Scelta del Calice
(Mc 10,35-45)
Mc scrive il suo Vangelo nell’anno dei quattro Cesari (68-69). In semplicità, ne riflette le emergenze o le tensioni anche comunitarie.
Malgrado la persecuzione di Nerone sia passata da pochi anni, immediatamente i credenti tornano a sgomitare fra loro per essere “grandi” e al primo posto.
Dentro la comunità romana riparte la gara del primeggiare. Ecco lo spunto del richiamo evangelico.
Farsi venerare, fame di protagonismo, meglio contare che essere contati? Il posto d’onore è l’ultimo.
L’alternativa è: una religione che produce e ribadisce distanze, o la vita di umiltà-coesistenza segnata da simpatia verso i meno titolati.
In tal guisa, la persona di Fede si riconosce e caratterizza grazie alla compiutezza umana, che l’assomiglia a Dio.
Nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» (vv.33.45) è icona di santità trasmissibile, Santuario vivente da cui irradia la divina Compassione.
‘Figlio dell’uomo’ è colui che avendo raggiunto il massimo della pienezza umana, giunge a riflettere la condizione divina e la irradia in modo diffuso - non selettivo [come ci si aspettava].
“Figlio riuscito”: la Persona dal passo definitivo, che in noi aspira alla dilatazione conviviale, a una caratura indistruttibile dentro ciascuno che accosta - e incontra contrassegni divini.
È crescita e umanizzazione del popolo: il frutto tranquillo, trasparente e completo del progetto divino sull’umanità.
Nell’icona del «Figlio dell’uomo» gli evangelisti desiderano far trapelare e innescare il trionfo dell’umano sul disumano; la progressiva scomparsa di tutto ciò che blocca la comunicazione di esistenza piena.
Ecco i due orientamenti di vita contrapposti.
Da un lato la consuetudine del prevalere-asservire, perpetuando il mondo antico; quindi pretendere, farsi strada, esigere con linguaggio duro; così via.
Diverso è sostenere le persone a dilatare vita e stimarsi, scoprendone la Chiamata, ciò che gli è conforme e bello; incoraggiando a maturare il Sogno che coltivano.
Nella proposta di Gesù, la Gloria celeste s’identifica con quant’è fonte di realizzazione per tutti, non solo per i ben introdotti [sordi d’ambizione].
Perché se i castelli di cartapesta esterni sono estasianti e ancora ci fanno rimanere a bocca aperta, nella storia i presuntuosi divengono d’improvviso pula al vento; non hanno peso, non durano.
Ma la malattia dei posti d’onore non guarisce.
La febbre del farsi riverire e sembrare primi della classe non si placa, anzi diventa una vera pazzia; e la testa ancora non cambia.
Sempre in lotta per la scalata, la fila di riguardo - e conseguire spazi. Misura di un modo di concepire.
«Figlio dell’uomo» non è dunque un titolo “religioso” o selettivo, ma una possibilità per tutti coloro che si lasciano attrarre nella umanità del Cristo.
Egli non è l’archetipo di un’autorità piramidale, attentissima a equilibri e punti strategici.
In tal guisa, i detentori di ruoli di prestigio sono solo «ritenuti» (v.42) capi.
Tali dinamiche non appartengono alla comunità dei Figli - segnata dal condividere la ‘scelta del Calice’ (v.39): l’anti-ambizione.
Insomma, Cristo ribadisce che nemico autentico di Dio non è l’imperfezione, né il limite - o addirittura l’apparente rovina del proprio prestigio - bensì un demone tutto interno.
Controparte del Signore è il desiderio di salire sul tabellone della vita e farsi servire dagli altri, per ebbrezza di potere.
Nell’icona del «Figlio dell’uomo» gli evangelisti desiderano far trapelare e innescare il trionfo dell’umano sul disumano; la progressiva scomparsa di tutto ciò che blocca la comunicazione di esistenza piena.
Appunto. Il Signore disdegna il modello dei satrapi.
[29.a Domenica T.O. B (Mc 10,35-45) 20 ottobre 2024]