don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Giovedì, 13 Febbraio 2025 05:59

Non abbiate paura di andare controcorrente

Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che, in cammino verso Cesarea di Filippo, interroga i discepoli: «La gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Essi rispondono quello che diceva la gente: alcuni lo ritengono Giovanni Battista redivivo, altri Elia o uno dei grandi Profeti. La gente apprezzava Gesù, lo considerava un “mandato da Dio”, ma non riusciva ancora a riconoscerlo come il Messia, quel Messia preannunciato ed atteso da tutti. Gesù guarda gli apostoli e domanda ancora: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29). Ecco la domanda più importante, con cui Gesù si rivolge direttamente a quelli che lo hanno seguito, per verificare la loro fede. Pietro, a nome di tutti, esclama con schiettezza: «Tu sei il Cristo» (v. 29). Gesù rimane colpito dalla fede di Pietro, riconosce che essa è frutto di una grazia, di una grazia speciale di Dio Padre. E allora rivela apertamente ai discepoli quello che lo attende a Gerusalemme, cioè che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto … venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (v. 31).

Sentito questo, lo stesso Pietro, che ha appena professato la sua fede in Gesù come Messia, è scandalizzato. Prende in disparte il Maestro e lo rimprovera. E come reagisce Gesù? A sua volta rimprovera Pietro per questo, con parole molto severe: «Va’ dietro a me, Satana!” - gli dice Satana! - “Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33). Gesù si accorge che in Pietro, come negli altri discepoli - anche in ciascuno di noi! - alla grazia del Padre si oppone la tentazione del Maligno, che vuole distoglierci dalla volontà di Dio. Annunciando che dovrà soffrire ed essere messo a morte per poi risorgere, Gesù vuol far comprendere a coloro che lo seguono che Lui è un Messia umile e servitore. È il Servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio completo della propria vita. Per questo, rivolgendosi a tutta la folla che era lì, dichiara che chi vuole essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto servo, e avverte: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 35).

Mettersi alla sequela di Gesù significa prendere la propria croce - tutti l’abbiamo… - per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato. Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio “io” e i propri interessi al centro dell’esistenza: questo non è ciò che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la propria vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica. Siamo certi, grazie a Gesù, che questa strada conduce alla fine alla risurrezione, alla vita piena e definitiva con Dio. Decidere di seguire Lui, il nostro Maestro e Signore che si è fatto Servo di tutti, esige di camminare dietro a Lui e di ascoltarlo attentamente nella sua Parola – ricordatevi: leggere tutti i giorni un passo del Vangelo – e nei Sacramenti.

Ci sono giovani qui in piazza: ragazzi e ragazze. Io vi domando: avete sentito la voglia di seguire Gesù più da vicino? Pensate. Pregate. E lasciate che il Signore vi parli.

La Vergine Maria, che ha seguito Gesù fino al Calvario, ci aiuti a purificare sempre la nostra fede da false immagini di Dio, per aderire pienamente a Cristo e al suo Vangelo.

[Papa Francesco, Angelus 13 settembre 2015]

 

Nel Vangelo […] risuona una delle parole più incisive di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24).

Qui c’è una sintesi del messaggio di Cristo, ed è espressa con un paradosso molto efficace, che ci fa conoscere il suo modo di parlare, quasi ci fa sentire la sua voce… Ma che cosa significa “perdere la vita per causa di Gesù”? Questo può avvenire in due modi: esplicitamente confessando la fede o implicitamente difendendo la verità. I martiri sono l’esempio massimo del perdere la vita per Cristo. In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E oggi, in tante parti del mondo, ci sono tanti, tanti, - più che nei primi secoli – tanti martiri, che danno la propria vita per Cristo, che sono portati alla morte per non rinnegare Gesù Cristo. Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli! Ma c’è anche il martirio quotidiano, che non comporta la morte ma anch’esso è un “perdere la vita” per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Pensiamo: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questi! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani… Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità!

E poi ci sono tante persone, cristiani e non cristiani, che “perdono la propria vita” per la verità. E Cristo ha detto “io sono la verità”, quindi chi serve la verità serve Cristo. Una di queste persone, che ha dato la vita per la verità, è Giovanni il Battista: proprio domani, 24 giugno, è la sua festa grande, la solennità della sua nascita. Giovanni è stato scelto da Dio per preparare la via davanti a Gesù, e lo ha indicato al popolo d’Israele come il Messia, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29). Giovanni ha consacrato tutto se stesso a Dio e al suo inviato, Gesù. Ma, alla fine, cosa è successo? E’ morto per la causa della verità, quando ha denunciato l’adulterio del re Erode e di Erodiade. Quante persone pagano a caro prezzo l’impegno per la verità! Quanti uomini retti preferiscono andare controcorrente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità! Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi, non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, valori come il pasto andato a male e quando un pasto è andato a male, ci fa male; questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!

