Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
1. “Io sono il pane vivo” (Gv 6, 51). Nel deserto gli Apostoli dicono a Gesù: “Congeda la folla” (cf. Lc 9, 12). Questa folla seguiva il Maestro, ascoltando le sue parole sul Regno di Dio; ma si avvicinava ormai la notte e l’ora della cena. La folla rimaneva lì nel silenzio e nell’attesa. Già un tempo nel deserto, quando era venuto a mancare il pane, i figli d’Israele si erano ribellati contro Mosè. Avevano ricevuto allora il cibo, che cadeva ogni mattina sull’accampamento, e lo avevano chiamato “manna”. Così il popolo, proveniente dalla terra di Egitto, aveva potuto continuare il cammino dalla regione della schiavitù verso la terra promessa. Ora Gesù dice agli Apostoli: “Dategli voi stessi da mangiare” (Lc 9, 13), e poiché essi non riescono a trovare alcuna soluzione, Cristo moltiplica i pani: benedice quel poco che hanno, lo spezza e lo dà ai discepoli; e questi, a loro volta, al popolo. “Tutti mangiarono e furono saziati”.
2. La moltiplicazione dei pani nel deserto è un annunzio, così come lo fu la manna Le folle seguono Gesù, quando sperimentano il suo potere sul cibo e sulla fame umana. Sono pronte perfino a proclamarlo re. Il Salmo di Davide non parla forse del dominio del Messia e del giorno del suo trionfo? “A te il principato - esso dice - nel giorno della tua potenza” (cf. Sal 110, 3). Contemporaneamente, il medesimo Salmo chiama Sacerdote il Messia regale: Egli è Sacerdote per sempre al modo di Melchisedek (cf. Sal 110,4). Melchisedek fu re e al tempo stesso Sacerdote del Dio Altissimo. A differenza dei Sacerdoti dell’Antica Alleanza, egli offerse a Dio non il sangue di animali immolati, ma pane e vino.
3. La moltiplicazione dei pani nel deserto è, per questo, un messaggio profetico: Cristo sa che Egli stesso realizzerà un giorno la profezia contenuta nel sacrificio di Melchisedek. Quale Sacerdote della Nuova Alleanza - dell’Eterna Alleanza - Gesù entrerà nel santuario eterno, dopo aver compiuto l’opera della Redenzione del mondo grazie al proprio sangue. Agli Apostoli nel cenacolo darà in sostanza, ancora una volta, lo stesso comando: “Dategli voi stessi da mangiare! - Fate questo in memoria di me!”. Esistono diverse categorie di fame, che tormentano la grande famiglia umana. C’è stata la fame che ha trasformato in cimiteri intere città e paesi. C’è stata la fame dei campi di sterminio, prodotti dai sistemi totalitari. In diverse parti del globo c’è ancor oggi la fame del terzo e del “quarto” mondo: là muoiono di fame gli uomini, le madri e i bambini, gli adulti e gli anziani. È terribile la fame dell’organismo umano, la fame che stermina. Ma esiste anche la fame dell’anima, dello spirito. L’anima umana non muore sui sentieri della storia presente. La morte dell’anima umana ha un altro carattere: essa assume la dimensione dell’eternità. È la “seconda morte” (Ap 20, 14). Moltiplicando i pani per gli affamati, Cristo ha posto il segno profetico dell’esistenza di un altro Pane: “Io sono il pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 51).
4. Ecco il grande mistero della fede. Le stesse persone per le quali il Cristo ha moltiplicato i pani, quelle che “mangiarono e si saziarono” (Lc 9, 17), non sono state, però, in grado di credere alle sue parole, quando egli ha parlato del cibo che è la sua Carne, e della bevanda che è il suo Sangue. Per questo, le medesime persone hanno chiesto in seguito la sua morte sulla Croce. Così è avvenuto. E quando tutto si è compiuto, si è svelato proprio allora il mistero dell’ultima Cena: “Questo è il mio corpo, che è per voi . . . Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1 Cor 11, 24-25). Dal cenacolo è uscito il Sacerdote “al modo di Melchisedek”. Egli cammina ora con il suo popolo attraverso la storia.
