltazione di Gesù la troviamo nella testimonianza resa a lui dagli apostoli i quali proclamarono con coraggio: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 14 gennaio 1987]

«Sarà una bella abitudine se tutti i giorni, in qualche momento, potessimo dire: “Signore, che ti conosca e mi conosca” e così andare avanti». È il suggerimento proposto da Papa Francesco nella messa celebrata giovedì 25 ottobre a Santa Marta. Non servono «cristiani a parole» che dicono il Credo «a pappagallo», ha affermato il Pontefice, invitando a vivere l’esperienza di sentirsi sul serio peccatori.

«Se qualcuno — ha esordito Francesco — ci domanda “chi è Gesù Cristo”, noi sicuramente diremo quello che abbiamo imparato nella catechesi, come lui è venuto a salvare il mondo, diremo la vera dottrina su Gesù: è il salvatore del mondo, il Figlio del Padre, Dio, uomo, quello che recitiamo nel Credo». Ma, ha fatto presente, «un po’ più difficile sarà rispondere alla domanda: “È vero, ma per te, chi è Gesù Cristo?”». E questa è una «domanda» che «ci mette un po’ in imbarazzo, perché devo pensare e arrivare al mio cuore per dare la risposta».

Dunque, ha rilanciato il Papa, «per me, chi è Gesù Cristo? La conoscenza di Gesù Cristo che io ho, quale è? Quando dico che per me Gesù Cristo è il Salvatore, è così — ha affermato il Pontefice — ma ognuno di noi deve rispondere anche dal cuore, quello che sa e sente di Gesù Cristo, perché tutti sappiamo che è il salvatore del mondo, che è il Figlio di Dio, che è venuto sulla terra per salvarci, e anche possiamo raccontare tanti passi del Vangelo».

Resta, però, la domanda diretta: ma «per me» chi è Gesù Cristo? Proprio «questo è il lavoro di Paolo» ha spiegato Francesco in riferimento al passo liturgico tratto dalla lettera agli Efesini (3, 14-21), facendo notare che l’apostolo «ha questa inquietudine di trasmettere la propria esperienza di Gesù Cristo». In effetti, ha insistito Francesco, Paolo «non ha conosciuto Gesù Cristo cominciando dagli studi teologici; poi, è andato a vedere come nella Scrittura era annunciato Gesù Cristo». Al contrario, «lui ha conosciuto Gesù Cristo per propria esperienza, quando è caduto da cavallo, quando il Signore gli ha parlato al cuore, direttamente». E «quello che Paolo ha sentito vuole che noi cristiani lo sentiamo».

Se fosse possibile domandare a Paolo «chi è Cristo per te?», ecco che, ha affermato il Papa, lui racconterebbe «la propria esperienza, semplice: “Mi amò e si è consegnato per me”». Ma Paolo «è coinvolto con Cristo, che ha pagato per lui», e «questa esperienza Paolo vuole che i cristiani — in questo caso i cristiani di Efeso — la abbiano, entrino in questa esperienza al punto che ognuno possa dire: “Mi amò e si consegnò per me”». Però è importante «dirlo con l’esperienza propria» ha suggerito il Papa.

Francesco ha voluto rileggere un passo della lettera agli Efesini proposta come prima lettura: «Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere — lì va Paolo — quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio».

«Paolo vuole condurre tutti noi a questa esperienza» ha spiegato il Pontefice, perché è «l’esperienza che lui ha avuto di Gesù Cristo: l’incontro con Gesù Cristo gli ha fatto capire questa cosa grande».

Ma «come si può arrivare a questo, qual è la strada?» è la questione proposta dal Papa. Forse, ha aggiunto, «devo recitare il Credo tante volte? Sì, ma non è proprio la migliore strada giusta per arrivare a questa esperienza: aiuterà, ma non è quella giusta». Infatti, ha affermato Francesco, «Paolo quando dice che Gesù si è consegnato per lui, che è morto per lui, vuole dire “ha pagato per me” e racconta tante volte nelle sue lettere la propria esperienza: “Io ero un peccatore”, “io perseguitavo i cristiani”».