Cari amici, accogliamo con gioia questa parola di Gesù. E’ una regola di vita proposta a tutti. E san Giovanni Battista ci aiuti a metterla in pratica. Su questa via ci precede, come sempre, la nostra Madre, Maria Santissima: lei ha perduto la sua vita per Gesù, fino alla Croce, e l’ha ricevuta in pienezza, con tutta la luce e la bellezza della Risurrezione. Ci aiuti Maria a fare sempre più nostra la logica del Vangelo.

[Papa Francesco, Angelus 23 giugno 2013]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 05:17

La vita agiata e non

Il Dio vero, la natura, e l’uomo autentico

(Mc 8,27-33)

 

Gesù guida i suoi intimi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale, affinché si distacchino dal loro stesso fortino.

Il territorio di Cesarea di Filippo era incantevole, celebre per fertilità e pascoli rigogliosi - zona famosa per la fecondità di greggi e armenti.

Quella sorta di paradiso terrestre alle sorgenti del Giordano, tanto era umanamente attraente che Alessandro Magno la ritenne dimora del dio Pan e delle Ninfe.

Anche i discepoli erano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. E il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana proponeva.

 

Mossa da curiosità e desiderosa di realizzazione temporale, la turba di gente stupefatta intorno al Figlio di Dio creava un gran rumore, solo apparente.

Ora c’è una svolta: l’atmosfera cambia, aumenta l’opposizione e si accumulano interrogativi; la folla va diradandosi e il Maestro si ritrova sempre più solo.

Mentre gli dèi mostravano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che ammaliava tutti - il Signore cosa offre?

Insomma, gli apostoli continuavano a essere influenzati dalla propaganda del governo politico e religioso, che assicurava benessere.

Gesù li “istruisce”, affinché potessero superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce, dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

 

Il Figlio di Dio non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè… con lo zelo di Elia.

Su tale questione, nelle prime comunità cristiane erano vive le distanze col paganesimo, ma si registravano anche particolari contrapposizioni col mondo delle sinagoghe.

Attriti di non poco conto erano quelli che sorgevano tra giudei convertiti al Signore e semiti osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

In tutti si constatava una scarsa capacità di comprensione. E difficoltà di saper abbracciare la nuova proposta, che sembrava non garantisse gloria, né traguardi materiali.

 

La Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è sconcertante per le vedute ovvie e le sue pulsioni.

Così nel passo di Vangelo il Maestro contraddice lo stesso Pietro, la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» [v.29: «quel»] Messia atteso.

Il capo degli apostoli deve smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» (v.33) a lui!

Simone può ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare strade, sequestrando Dio in nome di Dio…

Da ciò il ‘segreto messianico’ imposto a chi lo predica in quel modo equivoco (v.30).

Il «Figlio dell’uomo» (v.31) non ci assicura successo mondano, né assenza di conflitti. Solo garantisce libertà da ogni vincolo col potere, e Amore che rigenera.

 

 

[Giovedì 6.a sett. T.O.  20 febbraio 2025]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 05:13

È Cristo il vero Tesoro

Dapprima chiese loro: "La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?". Essi gli risposero che per alcuni del popolo Egli era Giovanni Battista redivivo, per altri Elia, Geremia o qualcuno dei profeti. Allora il Signore interpellò direttamente i Dodici: "Voi chi dite che io sia?". A nome di tutti, con slancio e decisione fu Pietro a prendere la parola: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Solenne professione di fede, che da allora la Chiesa continua a ripetere. Anche noi quest’oggi vogliamo proclamare con intima convinzione: Sì, Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! Lo facciamo con la consapevolezza che è Cristo il vero "tesoro" per il quale vale la pena di sacrificare tutto; Lui è l’amico che mai ci abbandona, perché conosce le attese più intime del nostro cuore. Gesù è il "Figlio del Dio vivente", il Messia promesso, venuto sulla terra per offrire all’umanità la salvezza e per soddisfare la sete di vita e di amore che abita in ogni essere umano. Quale vantaggio avrebbe l’umanità accogliendo quest’annuncio che porta con sé la gioia e la pace!

[Papa Benedetto, Angelus 24 agosto 2008]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 05:09

Professione di Fede e vita

2. Gesù aveva già chiesto al gruppo dei dodici Apostoli una professione di fede nella sua persona. Presso Cesarea di Filippo, dopo aver interrogato i discepoli sui pareri espressi dalla gente circa la sua identità, egli domanda: "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15). La risposta viene da Simone: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (16,16).

