Lo spirito immondo e tranquillo, in sinagoga
(Mc 1,21b-28)
Dopo aver invitato i primi discepoli alla sequela (Mc 1,16-20) facendoli «pescatori di uomini», Cristo porta i suoi - appunto - alla “pesca”.
La sorpresa è paradossale, e sta nel primo degli ambienti che indica. Quello che oggi - non a caso - fa più fatica a reggere tutto, come un tempo.
Prima di Gesù, in sinagoga la situazione era di “pace”: una quiete e una mentalità corrente che andavano bene a tutti, anche abitudinari.
Ma i due poli sono avversari acerrimi: non si sopportano, fanno subito scintille.
Dove arriva il Maestro autentico, l’antico equilibrio stagnante e compromissorio non può continuare: la sua Presenza non è conciliabile con le forze del letargo.
Cristo non si limita alle nobili esortazioni: non ripete luoghi comuni altrui, bensì combatte ed espelle il potere del male che s’impossessa delle creature, le allinea, le aliena.
L’uomo che grida contro Gesù parla al plurale (v.24; cf. Lc 4,34) proprio perché l’Evangelo va a promuovere le ricchezze personali e intaccare interessi di cerchia.
Il “posseduto” proclama il Nome del giovane Rabbi (v.24a), sperando di mostrarsi superiore e impossessarsi di Lui.
Ma il Figlio di Dio non si lascia ghermire dai giochetti.
La catechesi di Mc invita a comparare l’esperienza di ciascuno alla vita non rassegnata del Figlio.
I falsi insegnamenti avevano inculcato nell’animo delle persone che il «santo di Dio» si sarebbe presentato in modo eloquente, perentorio.
Un personaggio eminente e celebrato: sovrano, condottiero, sommo sacerdote... così richiamando le consuetudini distintive del popolo eletto.
Nei frequentatori di “sinagoga” tale convincimento recava con sé uno ‘spirito di soggezione’ che produceva personalità sedate, osservanze abitudinarie, rassicuranti.
Ma ora qualcuno si sente minacciato.
«E lo [spirito] immondo, contorcendolo e gridando a gran voce, uscì da lui» (v.26). Perché «contorcendolo»?
È davvero straziante scoprire che stili di vita e condizionamenti ideali possono portare fuori strada.
E in tal guisa, tante minuzie inculcate come sacri valori sono forse proprio quelle che allontanano da un dialogo d’amore con Dio.
Solo in Cristo l’«insegnamento nuovo» è una «didachè kainè» (v.27), che nell’espressione greca sottolinea un richiamo di qualità superiore.
Appello che rimpiazza, sostituisce completamente tutto il resto. E non sarà superato. Parola che mette a nudo e spazza via le zavorre.
Donne e uomini ricominciano a vivere e respirare; non si lasciano più plagiare da idee e limiti; convinzioni estranee, opportuniste, soporifere, o dissociate, isteriche [colme di proiezioni; vuote, non radicate].
Insomma, il Figlio presente ci restituisce consapevolezza della Chiamata a Libertà - prima senza costrutto.
Fa recuperare (in primis a noi, che frequentiamo abitudinariamente i luoghi di culto) un perfetto giudizio ‘personale’, una impensabile purezza.
Anche nella profondità, come nell’eccesso.
[Martedì 1.a sett. T.O. 14 gennaio 2025]