Per farlo, ha proseguito il Papa, egli «parte dal proprio peccato, dalla propria esistenza peccatrice, e la prima definizione che dà Paolo di se stesso è “peccatore”: scelto per amore, ma peccatore». Così, ha fatto presente il Pontefice, «il primo passo per la conoscenza di Cristo, per entrare in questo mistero, è la conoscenza del proprio peccato, dei propri peccati».

«Tutti noi ci accostiamo al sacramento della riconciliazione e noi diciamo i nostri peccati» ha proseguito Francesco. «Ma — ha specificato — una cosa è dire i peccati, riconoscere i peccati e un’altra cosa è riconoscersi “peccatore”, di natura “peccatore”, capace di fare qualsiasi cosa». Insomma, «riconoscersi una sporcizia». E «Paolo ha questa esperienza».

Ci vuole, perciò, la consapevolezza che «il primo passo per la conoscenza di Gesù Cristo è la conoscenza propria, della propria miseria, che ha bisogno di essere redenta, che ha bisogno di qualcuno che paghi: paghi il diritto a dirsi “figlio di Dio”». In realtà, ha spiegato il Papa, «tutti lo siamo, ma» per «dirlo, sentirlo, c’era bisogno del sacrificio di Cristo e, partendo da questo, Paolo va avanti con queste esperienze religiose che lui ha, una dietro l’altra, tramite la preghiera e la carità».

Ecco allora, ha riaffermato il Pontefice, che «il primo passo» è «riconoscersi peccatori, ma non in teoria, in pratica». Dire «ho incominciato a fare questo, mi sono fermato, ma se io fossi andato più su questa strada, sarei finito male, molto male» è «la radice del peccato che ti porta avanti». Dunque «il primo passo è questo: riconoscersi peccatore e dire a se stesso le proprie miserie, vergognarsi di se stesso: è il primo passo».

«Il secondo passo per conoscere Gesù è la contemplazione, la preghiera» ha affermato il Papa, proponendo la semplice invocazione: «“Signore, che io ti conosca”». E aggiungendo che «c’è una preghiera bella, di un santo: “Signore, che ti conosca e mi conosca”». Si tratta, ha spiegato Francesco, di «conoscere se stessi e conoscere Gesù». E «qui si dà questo rapporto di salvezza: la preghiera» ha rilanciato il Pontefice, invitando a «non accontentarsi con il dire tre, quattro parole giuste su Gesù» perché «conoscere Gesù è un’avventura, ma un’avventura sul serio, non un’avventura da ragazzino».

Conoscere Gesù, ha proseguito il Papa, «è un’avventura che ti porta tutta la vita, perché l’amore di Gesù è senza limiti». Lo ricorda Paolo sempre nella lettera agli Efesini: «Quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» è un’espressione per indicare, appunto, che «non ha limiti». Ma «questo soltanto con l’aiuto dello Spirito Santo possiamo trovarlo: è l’esperienza di un cristiano». E «Paolo stesso lo dice: Lui ha tutto il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare. Ha la potenza di farlo». Però «dobbiamo domandarlo: “Signore, che io ti conosca; che quando io parlerò di te, dica non parole da pappagallo, dica parole nate nella mia esperienza, e come Paolo possa dire: “Mi amò e si è consegnato per me” e dirlo con convinzione». Proprio questa è la nostra forza, questa è la nostra testimonianza».

«Cristiani di parole, ne abbiamo tanti; anche noi, tante volte lo siamo» ha messo in guardia Francesco. Ma «questa non è la santità: santità è essere cristiani che operano nella vita quello che Gesù ha insegnato e quello che Gesù ha seminato nel cuore». Per farlo occorre «conoscere Gesù» con «quella conoscenza che non ha limiti: l’altezza, la lunghezza, la pienezza, tutto».

Il «primo passo» ha ripetuto il Papa, resta «conoscere se stessi peccatori: senza questa conoscenza, e anche senza questa confessione interiore che sono un peccatore, non possiamo andare avanti». Poi, ha ricordato, il «secondo passo» è «la preghiera al Signore che, con la sua potenza, ci faccia conoscere questo mistero di Gesù che è il fuoco che lui ha portato sulla terra».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 26/10/2018]

Sobrietà soddisfatta: nuova Profondità

(Lc 9,1-6)

 

Al tempo di Gesù non mancavano diversi movimenti di rinnovamento che cercavano di rinverdire la vita di comunità, insidiata dal collasso economico e sociale, e dal servilismo politico e religioso.