Immediatamente Gesù conferma il valore di questa professione di fede, sottolineando che essa non procede semplicemente da un pensiero umano, ma da un'ispirazione celeste: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17). Queste espressioni di forte colore semitico designano la rivelazione totale, assoluta e suprema: quella che si riferisce alla persona del Cristo Figlio di Dio.

La professione di fede fatta da Pietro rimarrà espressione definitiva dell'identità di Cristo. Marco ne riprende i termini per introdurre il suo Vangelo (cfr Mc 1,1), Giovanni vi fa riferimento alla conclusione del suo, affermando di averlo scritto perché si creda "che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio", e perché, credendo, si possa avere la vita nel suo nome (cfr Gv 20,31).

3. In che cosa consiste la fede? La Costituzione Dei Verbum spiega che con essa "l'uomo si abbandona a Dio tutt'intero liberamente, prestandogli 'il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà' e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui" (n. 5). La fede non è, dunque, solo adesione dell'intelligenza alla verità rivelata, ma anche ossequio della volontà e dono di sé a Dio che si rivela. E' un atteggiamento che impegna l'intera esistenza.

Il Concilio ricorda ancora che per la fede sono necessari "la grazia di Dio, che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità" (ibid.). Si vede così come la fede, da una parte, fa accogliere la verità contenuta nella Rivelazione e proposta dal magistero di coloro che, come Pastori del Popolo di Dio, hanno ricevuto un "carisma certo di verità" (Dei Verbum, 8). D'altra parte, la fede spinge anche ad una vera e profonda coerenza, che deve esprimersi in tutti gli aspetti di una vita modellata su quella di Cristo.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 marzo 1998]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 04:41

Non gli interessano i sondaggi, né le chiacchiere

Nel brano evangelico di oggi (cfr Mc 8,27-35), ritorna la domanda che attraversa tutto il Vangelo di Marco: chi è Gesù? Ma questa volta è Gesù stesso che la pone ai discepoli, aiutandoli gradualmente ad affrontare l’interrogativo sulla sua identità. Prima di interpellare direttamente loro, i Dodici, Gesù vuole sentire da loro che cosa pensa di Lui la gente – e sa bene che i discepoli sono molto sensibili alla popolarità del Maestro! Perciò domanda: «La gente, chi dice che io sia?» (v. 27). Ne emerge che Gesù è considerato dal popolo un grande profeta. Ma, in realtà, a Lui non interessano i sondaggi e le chiacchiere della gente. Egli non accetta nemmeno che i suoi discepoli rispondano alle sue domande con formule preconfezionate, citando personaggi famosi della Sacra Scrittura, perché una fede che si riduce alle formule è una fede miope.

Il Signore vuole che i suoi discepoli di ieri e di oggi instaurino con Lui una relazione personale, e così lo accolgano al centro della loro vita. Per questo li sprona a porsi in tutta verità di fronte a sé stessi, e chiede: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29). Gesù, oggi, rivolge questa richiesta così diretta e confidenziale a ciascuno di noi: “Tu, chi dici che io sia? Voi, chi dite che io sia? Chi sono io per te?”. Ognuno è chiamato a rispondere, nel proprio cuore, lasciandosi illuminare dalla luce che il Padre ci dà per conoscere il suo Figlio Gesù. E può accadere anche a noi, come a Pietro, di affermare con entusiasmo: «Tu sei il Cristo». Quando però Gesù ci dice chiaramente quello che disse ai discepoli, cioè che la sua missione si compie non nella strada larga del successo, ma nel sentiero arduo del Servo sofferente, umiliato, rifiutato e crocifisso, allora può capitare anche a noi, come a Pietro, di protestare e ribellarci perché questo contrasta con le nostre attese, con le attese mondane. In quei momenti, anche noi meritiamo il salutare rimprovero di Gesù: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33).

Fratelli e sorelle, la professione di fede in Gesù Cristo non può fermarsi alle parole, ma chiede di essere autenticata da scelte e gesti concreti, da una vita improntata all’amore di Dio, di una vita grande, di una vita con tanto amore per il prossimo. Gesù ci dice che per seguire Lui, per essere suoi discepoli, bisogna rinnegare sé stessi (cfr v. 34), cioè le pretese del proprio orgoglio egoistico, e prendere la propria croce. Poi dà a tutti una regola fondamentale. E qual è questa regola? «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Spesso nella vita, per tanti motivi, sbagliamo strada, cercando la felicità solo nelle cose, o nelle persone che trattiamo come cose. Ma la felicità la troviamo soltanto quando l’amore, quello vero, ci incontra, ci sorprende, ci cambia. L’amore cambia tutto! E l’amore può cambiare anche noi, ognuno di noi. Lo dimostrano le testimonianze dei santi.

