Lo sguardo non più posizionato all’esterno
Lc 11,1-4 (v.4c)
«Pregando, non blaterate come i pagani, infatti essi credono di venire esauditi per la loro verbosità» (Mt 6,7; cf. Lc 11,1).
Il Dio delle religioni era nominato con sovrabbondanza di epiteti onorifici altisonanti, come se bramasse schiere sempre più nutrite d’incensatori.
Il «Padre» non si fa accompagnare da titoli prestigiosi. Un figlio non si rivolge al genitore come a un altissimo, eterno o eccelso, ma come a colui che gli trasmette vita.
E il figlio non immagina di dover porgere grida e riconoscimenti esterni: il Padre guarda i bisogni, non i meriti.
«Et ne nos inducas in tentationem»: antica Preghiera dei figli
«Non c’indurre» è [nel senso latino e greco: «introdurre sino in fondo»] un antico Simbolo dei ‘rinati in Cristo’, nell’esperienza della vita reale.
Nelle religioni esistono demoni e angeli nettamente contrapposti: potenze disordinate e oscure, contrarie a quelle luminose e “a posto”.
Ma a forza di far retrocedere le prime, le peggiori continuamente riaffiorano, sino a vincere la partita e dilagare.
Nelle vite dei santi vediamo questi grandi uomini stranamente sempre sotto tentazione - perché disdegnano il male, quindi non lo conoscono. Man mano, i continui assilli diventano però frotte incontenibili.
La donna e l’uomo di Fede non agiscono secondo corrivi e superficiali modelli prestabiliti, neppure religiosi; hanno consapevolezza di non essere eroi o fenomeni da paradigma.
Ecco perché si affidano. Essi lasciano trascorrere i problemi intimi: ne hanno compreso la forza!
È questo il significato della formula del Padre Nostro, nel suo senso originario: «non portarci sino in fondo nella prova, perché conosciamo la nostra debolezza».
Se viceversa la nostra ‘controparte’ diventa protagonista, perno unilaterale, costante retropensiero, e blocco, siamo fritti.
Dolori, fallimenti, tristezze, frustrazioni, debolezze, mille angosce, troppe cadute, ci abituano a vivere il male come parte di noi stessi: Condizione da valutare, non “colpa” da tagliare in orizzontale.
Nel processo di vera trasmutazione salvifica, quel segnale parla di noi: dentro una deviazione o l’eccentricità c’è un segreto o una conoscenza da rinvenire, per ‘ri-nascere personalmente’.
Posando lo sguardo sui disagi e le opposizioni, ci accorgiamo che questi lati critici dell’essere diventano come un magma plasmabile, il quale più speditamente accosta la guarigione. Come attraverso una conversione, permanente, radicale… perché coinvolge e ci appartiene; non artificiosa e di periferia, ma di fondo, di Seme e Natura.
Schemi e convinzioni assorbite non lasciano comprendere che la vita appassionata è composta di stati contrapposti, di energie competitive - che non bisogna mascherare per farci considerare gente perbene.
Percependo e integrando tali profondità, deponiamo l’idea e l’atmosfera di pericolo incombente, privo d’ulteriori occasioni; solo per la morte.
Diventiamo maturi, senza dissociazioni o stati isterici derivanti da identificazioni artificiose, né disistima per una parte importante di noi.
Insomma, le ristrettezze e le “croci” hanno qualcosa da dirci.
Esse scuotono l’anima alla radice, spazzano via le maschere assorbite, accendono la persona, e salvano la vita.
In tal guisa, gli inconvenienti e le ansie ci aiutano. Nascondono capacità e possibilità che ancora non vediamo.
Nella virtù dell’eccezionalità malferma eppure unica per ciascuno, ecco aprirsi la vera strada.
Percorso del Padre e del cuore, Via che vuole guidarci verso traiettorie alternative, nuove dimensioni dell’esistenza.
La differenza della Fede, rispetto alla religiosità antica [nel senso della ‘croce-dentro’]?
È nella coscienza che solo i malati guariscono, solo gli incompleti crescono.
Solo i claudicanti riprendono espressione, evolvono. E cadendo, scattano avanti.
[Mercoledì 27.a sett. T.O. 9 ottobre 2024]