Stura le orecchie a sordi e balbuzienti, nel vuoto dei sensi interiori
(Mc 7,31-37)
Lo sfondo del passo di Vangelo è il tema dell’iniziazione alla Fede, che investe i ‘sensi’ [interiori] i quali rischiano di spegnersi.
Anche ogni credente infatti corre il pericolo di affievolire la percezione, circoscrivere l’energia vitale, ridurre in modo drastico il rapporto con la realtà profonda, e l’orizzonte del suo cammino.
«Effatà» era una formula liturgica globalmente espressiva, impiegata dalle chiese primitive nel Battesimo.
L’itinerario inverosimile di Gesù (v.31) suggerisce quasi un suo essere restio a tornare indietro, trattenendosi piuttosto fra pagani. Perché?
Si rende conto che i “lontani” sembrano meno sordi alla Parola di Dio, rispetto alla gente d’Israele: hanno una coscienza ancora viva.
I seguaci non espongono messaggi autentici. Si mostrano intimi, però malgrado le apparenze non sanno ancora ascoltare.
Ciò per il fatto che le orecchie di alcuni di loro sono aperte alle sole furbizie: devono essere «sturate» senza troppi complimenti.
Infatti l’azione di Gesù è violenta [v.33 testo greco].
Gli apostoli ritenevano che il Tesoro di Dio fosse esclusivamente destinato agli “interni” - non ai popoli.
Ma il giovane Rabbi non vuole che il discepolo si rassegni, si ripieghi, si affezioni alla propria malattia.
Condizione di vita trasandata e vuota di senso, da cui i ‘padrini’ del Battesimo vorrebbero emanciparci (v.32a).
Sono i veri collaboratori del Messia, che gli portano un «sordo» [non muto ma] «balbuziente».
Cristo allora ci tira fuori, «in disparte» (v.33). Vuole separarci dal modo di ragionare attorno; distaccarci dagli obbiettivi qualunquisti.
«Apriti!» resta l’invito pressante a spalancare ancora nuovi percorsi: slacciare il dialogo, essere concreti e rispettosi, rimettere in causa la vita. Arricchendo se stessi e gli altri.
Unico ‘miracolo’ grande è dischiudere ogni persona alla percezione e comunicazione, prolungando l’Azione creatrice.
Perché cercando la verità nell’ascolto profondo, non si balbetta più.
Nella cultura semitica la ‘saliva’ [v.33: «e avendo sputato, toccò la sua lingua»] era considerata alito condensato.
Immagine dello stesso Spirito che libera da alienazioni - beninteso, non a partire da fuori.
Anche l’evangelizzazione deve configurarsi in tale concomitanza, solidale con la realizzazione, e impegnata nei processi; da dentro.
Così vivremo in modo fluente, e proclameremo la Buona Notizia in favore della nostra Felicità; trovando soluzioni inattese.
Purtroppo i discepoli più “stretti” continuavano a voler predicare il «Figlio dell’uomo» come «il» [quel] Messia che si attendevano (v.36).
Così però si turavano le orecchie e legavano la lingua, rattrappendo anima, spirito, e mani.
Nel Battesimo - al contrario - il Maestro e Signore ci abilita all’ascolto della «Parola» che si fa «evento», affinché facciamo risuonare agli altri quanto viene proclamato.
Attraverso questo dissigillo siamo stati costituiti credenti e profeti. Prima eravamo balbettoni.
L’attitudine del ‘figlio’? Spalancare l’anima al mondo.
E la missione della Chiesa non è quella di decidere tutto, bensì far udire e parlare. Senza l’a-priori di riferimenti inutili.
«Aprirci» resta la nostra Vocazione decisiva.
[23.a Domenica T.O. (anno B) 8 settembre 2024]