5. Tale è il contenuto che la Solennità del Corpus Domini intende esprimere, e che noi vogliamo proclamare con questa processione eucaristica per le vie di Roma, dalla Basilica del Santissimo Salvatore in Laterano alla Basilica Mariana sull’Esquilino. “Ave verum Corpus natum de Maria Virgine”. La via che percorriamo diventi un’immagine concreta delle tante altre vie della Chiesa nel mondo di oggi. Il Vescovo di Roma, servo di tutti i servi dell’Eucaristia, segue con il pensiero e con il cuore tutti coloro che oggi danno testimonianza a questo Mistero, dal nord al sud, dal sorgere del sole al suo tramonto. Dappertutto dove si trova il Popolo di Dio della Nuova Alleanza, si trova anche Lui, “il pane vivo, disceso dal cielo”.
Dappertutto. “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Corpus Domini 18 giugno 1992]
Nel Vangelo della Liturgia odierna, Gesù continua a predicare alla gente che ha visto il prodigio della moltiplicazione dei pani. E invita quelle persone a fare un salto di qualità: dopo aver rievocato la manna, con cui Dio aveva sfamato i padri nel lungo cammino attraverso il deserto, ora applica il simbolo del pane a sé stesso. Dice chiaramente: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,48).
Che cosa significa pane della vita? Per vivere c’è bisogno di pane. Chi ha fame non chiede cibi raffinati e costosi, chiede pane. Chi è senza lavoro non chiede stipendi enormi, ma il “pane” di un impiego. Gesù si rivela come il pane, cioè l’essenziale, il necessario per la vita di ogni giorno, senza di Lui la cosa non funziona. Non un pane tra tanti altri, ma il pane della vita. In altre parole, noi, senza di Lui, più che vivere, vivacchiamo: perché solo Lui ci nutre l’anima, solo Lui ci perdona da quel male che da soli non riusciamo a superare, solo Lui ci fa sentire amati anche se tutti ci deludono, solo Lui ci dà la forza di amare, solo Lui ci dà la forza di perdonare nelle difficoltà, solo Lui dà al cuore quella pace di cui va in cerca, solo Lui dà la vita per sempre quando la vita quaggiù finisce. E’ il pane essenziale della vita.
“Io sono il pane della vita”, dice. Restiamo su questa bella immagine di Gesù. Avrebbe potuto fare un ragionamento, una dimostrazione, ma – lo sappiamo – Gesù parla in parabole, e in questa espressione: “Io sono il pane della vita”, riassume veramente tutto il suo essere e tutta la sua missione. Lo si vedrà pienamente alla fine, nell’Ultima Cena. Gesù sa che il Padre gli chiede non solo di dare da mangiare alla gente, ma di dare sé stesso, di spezzare sé stesso, la propria vita, la propria carne, il proprio cuore perché noi possiamo avere la vita. Queste parole del Signore risvegliano in noi lo stupore per il dono dell’Eucaristia. Nessuno in questo mondo, per quanto ami un’altra persona, può farsi cibo per lei. Dio lo ha fatto, e lo fa, per noi. Rinnoviamo questo stupore. Facciamolo adorando il Pane di vita, perché l’adorazione riempie la vita di stupore.
Nel Vangelo, però, anziché stupirsi, la gente si scandalizza, si strappa le vesti. Pensano: “Questo Gesù noi lo conosciamo, conosciamo la sua famiglia, come può dire: Sono il pane disceso dal cielo?” (cfr vv. 41-42). Anche noi forse ci scandalizziamo: ci farebbe più comodo un Dio che sta in Cielo senza immischiarsi nella nostra vita, mentre noi possiamo gestire le faccende di quaggiù. Invece Dio si è fatto uomo per entrare nella concretezza del mondo, per entrare nella nostra concretezza, Dio si è fatto uomo per me, per te, per tutti noi, per entrare nella nostra vita. E tutto della nostra vita gli interessa. Gli possiamo raccontare gli affetti, il lavoro, la giornata, i dolori, le angosce, tante cose. Gli possiamo dire tutto perché Gesù desidera questa intimità con noi. Che cosa non desidera? Essere relegato a contorno – Lui che è il pane –, essere trascurato e messo da parte, o chiamato in causa solo quando ne abbiamo bisogno.
Io sono il pane della vita. Almeno una volta al giorno ci troviamo a prendere cibo insieme; magari la sera, in famiglia, dopo una giornata di lavoro o di studio. Sarebbe bello, prima di spezzare il pane, invitare Gesù, pane di vita, chiedergli con semplicità di benedire quello che abbiamo fatto e quello che non siamo riusciti a fare. Invitiamolo a casa, preghiamo in stile “domestico”. Gesù sarà a mensa con noi e saremo sfamati da un amore più grande.
