Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Lo sguardo non più posizionato all’esterno
Lc 11,1-4 (v.4c)
«Pregando, non blaterate come i pagani, infatti essi credono di venire esauditi per la loro verbosità» (Mt 6,7; cf. Lc 11,1).
Il Dio delle religioni era nominato con sovrabbondanza di epiteti onorifici altisonanti, come se bramasse schiere sempre più nutrite d’incensatori.
Il «Padre» non si fa accompagnare da titoli prestigiosi. Un figlio non si rivolge al genitore come a un altissimo, eterno o eccelso, ma come a colui che gli trasmette vita.
E il figlio non immagina di dover porgere grida e riconoscimenti esterni: il Padre guarda i bisogni, non i meriti.
«Et ne nos inducas in tentationem»: antica Preghiera dei figli
«Non c’indurre» è [nel senso latino e greco: «introdurre sino in fondo»] un antico Simbolo dei ‘rinati in Cristo’, nell’esperienza della vita reale.
Nelle religioni esistono demoni e angeli nettamente contrapposti: potenze disordinate e oscure, contrarie a quelle luminose e “a posto”.
Ma a forza di far retrocedere le prime, le peggiori continuamente riaffiorano, sino a vincere la partita e dilagare.
Nelle vite dei santi vediamo questi grandi uomini stranamente sempre sotto tentazione - perché disdegnano il male, quindi non lo conoscono. Man mano, i continui assilli diventano però frotte incontenibili.
La donna e l’uomo di Fede non agiscono secondo corrivi e superficiali modelli prestabiliti, neppure religiosi; hanno consapevolezza di non essere eroi o fenomeni da paradigma.
Ecco perché si affidano. Essi lasciano trascorrere i problemi intimi: ne hanno compreso la forza!
È questo il significato della formula del Padre Nostro, nel suo senso originario: «non portarci sino in fondo nella prova, perché conosciamo la nostra debolezza».
Se viceversa la nostra ‘controparte’ diventa protagonista, perno unilaterale, costante retropensiero, e blocco, siamo fritti.
Dolori, fallimenti, tristezze, frustrazioni, debolezze, mille angosce, troppe cadute, ci abituano a vivere il male come parte di noi stessi: Condizione da valutare, non “colpa” da tagliare in orizzontale.
Nel processo di vera trasmutazione salvifica, quel segnale parla di noi: dentro una deviazione o l’eccentricità c’è un segreto o una conoscenza da rinvenire, per ‘ri-nascere personalmente’.
Posando lo sguardo sui disagi e le opposizioni, ci accorgiamo che questi lati critici dell’essere diventano come un magma plasmabile, il quale più speditamente accosta la guarigione. Come attraverso una conversione, permanente, radicale… perché coinvolge e ci appartiene; non artificiosa e di periferia, ma di fondo, di Seme e Natura.
Schemi e convinzioni assorbite non lasciano comprendere che la vita appassionata è composta di stati contrapposti, di energie competitive - che non bisogna mascherare per farci considerare gente perbene.
Percependo e integrando tali profondità, deponiamo l’idea e l’atmosfera di pericolo incombente, privo d’ulteriori occasioni; solo per la morte.
Diventiamo maturi, senza dissociazioni o stati isterici derivanti da identificazioni artificiose, né disistima per una parte importante di noi.
Insomma, le ristrettezze e le “croci” hanno qualcosa da dirci.
Esse scuotono l’anima alla radice, spazzano via le maschere assorbite, accendono la persona, e salvano la vita.
In tal guisa, gli inconvenienti e le ansie ci aiutano. Nascondono capacità e possibilità che ancora non vediamo.
Nella virtù dell’eccezionalità malferma eppure unica per ciascuno, ecco aprirsi la vera strada.
Percorso del Padre e del cuore, Via che vuole guidarci verso traiettorie alternative, nuove dimensioni dell’esistenza.
La differenza della Fede, rispetto alla religiosità antica [nel senso della ‘croce-dentro’]?
È nella coscienza che solo i malati guariscono, solo gli incompleti crescono.
Solo i claudicanti riprendono espressione, evolvono. E cadendo, scattano avanti.