La Vergine Maria, che ha vissuto la sua fede seguendo fedelmente il suo Figlio Gesù, aiuti anche noi a camminare nella sua strada, spendendo generosamente la nostra vita per Lui e per i fratelli.

[Papa Francesco, Angelus 16 settembre 2018]

(Mc 8,22-26)

 

In questa sezione di Mc è descritta l’iniziazione della Fede; in filigrana, l’istradamento alla relazione con Cristo che ci toglie le difficoltà di ‘vista’ - e i passi tipici delle prime liturgie battesimali.

Il contesto generale del brano fa comprendere che l’episodio prelude una lunga istruzione di Gesù.

Egli per tre volte annuncia la sua Passione a Pietro e ai discepoli, riottosi nell’impegno della Croce.

Quando Mc scrive, la situazione delle comunità non era facile. Si sperimentava molta sofferenza: non risultava così semplice comprendere tante pene.

Nel 64 Nerone decretò la prima grande persecuzione, che produsse molte vittime fra i credenti.

L’anno successivo era scoppiata la rivolta giudaica, che aveva fatto scattare la riconquista sanguinosa della Palestina a partire dalla Galilea. Nel frattempo, a Roma i torbidi della sanguinosa guerra civile (68-69) stavano sgretolando l’idea dell’età dell’oro e recando piuttosto molte angustie.

Infine la città santa, Gerusalemme, veniva rasa al suolo (70). E malgrado Tito fosse tornato a Roma, la guerra si stava protraendo in altri focolai, sino alla caduta di Masada (74).

 

In tale quadro, fuori dalla Palestina sorgevano forti tensioni tra giudei convertiti a Cristo e giudei osservanti, e la maggiore difficoltà era sulla interpretazione della Croce di Gesù.

Per i tradizionalisti - e in un primo tempo per gli stessi apostoli - uno sconfitto e umiliato non poteva essere il Messia atteso.

La stessa Torah affermava che tutti i crocifissi dovevano essere considerati persone maledette da Dio [cf. Dt 21,22-23: «l’appeso è una maledizione di Dio»].

Proprio in detto contesto, Mc sembra alludere che… i veri ciechi sono Pietro e gli apostoli stessi, condizionati dalla propaganda del Messia Re glorioso; nonché i giudaizzanti.

Tutti volevano un Gesù trionfatore. Erano come non-vedenti che non capivano nulla, se non la propaganda facile e appariscente - nonché il mondo organizzato sulla base dell’egoismo.

Per guarire la cecità dei suoi dirigenti o dei semplici membri di comunità ancora incertissimi, il Signore doveva condurli «fuori dal villaggio» - luogo delle solite, antiche credenze illusorie.

E doveva proibire ai suoi intimi di rientrarvi: lì nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere il valore del dono di sé nella vita ordinaria o nella convivenza di assemblea, testimonianze di Dio (vv.23.26).

 

Lo stesso del «cieco di Betsaida» è capitato anche a noi: solo quando il rapporto si è interiorizzato e consolidato, siamo passati dai barlumi a una maggiore chiarezza, imparando a capire persone, tematiche, realtà.

Per essere infine ‘illuminati’ abbiamo dovuto accettare che il dono di Dio venisse introdotto attraverso l'identità di vita nel Figlio.

Il Signore ci ha sanato lo sguardo, facendoci crescere nel tempo. Un “portento” che si è fatto recupero anche naturale.

Prospettiva che ha suscitato la decisione e l’azione, che ora si misurano perfino con cose grandi. A partire da un punto di osservazione nuovo, colmo di Speranza.

Ciò vale anche nella percezione dei disagi, che via via rigenerano l’essere - perché stenti e inquietudini sono semplici voci di un’energia che vuole allontanare nebbie e zavorre, e farci fiorire altrimenti.

Ecco gli accadimenti-testimonianza della Venuta del Messia nella nostra vita.

Eventi e immagini intime - guida - che i Vangeli non inquadrano in una cornice cristologica o ecclesiologica trionfalistica, bensì quasi sommaria e dai tratti spontanei; umanissima e relazionale.

Per dire che la persona nuova è forse ancora immersa nell’ombra, ma via via pone sullo sfondo l’uomo vecchio.

E nella metamorfosi del suo sguardo prospettico, in Cristo avvicina la persona futura.

 

 

[Mercoledì 6.a sett. T.O. 19 febbraio 2025]

(Mc 8,22-26)

 

L’enciclica Fratelli Tutti invita a uno sguardo prospettico, che suscita la decisione e l’azione: un occhio nuovo, colmo di Speranza.

Essa «ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive. Ci parla di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore. [...] La speranza è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa» [n.55; da un Saluto ai giovani de L’Avana, settembre 2015].