La Vergine Maria, nella quale il Verbo si è fatto carne, ci aiuti a crescere giorno dopo giorno nell’amicizia di Gesù, pane di vita.
[Papa Francesco, Angelus 8 agosto 2021]
Pane della Vita. Mistica della Visione e Fede
(Gv 6,35-40)
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo. Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23) per Fede ora si ‘vede’ Dio ‘e’ si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: ‘coglierlo’ diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40): cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento.
Nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da una elaborazione irripetibile.
‘Vedere’ e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla, una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, intimo consenso.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi, preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te ‘vedere’ il Figlio e ‘credere’ in Lui?
[Mercoledì 3.a sett. di Pasqua, 7 maggio 2025]
Ciò che conferisce valore ad ogni momento
(Gv 6,35-40)
Le parole di Gesù sottendono la netta dissimilitudine fra alimento ordinario e Pane che non perisce.
La distinzione è tratta da Dt 8,3 - in riferimento alla Manna-Parola del Signore (cibo sapienziale che libera e trasmette vita).
Sap 16,20-21.26 riconosce la manna del deserto essere cibo preparato da angeli, ma ciò che tiene davvero in vita è la Parola.
Quei frutti celesti, pur deliziosi e in grado di soddisfare ogni gusto, non saziano - non nutrono completamente.
Nel linguaggio simbolico usato da Cristo entrano anche paradigmi culturali che identificavano la manna con la sapienza.
Egli si autorivela così nel discorso sul Pane della Vita.
Venire al Signore non è alla nostra portata. Compiere le opere di legge, forse sì - con sforzo - ma compiere l’Opera di Dio non è innaturale.
Non dipende da un pensiero, da una scelta o da una pratica disciplinare.
Insomma, il Soggetto del cammino nello Spirito è Dio stesso, che opera in noi.
L’azione umana è in ogni frangente una risposta al suo autosvelamento e al suo stesso agire [cosmico e nell’anima di ciascuno; convergente o non].
La Venuta dall’alto è critica: suscita la relazione di Fede. Relazione personale, la quale non è semplice assenso e adempimento, bensì lettura e visione.
Azione in avanti e scoperta di risuscitazione - in particolare, dei lati in penombra che diventano risorse.
Così la Fede-amore dilata la vita, perché ha il suo input dalla generosità divina, dalla Grazia.
Essa diventa in tal guisa decisione, occupazione, responsabilità; dovere ineludibile e dirimente - malgrado ciò, personale.
Cristo è un Cibo che dev’essere mangiato, sminuzzato, per mezzo della Fede.
L’evocazione si fa eucaristica, realizzazione della «Vita dell’Eterno» (v.40 testo greco) anche difforme da maniere ricercate; qui e ora.
Morendo, senza ritardo alcuno Gesù consegna lo Spirito (Gv 19,30) che repentinamente suscita l’esperienza sacramentale (Gv 19,34).
La Vita dell’Eterno non è una pia speranza nell’aldilà: il termine designa la stessa vita intima di Dio, la quale si dispiega e irrompe nella storia [talora senza troppi complimenti] in modo poliedrico.
Energia, Alimento, Lucidità nuova: raggiunge donne e uomini che vedono e credono nel Figlio.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso, e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla; una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, e intimo consenso.
Essa acutizza ed espande le risorse trasformative delle anime e degli stessi accadimenti.
Dona in prima persona abilità generanti complessive - esteriori e interiori, indistruttibili; che non perdono nulla [non più votate alla morte: v.39].
Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23), per Fede ora si vede Dio e si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: coglierlo diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo.
La progressiva divaricazione dalla religione pagana in genere e la devozione giudaizzante in particolare, comportava un ampio dibattito con risvolti di costume e interni, persino liturgici.
La battaglia con il purismo farisaico scatenava polemiche di ogni tipo, anche circa la segregazione o meno degli stranieri.
Sorgevano difformità di vedute addirittura sul canone stesso delle Scritture (per i cristiani, già da tempo in greco ellenistico).
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40).
Significa cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento, perché nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la condizione divina. Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da un’elaborazione irripetibile.
Vedere e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”, come dice Papa Francesco].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi. Ad es. conoscenze, finanziatori, istituzioni ragguardevoli che garantiscano privilegi; così via.
Preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te vedere il Figlio e credere in Lui?
Non proiettare su Dio l’immagine del rapporto servi-padrone
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è segno del grande dono che il Padre ha fatto all’umanità e che è Gesù stesso!