Esseni, Farisei e Zeloti avevano i loro missionari, che sebbene inviati proprio da coloro che più radicalmente desideravano un nuovo modo di convivere, erano totalmente prevenuti nei confronti di altri interlocutori.

Non si fidavano della gente, né delle consuetudini o del cibo altrui, anch’esso considerato legalmente impuro.

Invece gli Apostoli devono imparare ad accettare l’ospitalità, confidare nelle persone, e immaginare di essere accolti persino da coloro che la devozione comune considera contaminati.

L’uomo di Fede si distingue dal credente religioso fondamentalista, perché ha un criterio di fraternità e coesistenza opposto: denuncia le leggi di esclusione rituale, culturale e sociale.

Ha una nuova profondità.

 

L’accesso alla ‘purezza’ è nel rapporto intimo e personale con Dio, e nella qualità di relazioni aperte; non altrove. E la Chiesa è realtà eccentrica; non vive per sé, per i vantaggi, per vincere.

Essa ha solo il compito di tenere vivo il Messaggio che guida tutti alla Felicità piena.

Ciascuno, e la Comunità stessa, puntano sull’Annuncio [reale, con la vita] che ha forza trasformante. Assolutamente la Chiesa non è costituita per imporre idee e trionfare, tutt’altro.

Così il figlio di Dio in itinere non può trascorrere il suo tempo a migliorare l’alloggio, come fosse un segno di rango sociale e spirituale - magari passando da una prima sistemazione di fortuna a forme sempre più agiate e appariscenti sul territorio (v.4).

Il testimone autentico ha in cuore ben altra Promessa.

 

Lc insiste sul fatto che la Missione debba svolgersi nella più assoluta povertà - condizione per continuare l’assunto di Gesù - e toglie al fedele in Cristo persino l’inerme penuria del bastone da viaggio che invece Mc (6,8) gli lascia.

Il rapporto con gli eventi, le relazioni con le persone e le forze cieche del potere, e degl’imprevisti naturali, devono in noi diventare Incontro.

Sbalordimento di Empatia nuova che in se stessa annuncia sapienza, cura, guarigione, e vittoria sull’infermità (vv.1-2) - introducendo anche i lontani e disperati alla incisività della Fede.

Questo Viaggio di ritrovamento della propria e altrui vita nelle mani del Padre non è ancora terminato.

La Verità del Risorto è aperta a una Speranza aggiornata e di prospettiva, non inquadrata - da tenere viva. L’esigenza di opere trasmutanti il mondo antico acquista un’attualità sempre rinvigorita.

Continua ai nostri giorni, ma con esigenze, motivi, orizzonti e offerte di redenzione in forme “divine” sorprendenti - anche a motivo di poliedrici contesti culturali [o perfino d’interferenze interne, coi loro immutati tentativi di offuscamento perbenista rigido e devoto - o modaiolo - dello spirito umano].

 

Ciò che conta non sono i mezzi, diversi secondo ambiente o più o meno miseri, ma l’Annuncio della Verità che si ‘fa’, non che si ‘ha’.

In sé l’indigenza materiale è una cattedra, ma pure una vetrina. In altre religioni, ci sono forme di povertà ed esproprio individuale [confrontate alle nostre] eroiche e sorprendenti, forse però inaccessibili e di cerchia, nel loro incredibile atletismo - e spersonalizzazione.

La Chiesa dev’essere libera, disponibile, tutta dedita, inerme.

Il suo peso specifico - vera garanzia di credibilità - resta da discernere in ordine a una vita universale e perfetta ‘da salvati’ [recuperati per Grazia], non da fenomeni asettici e cesellati nei minimi dettagli.

Lo vediamo oggi, nel tempo della crisi globale: bisogna reinventarsi per rinascere, anche dal punto di vista dei criteri di sacralità.