 

In questa sezione di Mc è descritta l’iniziazione della Fede; in filigrana, l’istradamento alla relazione con Cristo che ci toglie le difficoltà di “vista”, e i passi tipici delle prime liturgie battesimali.

Il contesto generale del brano fa comprendere che l’episodio prelude una lunga istruzione di Gesù.

Egli per tre volte annuncia la sua Passione a Pietro e ai discepoli, riottosi nell’impegno della Croce.

Il Maestro insiste - non per rincarare la dose e logorare i suoi intimi.

[Come anche riconosce il Tao Tê Ching (xxxiii): «Ha vita perenne ciò che muore però non perisce»].

 

Quando Mc scrive, la situazione delle comunità non era facile. Si sperimentava molta sofferenza: non risultava così semplice comprendere tante pene.

Nel 64 Nerone decretò la prima grande persecuzione, che produsse molte vittime fra i credenti.

L’anno successivo scoppiava la rivolta giudaica, che aveva fatto scattare la riconquista sanguinosa della Palestina a partire dalla Galilea.

Nel frattempo, a Roma i torbidi della sanguinosa guerra civile (68-69) stavano sgretolando l’idea dell’età dell’oro e recando piuttosto molte angustie.

Infine la città santa, Gerusalemme, veniva rasa al suolo (70).

E malgrado Tito fosse tornato a Roma, la guerra si stava protraendo in altri focolai, sino alla caduta di Masada (74).

 

In tale quadro, fuori dalla Palestina sorgevano forti tensioni tra giudei convertiti al Signore e giudei osservanti, e la maggiore difficoltà era sulla interpretazione della Croce di Gesù.

Per i tradizionalisti - e in un primo tempo per gli stessi apostoli - uno sconfitto e umiliato non poteva essere il Messia atteso.

La stessa Torah affermava che tutti i crocifissi dovevano essere considerati “maledetti da Dio” [cf. Dt 21,22-23: «l’appeso è una maledizione di Dio»].

 

Proprio in detto contesto, Mc sembra alludere che… i veri ciechi sono Pietro e gli apostoli stessi, condizionati dalla propaganda del Messia Re glorioso, nonché i giudaizzanti.

Tutti volevano un Monarca trionfatore. Ma erano come non-vedenti che non capivano nulla, se non la propaganda facile e appariscente - nonché il mondo organizzato sulla base dell’egoismo.

Per guarire la cecità dei suoi “dirigenti” o dei semplici membri di comunità ancora incertissimi, il Figlio doveva condurli «fuori dal villaggio» - luogo delle solite, antiche credenze illusorie.

E proibire ai suoi intimi di rientrarvi: lì nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere il valore del dono di sé nella vita ordinaria o nella convivenza di assemblea, testimonianze di Dio (vv.23.26).

 

Sin dalle origini l’avviamento alla Fede comprendeva rito e Parola nuova.

Quest’ultima rivelava appieno il significato delle prime liturgie - protese verso una trasformazione che toccasse in concreto tutto l’uomo.

Erano coinvolti mente e cuore, spirito e sensi, individuo e comunità - per una visione chiara del senso della vita.

Nella lingua del Primo Testamento, Parola ed evento attivo si esprimono in un solo termine: «Dabar».

Qui visione e ascolto coincidono in un solo processo di percezione, assimilazione, interiorizzazione e sintonia, quindi azione.

Tutto in Cristo e in noi si offre ai sensi e all’intelligenza.

Pare appunto di vedere un catecumeno che viene - come si diceva - «illuminato», ossia strappato dal disorientamento d’una vita paganeggiante.

Il candidato era introdotto nella nuova solarità della Fede: progressivamente “iniziato” alla Persona di Cristo, alle esigenze della Comunione e della Missione.

 

Lo stesso del «cieco di Betsaida» è capitato pressoché a tutti.

Lanciati i primi contatti informali con Gesù, anche noi abbiamo esordito percependo qualcosa, forse in modo dapprima confuso…

Come da bambini, tracciavamo “disegni” - e sulle prime non sapevamo ben delineare le differenze, neppure i profili di massima dei volumi circostanti.

Solo quando il rapporto si è interiorizzato e consolidato siamo passati dai barlumi a una maggiore chiarezza, imparando a capire persone, tematiche, realtà.

È stato e continua ad essere un “prodigio” tutto da assimilare, che si adatta poco a poco al corso naturale.

Ciò sebbene non si limiti a un aggiornamento di formule culturali, ma giunga infine a “compromettere” il testimone.

Un «segno» (direbbe Gv) di realtà maggiori, un segnale di cose mirabili - se vogliamo.

Un’opera potente, ma che si dispiega in un processo evolutivo di conoscenza di sé e degli altri, di apprendimento esistenziale, e fioritura nelle facoltà.