Egli, vero «pane della vita» (v. 35), vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna (cfr v. 27). Si tratta di un cibo che Gesù ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l’invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28). Gli ascoltatori di Gesù pensano che Egli chieda loro l’osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani. E’ una tentazione comune, questa, di ridurre la religione solo alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l’immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Questo lo sappiamo tutti. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio. Ma Gesù dà una risposta inattesa: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). Queste parole sono rivolte, oggi, anche a noi: l’opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato. Ciò significa che la fede in Gesù ci permette di compiere le opere di Dio. Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d’amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli.
Il Signore ci invita a non dimenticare che, se è necessario preoccuparci per il pane, ancora più importante è coltivare il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Lui che è il «pane della vita», venuto per saziare la nostra fame di verità, la nostra fame di giustizia, la nostra fame di amore.
(Papa Francesco, Angelus 5 agosto 2018)
Il Vangelo che è stato proclamato in questa celebrazione ci aiuta a vivere più intensamente il triste momento del distacco dalla vita terrena del nostro compianto Fratello. Il dolore per la perdita della sua persona viene mitigato dalla speranza nella risurrezione, fondata sulla parola stessa di Gesù: "Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 40). Dinanzi al mistero della morte, per l'uomo che non ha fede tutto sembrerebbe andare irrimediabilmente perduto. È la parola di Cristo, allora, a rischiarare il cammino della vita e a conferire valore ad ogni suo momento. Gesù Cristo è il Signore della vita, ed è venuto per risuscitare nell'ultimo giorno tutto quello che il Padre gli ha affidato (cfr. Gv 6, 39). Questo è anche il messaggio che Pietro annuncia con grande forza nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2, 14.22b-28). Egli mostra che Gesù non poteva essere trattenuto dalla morte. Dio lo ha sciolto dalle sue angosce, perché non era possibile che essa lo tenesse in suo potere. Sulla croce Cristo ha riportato la vittoria, che si doveva manifestare con un superamento della morte, cioè con la sua risurrezione.
[Papa Benedetto, omelia esequie card. Poggi 7 maggio 2010]
Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: "Io sono la Risurrezione e la Vita" (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della "vita eterna", che implica una piena vittoria sulla morte: "Viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita..." (Gv 5,28-29). "Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6,40).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 ottobre 1998]
Egli esorta: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna che il Figlio dell’uomo vi darà (v. 27). Cioè cercate la salvezza, l’incontro con Dio.
E con queste parole, ci vuol far capire che, oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che Lui solo può appagare, in quanto è «il pane della vita» (v. 35). Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui. E questo incontro illumina tutti i giorni della nostra vita. Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). E questo è il riferimento all’Eucaristia, il dono più grande che sazia l’anima e il corpo. Incontrare e accogliere in noi Gesù, “pane di vita”, dà significato e speranza al cammino spesso tortuoso della vita. Ma questo “pane di vita” ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini.
La Vergine Santa ci sostenga nella ricerca e nella sequela del suo Figlio Gesù, il pane vero, il pane vivo che non si corrompe e dura per la vita eterna.
[Papa Francesco, Angelus 2 agosto 2015]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Ci sono domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità, di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà.
Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità. Unico Cibo per la ‘fame’ e unica Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire. Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che fa procedere sulla Via autentica.
Il costume pio e inattuale - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato il grande cambiamento: l’accesso alla ‘terra della libertà’.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, per tutte le stagioni.
Nessuna ricetta rassicurante ci sovviene, perché la ‘seconda Genesi’ e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Così siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, ancora nuovo.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata, fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
[Martedì 3.a sett. di Pasqua, 6 maggio 2025]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Nelle speranze messianiche di età dell’oro e liberazione si annidavano le medesime aspettative che si celano nelle pieghe del nostro andare, anche più in là di quelle soddisfatte da Mosè.
Cerchiamo cibo eminente.
Ci sono infatti domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati, e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità e di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà: Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità.
Unico Nutrimento per la ‘fame’ e sola vera Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire.
Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che ci fa procedere sulla Via autentica.
Il grande condottiero antico si era fermato alla dimensione religiosa e alle sue requisitorie. Mancava il balzo della Fede accesa per la rivelazione del cuore del Padre, nell’insegnamento, nella vicenda, e nella Persona del Cristo.