Insomma: smettere di sabotare le nostre risorse naturali spontanee, e diventare ciò che siamo a partire dalle reali fragilità - in modo più genuino [e al contempo, più profondo].

Talora bisognerà far leva proprio sugli aspetti che un tempo erano considerati cagionevolezza di carattere... appunto da escludere, in un mondo tutto esteriore, falsamente estroverso, manierista, supponente di sé.

 

Al fine di costruire una sola Famiglia e un solo Popolo di Dio, liberato da pastoie che umiliano la gioia, tutti i ‘fatti’ credibili e i ‘mezzi’ conformi - fragranti e spontanei, o anche culturalmente affinati - possono essere accolti, presi in considerazione, reinventati.

Opzione assoluta e non negoziabile è il bene della donna e dell’uomo concreti, non un convincimento di purità, o di adeguatezza “culturale”.

Ciò che conta è la sollecitudine per il nostro rapporto con Dio nella relazione di Comunione coi fratelli e sorelle, alla pari, per una convivialità delle differenze che ci arricchisce, personalmente e insieme.

La qualità d’intesa basta a tutto, e marca una saggia differenza nei confronti di aspetti idolatrici… quali rivalse materiali, controllo delle coscienze deboli, ed espansione sul territorio - cifre così importanti per le ideologie e purtroppo anche per alcune forme impositive del nostro credo [rigide o di soppiatto].

Se viceversa ci radichiamo in una disposizione di coesistenza, esclusivamente conviviale e di spirito largo, informeremo tutto il nostro modo di vivere. Ciò, nella soddisfatta sobrietà di chi già possiede il Tesoro autentico, dentro e fuori di sé: il Cristo universale, risuscitato a favore delle «moltitudini»; Fonte e Culmine del Regno da edificare.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come annunzi il Regno di Dio?

Porti ciò che per primo hai vissuto, o preferisci idee, atteggiamenti artificiosi, schemi, pensieri, organigrammi e “nomi” altrui?

Cosa ritieni possa complicare l’Annuncio oggi?

 

 

[Mercoledì 25.a sett. T.O.  25 settembre 2024]

Cari amici, con la vostra preziosa opera di animazione e cooperazione missionaria richiamate al Popolo di Dio “la necessità per il nostro tempo di un impegno deciso nella missio ad gentes” (Esort. ap. Verbum Domini, 95), per annunciare la “grande Speranza”, “quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme” (Enc. Spe salvi, 31). Nuovi problemi e nuove schiavitù, infatti, emergono nel nostro tempo, sia nel cosiddetto primo mondo, benestante e ricco ma incerto circa il suo futuro, sia nei Paesi emergenti, dove, anche a causa di una globalizzazione caratterizzata spesso dal profitto, finiscono per aumentare le masse dei poveri, degli emigranti, degli oppressi, in cui si affievolisce la luce della speranza. La Chiesa deve rinnovare costantemente il suo impegno di portare Cristo, di prolungare la sua missione messianica per l’avvento del Regno di Dio, Regno di giustizia, di pace, di libertà, di amore. Trasformare il mondo secondo il progetto di Dio con la forza rinnovatrice del Vangelo, “perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28) è compito dell’intero Popolo di Dio. E’ necessario pertanto continuare con rinnovato entusiasmo l’opera di evangelizzazione, l’annuncio gioioso del Regno di Dio, venuto in Cristo nella potenza dello Spirito Santo, per condurre gli uomini alla vera libertà dei figli di Dio contro ogni forma di schiavitù. E’ necessario gettare le reti del Vangelo nel mare della storia per portare gli uomini verso la terra di Dio.