[Non si parla di scienza infusa; né di «mirabilia Dei» in senso antico, ossia d’una meraviglia vistosamente immediata. Come fosse un’impresa incredibile, eccezionale, irripetibile, clamorosa (e fortuita - o estremamente difficoltosa e stentata). Per convincere solo qualcuno e in modo perentorio].

 

Elemento di Rivelazione essenziale delle sacre Scritture - comparate ad altri testi religiosi del mondo antico - è il cosmo demitizzato, a misura umana.

I problemi sono ricondotti alla dialettica della nostra scelta fra morte e vita, nonché alla capacità di accogliere una Vocazione nella Vocazione.

Passaggi e metamorfosi servono a non pietrificare la vita. Partoriscono novità provvidenziali alla donna e all’uomo, alla storia e sensibilità.

Aprendo lo sguardo, sgretoliamo convincimenti inutili; spalanchiamo l’attitudine all’ascolto del rinnovamento proposto.

Anzi, vedere ciò che prima non si era mai notato fa parte del processo che conduce dall’oscurità alla Fede.

Per essere infine illuminati abbiamo dovuto accettare che il dono di Dio venisse introdotto attraverso l'identità di vita nel Figlio, che spinge ad altre nascite.

Il Signore ha sanato lo sguardo facendoci crescere nel tempo. Un “portento” che si è fatto recupero anche naturale.

 

Il contatto col Signore che apre gli occhi e fa scrutare sempre meglio avviene a tappe - un evento scaturigine non puntuale; espresso anche attraverso il linguaggio tattile dei Sacramenti.

E passo passo Egli lascia che avanziamo nell’acutezza dell’intuizione, nella comprensione del mondo circostante.

Prospettiva che ha suscitato la decisione e l’azione, che ora si misurano perfino con cose grandi. A partire da un punto di osservazione nuovo, colmo di Speranza.

Ciò vale anche nella percezione dei disagi, che via via rigenerano l’essere - perché stenti e inquietudini sono semplici voci di un’energia che vuole allontanare nebbie e zavorre, e farci fiorire altrimenti.

 

Ecco gli accadimenti-testimonianza della Venuta del Messia nella nostra vita.

Eventi e immagini intime guida, che i Vangeli non inquadrano in una cornice cristologica o ecclesiologica trionfalistica, bensì quasi sommaria e dai tratti spontanei - umanissima e relazionale.

Per dire che la persona nuova è forse ancora immersa nell’ombra, ma via via pone sullo sfondo l’uomo vecchio.

E nella metamorfosi del suo sguardo prospettico, in Cristo avvicina la persona futura.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quale acume di vista ti ha concesso la Persona di Cristo? Quale icona intima e coinvolgente?

Quale salto di relazioni, in termini di umanizzazione?

Martedì, 11 Febbraio 2025 04:18

Continua Conformazione

Anche noi a causa del peccato di Adamo siamo nati “ciechi”, ma nel fonte battesimale siamo stati illuminati dalla grazia di Cristo. Il peccato aveva ferito l’umanità destinandola all’oscurità della morte, ma in Cristo risplende la novità della vita e la meta alla quale siamo chiamati. In Lui, rinvigoriti dallo Spirito Santo, riceviamo la forza per vincere il male e operare il bene. Infatti la vita cristiana è una continua conformazione a Cristo, immagine dell’uomo nuovo, per giungere alla piena comunione con Dio. Il Signore Gesù è “la luce del mondo” (Gv 8,12), perché in Lui “risplende la conoscenza della gloria di Dio” (2 Cor 4,6) che continua a rivelare nella complessa trama della storia quale sia il senso dell’esistenza umana. Nel rito del Battesimo, la consegna della candela, accesa al grande cero pasquale simbolo di Cristo Risorto, è un segno che aiuta a cogliere ciò che avviene nel Sacramento. Quando la nostra vita si lascia illuminare dal mistero di Cristo, sperimenta la gioia di essere liberata da tutto ciò che ne minaccia la piena realizzazione.

[Papa Benedetto, Angelus 3 aprile 2011]

Cari pellegrini.

Voi siete lieti di trovarvi riuniti nella casa del Papa. E anch’io sono molto lieto di accogliervi. Insieme, noi stiamo vivendo alcuni momenti “cuore a cuore”, come all’Arca di Trosly-Breuil, come nelle 67 Arche del mondo. Voi tutti che avete alcune limitazioni nella salute o che circondate con tanta delicatezza questi giovani affetti da handicap, avete un posto prioritario nel mio cuore di Pastore universale. Non è così che Gesù si comportava? Non è così che genitori ed educatori qui presenti si comportano?

