Sangue e Acqua: Salvezza di vita donata e vita trasmessa
(Gv 19,31-37)
La crudele dipartita del Signore non è una fine: inaugura la vita nuova, sebbene fra segni raccapriccianti e di morte vera.
Il Crocifisso «salva»: comunica una «vita da salvati».
Ci fa ‘passare’ da un mondo all’altro: solo in tal senso la Pasqua antica coincide con la nuova.
La sua è una Liberazione e Redenzione che procede ben oltre le promesse rituali dei sacrifici propiziatori, e la religione delle purificazioni.
Il Sangue del Cristo è qui figura del Dono estremo d’Amore.
Proviene da dentro e fa crescere da dentro: non è più asperso in modo esterno sul popolo.
La Vita divina è una circolazione di Linfa intima, sebbene con tratti di crudezza.
Sostanza che talora va come trangugiata d’un colpo. E poi starci, in quel vigore.
Anche l’Acqua dal medesimo costato trafitto cui attingere, è quella che viene assimilata e fa crescere.
Non quella che pulisce fuori, e scorre via.
Tale Amicizia sovreminente, donata e accettata, vince ogni forma di morte.
Fa volare l’anima, perché porge un doppio principio di esistenza indistruttibile: accoglienza di una proposta sempre inedita, e crescita offerta di onda in onda.
Così la festa di liberazione ebraica viene sostituita dalla Pasqua cristiana - e dai segni dei Sacramenti essenziali [nati dal sacrificio di comunione e ringraziamento Zebah Todah e dai riti d’immersione, nello Spirito].
Nel corpo di Gesù e in quello degli uomini crocifissi al suo fianco, Gv vede la fraternità del Figlio col genere umano, anch’esso reso Santuario divino.
Morto Gesù, anche noi possiamo seguirlo [malfattori cui sono spezzate le gambe] perché nessuno può togliere la vita al Risorto, anche se poi cerca di farlo agli sventurati con Lui.
Infatti la ‘trafittura’ al Corpo di Cristo continua anche dopo la morte in Croce (v.34): l’ostilità nei suoi confronti non si placherà, anzi vuol annientarlo per sempre.
Ma dal suo Corpo squarciato [la Chiesa autentica] continuerà a sgorgare Amore da vertigini e finalmente la gioia d’un banchetto festoso, come promesso sin dalle nozze di Cana.
La testimonianza dell’evangelista diventa solenne fondamento della Fede dei discepoli futuri.
E la Fede personale soppianterà il giogo della religione già tutta redatta.
In tal guisa l’autore invita ciascuno di noi a scrivere un proprio Vangelo (Gv 20,30-31. 21,25)
Ciò, nell’esperienza dei paradossi - e della ‘salvezza’ di Dio, che ci ha raggiunto a partire proprio dai nostri peccati o situazioni incerte.
I discepoli futuri sono proclamati Beati (Gv 20,29) proprio perché «non hanno visto» quello spettacolo con gli occhi.
Lo hanno però riconosciuto in se stessi, e nel proprio andare per Via - sperimentando nelle proprie debolezze il luogo della misericordia, del riscatto, della novità, del capovolgimento.
Proprio nell’inatteso, coglieremo l’invito del mondo interno, e saremo all’altezza delle situazioni.
[Sacratissimo Cuore di Gesù (anno B), 7 giugno 2024]