“La missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Cristo, come conseguenza del loro battesimo” (Esort. ap. Verbum Domini, 94). Ma perché vi sia un deciso impegno nell’evangelizzazione, è necessario che i singoli cristiani come le comunità credano veramente che “la Parola di Dio è la verità salvifica di cui ogni uomo in ogni tempo ha bisogno” (ibid., 95). Se questa convinzione di fede non è profondamente radicata nella nostra vita, non potremo sentire la passione e la bellezza di annunciarla. In realtà, ogni cristiano dovrebbe fare propria l’urgenza di lavorare per l’edificazione del Regno di Dio. Tutto nella Chiesa è al servizio dell’evangelizzazione: ogni settore della sua attività e anche ogni persona, nei vari compiti che è chiamata a svolgere. Tutti devono essere coinvolti nella missio ad gentes: Vescovi, presbiteri, religiosi e religiose, laici. “Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità che proviene dall’appartenere sacramentalmente al Corpo di Cristo” (ibid., 94). Occorre, pertanto, prestare particolare cura affinché tutti i settori della pastorale, della catechesi, della carità siano caratterizzati dalla dimensione missionaria: la Chiesa è missione.

Condizione fondamentale per l’annuncio è lasciarsi afferrare completamente da Cristo, Parola di Dio incarnata, perché solo chi è in attento ascolto del Verbo incarnato, chi è intimamente unito a Lui, può diventarne annunciatore (cfr ibid., 51; 91). Il messaggero del Vangelo deve rimanere sotto il dominio della Parola e deve alimentarsi dei Sacramenti: è da questa linfa vitale che dipendono la sua esistenza e il suo ministero missionario. Solo radicati profondamente in Cristo e nella sua Parola si è capaci di non cedere alla tentazione di ridurre l’evangelizzazione ad un progetto solo umano, sociale, nascondendo o tacendo la dimensione trascendente della salvezza offerta da Dio in Cristo. E’ una Parola che deve essere testimoniata e proclamata esplicitamente, perché senza una testimonianza coerente essa risulta meno comprensibile e credibile. Anche se spesso ci sentiamo inadeguati, poveri, incapaci, conserviamo sempre la certezza nella potenza di Dio, che mette il suo tesoro “in vasi di creta” proprio perché appaia che è Lui ad agire per mezzo nostro.

Il ministero dell’evangelizzazione è affascinante ed esigente: richiede amore per l’annuncio e la testimonianza, un amore così totale che può essere segnato anche dal martirio. La Chiesa non può venire meno alla sua missione di portare la luce di Cristo, di proclamare il lieto annuncio del Vangelo, anche se ciò comporta la persecuzione (cfr Esort. ap. Verbum Domini, 95). E’ parte della sua stessa vita, come lo è stato per Gesù. I cristiani non devono avere timore, anche se “sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011, 1). San Paolo afferma che “né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39).

[Papa Benedetto, discorso all’assemblea generale Pontificie Opere Missionarie 14 maggio 2011]

Set 11, 2024

Giubileo e Missione

Pubblicato in Angolo dell'ottimista

2. L'odierno incontro avviene nel tempo e nello spirito del Grande Giubileo, che la Chiesa universale sta vivendo con grande fervore. Questo è un singolare Anno di grazia, nel quale la comunità cristiana sta facendo una più viva esperienza della bontà di Dio, manifestatasi nell'incarnazione del Figlio e annunciata con gratitudine dalla Chiesa a tutte le genti. Risuonano nel nostro spirito le parole dell'Apostolo: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor 6, 2b).

La celebrazione del Grande Giubileo appare, quindi, un'occasione quanto mai opportuna per riflettere sulla misericordia che Dio Padre, mediante l'opera dello Spirito Santo, ha offerto in Cristo a tutta l'umanità. Il Grande Giubileo è "annuncio di salvezza", che va fatto risuonare in ogni angolo della terra, affinché chi l'ha udito ne divenga a sua volta testimone e se ne faccia strumento per la salvezza di ogni persona. Siamo tutti chiamati ad aprire gli occhi dinanzi alle necessità delle numerose pecore senza pastore (cfr Mc 6, 34), per metterci al loro servizio, al fine di far conoscere loro il nome del Signore, perché, confessandolo, anch'esse abbiano parte alla salvezza (cfr Rm 10,9).