Per alcuni istanti voglio raccogliermi con voi e contemplare Gesù insieme a voi. Leggendo attentamente il Vangelo, noi siamo - quasi ad ogni pagina - meravigliati dall’atteggiamento del Signore nel suo rapportarsi alle persone. Egli ha una maniera unica - possiede, direi, il segreto - di avvicinarsi alle persone o di lasciarle venire a lui. Una maniera unica di dialogare con loro ascoltandole e facendole esprimere. Una maniera unica di liberarle o di iniziare a liberarle dalle loro miserie: le apre progressivamente ad altro che a loro stesse, ad altre realtà valide. Si direbbe: Gesù le libera attraverso una progressiva decentrazione da loro stesse.

Perciò, come voi nelle comunità dell’Arca, Gesù utilizza con rispetto e delicatezza le risorse umane della vicinanza, dello sguardo, dei gesti, del silenzio, del dialogo. Voi potete anche - in questa prospettiva di meditazione - esaminare a lungo i suoi incontri con i primi apostoli, con Nicodemo, gli invitati alle nozze di Cana, la Samaritana, Zaccheo, il centurione romano, il cieco di Betsaida o quello della piscina di Siloe, Marta e Maria di Betania, i discepoli di Emmaus, Tommaso, l’apostolo incredulo . . .

Il rapporto di Gesù con i suoi compatrioti manifesta in altissimo grado il suo senso della dignità, del valore sacro di ogni persona.

Voi siete persuasi della ricchezza inaudita di questa rivelazione, che non può essere che divina. ma sappiamo, purtroppo, che troppi uomini e troppi responsabili dei popoli la dimenticano. le vostre arche sono e possono essere, ancor più, una serena e vigorosa dimostrazione di rispetto sacro, di attenzione paziente, di promozione umana possibile, in favore di bambini e di adolescenti limitati fin dalla nascita da diversi handicap. voi contribuite, senza far rumore, alla “civiltà dell’amore”.

Di tutto cuore, vi incoraggio a proseguire il vostro lavoro educativo e di ispirazione evangelica, svolto in modo originale e comunitario, nella 67 Arche diffuse in diversi continenti. Immagino che questa vita comunitaria non sia senza problemi. Risolverli una volta per tutte richiederà del tempo. Ma ciò che conta è vivere con i vostri problemi, rinnovando e affermando ogni giorno la vostra volontà, la vostra scelta di rispetto, di ascolto, di tenerezza, di perdono, di cooperazione, di speranza, di gioia. In verità, questo comportamento attenua i problemi, creando un clima di apertura di spirito e di cuore tra coloro che hanno degli handicap e favorendo la crescita della personalità degli adulti dediti anima e corpo al loro servizio.

Invoco con fervore sul gruppo che ho la gioia di ricevere, ma anche su tutte le Arche del mondo, sui loro membri e sui loro responsabili, e sul loro fondatore, monsignor Jean Vanier, rinnovate grazie di luce e di forza divina.

[Papa Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità Arche 16 febbraio 1984]

Martedì, 11 Febbraio 2025 04:09

Dona la vista

Il Vangelo odierno ci presenta l’episodio dell’uomo cieco dalla nascita, al quale Gesù dona la vista. Il lungo racconto si apre con un cieco che comincia a vedere e si chiude – è curioso questo - con dei presunti vedenti che continuano a rimanere ciechi nell’anima. Il miracolo è narrato da Giovanni in appena due versetti, perché l’evangelista vuole attirare l’attenzione non sul miracolo in sé, ma su quello che succede dopo, sulle discussioni che suscita; anche sulle chiacchiere, tante volte un’opera buona, un’opera di carità suscita chiacchiere e discussioni, perché ci sono alcuni che non vogliono vedere la verità. L’evangelista Giovanni vuol attirare l’attenzione su questo che accade anche ai nostri giorni quando si fa un’opera buona. Il cieco guarito viene prima interrogato dalla folla stupita – hanno visto il miracolo e lo interrogano -, poi dai dottori della legge; e questi interrogano anche i suoi genitori. Alla fine il cieco guarito approda alla fede, e questa è la grazia più grande che gli viene fatta da Gesù: non solo di vedere, ma di conoscere Lui, vedere Lui come «la luce del mondo» (Gv 9,5).

Mentre il cieco si avvicina gradualmente alla luce, i dottori della legge al contrario sprofondano sempre più nella loro cecità interiore. Chiusi nella loro presunzione, credono di avere già la luce; per questo non si aprono alla verità di Gesù. Essi fanno di tutto per negare l’evidenza. Mettono in dubbio l’identità dell’uomo guarito; poi negano l’azione di Dio nella guarigione, prendendo come scusa che Dio non agisce di sabato; giungono persino a dubitare che quell’uomo fosse nato cieco. La loro chiusura alla luce diventa aggressiva e sfocia nell’espulsione dal tempio dell’uomo guarito.