Accettare Gesù come autentico motivo e motore, sostegno e alimento che davvero avrebbe tolto di mezzo la fame, è inseparabile dall’accoglienza della sua proposta:
«Vuoi unire la tua vita alla Mia?». Corpo Unico, fra noi e Lui - che brucia.
In tale approccio, neppure il cielo era stato in grado di saziare i dubbi - una fame paradossalmente crescente e un’arsura che obbligava a tornare ad attingere, invece di riuscire a dissetare il popolo.
L’approccio della semplice religiosità affliggeva la vita delle donne e degli uomini, in modo crescente.
Gente nervosa, scostante e insoddisfatta. Un Banchetto nuziale privo di festosità, a motivo d’una dottrina e disciplina fredde, distanti, impersonali, resistenti allo Spirito.
Il costume pio e inattuale, vetusto - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato e neppure oggi garantisce il grande cambiamento che ci sostiene nel cammino e sollecita senza posa, accendendo il cuore di Amicizia: l’accesso alla ‘terra della libertà’, quindi dell’amore.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il rapporto religioso comune - nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, e che non si addensa mai: “buono” per tutte le stagioni.
Tutto ciò era affiancato a una prospettiva di Felicità rimandata all’aldilà, dopo la morte, e sulla base dei meriti esterni.
Un clima paludoso di energie compresse e stagnanti, che non facevano vibrare di gioia.
Con Gesù, il semplice credere diventa Fede - non più assenso e ripetizione avvilente, che ci scaglia e trascina oltre il nostro «centro» - bensì azione unica, inedita e creativa. Anzitutto di Dio stesso in noi; per una realizzazione completa: da figli.
Nessuna ricetta rassicurante sovviene, perché la “seconda” Genesi e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Unicamente in tal senso, l’espressione «Io Sono» (v.35) sottolinea l’esclusività del «discorso di rivelazione».
Cristo reinterpreta totalmente, e capovolge, l’idea di trascendenza della condizione divina nell’umano.
L’Altissimo viene accolto e assimilato in vista della germinazione e della somiglianza, non più dell’imitazione e dell’obbedienza esterne.
“Troppa” è solo la Sapienza della sua Rivelazione, che libera da dubbi perché li rende fecondi e propulsivi; affatto umilianti al pari dei vacillamenti antichi.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Coì siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, nuovo.
La nostra identità - meglio: ‘impronta’ - non è quella dei finti conoscitori [ciò che non estingue la sete dell’anima] bensì quella di essere amati.
In tal guisa non abbiamo più bisogno di tacitare tutte le esigenze normali.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata e fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La mia anima ha fame di pietosi uffici sul corpo o di rinascite, di senso, e d’un percorso di libertà?
“It is part of the mystery of God that he acts so gently, that he only gradually builds up his history within the great history of mankind; that he becomes man and so can be overlooked by his contemporaries and by the decisive forces within history; that he suffers and dies and that, having risen again, he chooses to come to mankind only through the faith of the disciples to whom he reveals himself; that he continues to knock gently at the doors of our hearts and slowly opens our eyes if we open our doors to him” [Jesus of Nazareth II, 2011, p. 276) (Pope Benedict, Regina Coeli 22 maggio 2011]
«È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”» (Gesù di Nazareth II, 2011, 306) [Papa Benedetto, Regina Coeli 22 maggio 2011]
John is the origin of our loftiest spirituality. Like him, ‘the silent ones' experience that mysterious exchange of hearts, pray for John's presence, and their hearts are set on fire (Athenagoras)
Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma (Atenagora)
This is to say that Jesus has put himself on the level of Peter, rather than Peter on Jesus' level! It is exactly this divine conformity that gives hope to the Disciple, who experienced the pain of infidelity. From here is born the trust that makes him able to follow [Christ] to the end: «This he said to show by what death he was to glorify God. And after this he said to him, "Follow me"» (Pope Benedict)
Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Papa Benedetto)
Unity is not made with glue [...] The great prayer of Jesus is to «resemble» the Father (Pope Francis)
L’Unità non si fa con la colla […] La grande preghiera di Gesù» è quella di «assomigliare» al Padre (Papa Francesco)
Divisions among Christians, while they wound the Church, wound Christ; and divided, we cause a wound to Christ: the Church is indeed the body of which Christ is the Head (Pope Francis)
Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo (Papa Francesco)
The glorification that Jesus asks for himself as High Priest, is the entry into full obedience to the Father, an obedience that leads to his fullest filial condition [Pope Benedict]
La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale [Papa Benedetto]
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
don Giuseppe Nespeca
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