3. Voglio qui ricordare in modo particolare quanti, uomini e donne, dedicandosi "ad vitam" alla missione "ad gentes", hanno fatto di questa attività la ragion d'essere della propria esistenza. Essi sono un esempio incomparabile di dedizione alla causa della diffusione del Vangelo. Ringrazio e benedico di cuore coloro che, in forme tanto discrete quanto efficaci, si impegnano nel lavoro dell'animazione e della cooperazione missionaria. Sono in tanti. Ai sacerdoti, alle consacrate ed ai consacrati si uniscono numerosi laici, individualmente o come famiglia, desiderosi di dedicare alla missione alcuni anni della loro vita o, addirittura, l'intera loro esistenza. Non poche volte essi proclamano la Buona Novella e manifestano la loro fede in ambienti ostili o indifferenti. Portate loro, carissimi Fratelli e Sorelle, la mia riconoscenza ed il mio incoraggiamento a continuare generosamente questo vigoroso impegno missionario. Dio, che non si lascia vincere in generosità, li saprà ricompensare.

La recente commemorazione dei Testimoni della Fede del ventesimo secolo, celebrata la scorsa Domenica nel Colosseo, ci ricorda che non di rado, per la missione, la prova suprema è il dono della vita fino alla morte. "Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunciatori ed i testimoni per eccellenza" (Lett. enc. Redemptoris missio, 45).

Nel rendere grazie a Dio per questi nostri fratelli e sorelle nella fede, preghiamo perché il lavoro missionario della Chiesa sia sempre animato da grande generosità.

[Papa Giovanni Paolo II, discorso all’assemblea delle Pontificie Opere Missionarie 11 maggio 2000]

Rinnovarsi richiede conversione, richiede di vivere la missione come opportunità permanente di annunciare Cristo, di farlo incontrare testimoniando e rendendo gli altri partecipi del nostro incontro personale con Lui. Auspico che la vostra assistenza spirituale e materiale alle Chiese le renda sempre più fondate sul Vangelo e sul coinvolgimento battesimale di tutti i fedeli, laici e chierici, nell’unica missione della Chiesa: renda l’amore di Dio prossimo ad ogni uomo, specialmente ai più bisognosi della sua misericordia. Il Mese straordinario di preghiera e riflessione sulla missione come prima evangelizzazione servirà a questo rinnovamento della fede ecclesiale, affinché al suo cuore stia e operi sempre la Pasqua di Gesù Cristo, unico Salvatore, Signore e Sposo della sua Chiesa.

La preparazione di questo tempo straordinario dedicato al primo annuncio del Vangelo ci aiuti ad essere sempre più Chiesa in missione, secondo le parole del Beato Paolo VI, nella sua Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, magna carta dell’impegno missionario post-conciliare. Scriveva Papa Montini: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare sé stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità di amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare le grandi opere di Dio (cfr At 2,11; 1 Pt 2,9), che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita da Lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno di essere evangelizzata, se vuol conservare la freschezza, lo slancio e la forza, per annunziare il Vangelo» (n. 15).

[Papa Francesco, discorso all’assemblea delle Pontificie Opere Missionarie 3 giugno 2017]

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"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]
Who is freer than the One who is the Almighty? He did not, however, live his freedom as an arbitrary power or as domination (Pope Benedict)
Chi è libero più di Lui che è l'Onnipotente? Egli però non ha vissuto la sua libertà come arbitrio o come dominio (Papa Benedetto)
The Church with her permanent contradiction: between the ideal and reality, the more annoying contradiction, the more the ideal is affirmed sublime, evangelical, sacred, divine, and the reality is often petty, narrow, defective, sometimes even selfish (Pope Paul VI)
La Chiesa con la sua permanente contraddizione: tra l’ideale e la realtà, tanto più fastidiosa contraddizione, quanto più l’ideale è affermato sublime, evangelico, sacro, divino, e la realtà si presenta spesso meschina, angusta, difettosa, alcune volte perfino egoista (Papa Paolo VI)
St Augustine wrote in this regard: “as, therefore, there is in the Catholic — meaning the Church — something which is not Catholic, so there may be something which is Catholic outside the Catholic Church” [Pope Benedict]
Sant’Agostino scrive a proposito: «Come nella Cattolica – cioè nella Chiesa – si può trovare ciò che non è cattolico, così fuori della Cattolica può esservi qualcosa di cattolico» [Papa Benedetto]

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