Il cammino del cieco invece è un percorso a tappe, che parte dalla conoscenza del nome di Gesù. Non conosce altro di Lui; infatti dice: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi» (v. 11). A seguito delle incalzanti domande dei dottori della legge, lo considera dapprima un profeta (v. 17) e poi un uomo vicino a Dio (v. 31). Dopo che è stato allontanato dal tempio, escluso dalla società, Gesù lo trova di nuovo e gli “apre gli occhi” per la seconda volta, rivelandogli la propria identità: «Io sono il Messia», così gli dice. A questo punto colui che era stato cieco esclama: «Credo, Signore!» (v. 38), e si prostra davanti a Gesù. Questo è un brano del Vangelo che fa vedere il dramma della cecità interiore di tanta gente, anche la nostra perché noi alcune volte abbiamo momenti di cecità interiore.

La nostra vita a volte è simile a quella del cieco che si è aperto alla luce, che si è aperto a Dio, che si è aperto alla sua grazia. A volte purtroppo è un po’ come quella dei dottori della legge: dall’alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il Signore! Oggi, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per portare frutto nella nostra vita, per eliminare i comportamenti che non sono cristiani; tutti noi siamo cristiani, ma tutti noi, tutti, alcune volte abbiamo comportamenti non cristiani, comportamenti che sono peccati. Dobbiamo pentirci di questo, eliminare questi comportamenti per camminare decisamente sulla via della santità. Essa ha la sua origine nel Battesimo. Anche noi infatti siamo stati “illuminati” da Cristo nel Battesimo, affinché, come ci ricorda san Paolo, possiamo comportarci come «figli della luce» (Ef 5,8), con umiltà, pazienza, misericordia. Questi dottori della legge non avevano né umiltà, né pazienza, né misericordia!

Io vi suggerisco, oggi, quando tornate a casa, prendete il Vangelo di Giovanni e leggete questo brano del capitolo 9. Vi farà bene, perché così vedrete questa strada dalla cecità alla luce e l’altra strada cattiva verso una più profonda cecità. Domandiamoci come è il nostro cuore? Ho un cuore aperto o un cuore chiuso? Aperto o chiuso verso Dio? Aperto o chiuso verso il prossimo? Sempre abbiamo in noi qualche chiusura nata dal peccato, dagli sbagli, dagli errori. Non dobbiamo avere paura! Apriamoci alla luce del Signore, Lui ci aspetta sempre per farci vedere meglio, per darci più luce, per perdonarci. Non dimentichiamo questo! Alla Vergine Maria affidiamo il cammino quaresimale, perché anche noi, come il cieco guarito, con la grazia di Cristo possiamo “venire alla luce”, andare più avanti verso la luce e rinascere a una vita nuova.

[Papa Francesco, Angelus 30 marzo 2014]

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Because of this unique understanding, Jesus can present himself as the One who reveals the Father with a knowledge that is the fruit of an intimate and mysterious reciprocity (John Paul II)
In forza di questa singolare intesa, Gesù può presentarsi come il rivelatore del Padre, con una conoscenza che è frutto di un'intima e misteriosa reciprocità (Giovanni Paolo II)
Yes, all the "miracles, wonders and signs" of Christ are in function of the revelation of him as Messiah, of him as the Son of God: of him who alone has the power to free man from sin and death. Of him who is truly the Savior of the world (John Paul II)
Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo (Giovanni Paolo II)
It is known that faith is man's response to the word of divine revelation. The miracle takes place in organic connection with this revealing word of God. It is a "sign" of his presence and of his work, a particularly intense sign (John Paul II)
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso (Giovanni Paolo II)
That was not the only time the father ran. His joy would not be complete without the presence of his other son. He then sets out to find him and invites him to join in the festivities (cf. v. 28). But the older son appeared upset by the homecoming celebration. He found his father’s joy hard to take; he did not acknowledge the return of his brother: “that son of yours”, he calls him (v. 30). For him, his brother was still lost, because he had already lost him in his heart (Pope Francis)
Ma quello non è stato l’unico momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa (cfr v. 28). Però, sembra proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello: «quel tuo figlio», dice (v. 30). Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore (Papa Francesco)
Doing a good deed almost instinctively gives rise to the desire to be esteemed and admired for the good action, in other words to gain a reward. And on the one hand this closes us in on ourselves and on the other, it brings us out of ourselves because we live oriented to what others think of us or admire in us (Pope Benedict)
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi (Papa Benedetto)
Since God has first loved us (cf. 1 Jn 4:10), love is now no longer a mere “command”; it is the response to the gift of love with which God draws near to us [Pope Benedict]
Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro [Papa Benedetto]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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