[Mercoledì 27.a sett. T.O. 9 ottobre 2024]
La persona che prega non è mai totalmente sola perché Dio è l’unico che, in ogni situazione e in qualunque prova, è sempre in grado di ascoltarla e di aiutarla. Attraverso la perseveranza nella preghiera il Signore allarga il nostro desiderio e dilata il nostro animo, rendendoci più capaci di accoglierlo in noi. Il giusto modo di pregare è pertanto un processo di purificazione interiore. Dobbiamo esporci allo sguardo di Dio, a Dio stesso e così nella luce del volto di Dio cadono le menzogne, le ipocrisie. Questo esporsi nella preghiera al volto di Dio è realmente una purificazione che ci rinnova, ci libera e ci apre non solo a Dio, ma anche ai fratelli. E’ dunque l’opposto di una fuga dalle nostre responsabilità verso il prossimo. Al contrario, attraverso la preghiera impariamo a tenere il mondo aperto a Dio e a diventare ministri della speranza per gli altri. Perché parlando con Dio vediamo tutta la comunità della Chiesa, comunità umana, tutti i fratelli, e impariamo così la responsabilità per gli altri e anche la speranza che Dio ci aiuta nel nostro cammino. Educare alla preghiera, apprendere “l’arte della preghiera” dalle labbra del Maestro divino, come i primi discepoli che gli chiedevano “Signore, insegnaci a pregare!” (Lc 11,1), è pertanto un compito essenziale. Imparando la preghiera, impariamo a vivere e dobbiamo sempre con la Chiesa e con il Signore in cammino pregare meglio per viver meglio.
[Papa Benedetto, Convegno Diocesi di Roma 9 giugno 2008]
1. Nella catechesi precedente abbiamo scorso, seppur velocemente, delle testimonianze dell’Antico Testamento che preparavano ad accogliere la piena rivelazione, annunciata da Gesù Cristo, della verità del mistero della paternità di Dio.
Cristo infatti ha parlato molte volte del Padre suo, presentandone in vari modi la provvidenza e l’amore misericordioso.
Ma il suo insegnamento va oltre. Riascoltiamo le parole particolarmente solenni, riportate dall’evangelista Matteo (e parallelamente da Luca): “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai semplici . . .” e, in seguito: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio, nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 25. 27; cf. Lc 10, 2. 11).
Dunque per Gesù, Dio non è solamente “il Padre d’Israele, il Padre degli uomini”, ma “il Padre mio”! “Mio”: proprio per questo i giudei volevano uccidere Gesù, perché “chiamava Dio suo Padre” (Gv 5, 18). “Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni.
2. Il “Padre mio” è il Padre di Gesù Cristo, colui che è l’origine del suo essere, della sua missione messianica, del suo insegnamento. L’evangelista Giovanni ha riportato con abbondanza l’insegnamento messianico che ci permette di scandagliare in profondità il mistero di Dio Padre e di Gesù Cristo, il Figlio suo unigenito.
Gesù dice: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato” (Gv 12, 44). “Io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare” (Gv 12, 49). “In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre, quello che egli fa, anche il Figlio lo fa” (Gv 5, 19). “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5, 26). E infine: “. . . il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre” (Gv 6, 57).
Il Figlio vive per il Padre prima di tutto perché è stato da lui generato. Vi è una strettissima correlazione tra la paternità e la figliolanza proprio in forza della generazione: “Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato” (Eb 1, 5). Quando presso Cesarea di Filippo Simon Pietro confesserà: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, Gesù gli risponderà: “Beato te . . . perché né la carne, né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio . . .” (Mt 16, 16-17), perché solo “il Padre conosce il Figlio” così come solo il “Figlio conosce il Padre” (Mt 11, 27). Solo il Figlio fa conoscere il Padre: il Figlio visibile fa vedere il Padre invisibile. “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14, 9).
3. Dall’attenta lettura dei Vangeli si ricava che Gesù vive ed opera in costante e fondamentale riferimento al Padre. A lui spesso si rivolge con la parola colma d’amore filiale: “Abbà”; anche durante la preghiera del Getsemani questa stessa parola gli torna alle labbra (cf. Mc 14, 36). Quando i discepoli gli domandano di insegnar loro a pregare, insegna il “Padre nostro” (cf. Mt 6, 9-13). Dopo la risurrezione, al momento di lasciare la terra sembra che ancora una volta faccia riferimento a questa preghiera, quando dice: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20, 17).
Così dunque per mezzo del Figlio (cf. Eb 1, 2), Dio si è rivelato nella pienezza del mistero della sua paternità. Solo il Figlio poteva rivelare questa pienezza del mistero, perché solo “il Figlio conosce il Padre” (Mt 11, 27). “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18).
4. Chi è il Padre? Alla luce della testimonianza definitiva che noi abbiamo ricevuto per mezzo del Figlio, Gesù Cristo, abbiamo la piena consapevolezza della fede che la paternità di Dio appartiene prima di tutto al mistero fondamentale della vita intima di Dio, al mistero trinitario. Il Padre è colui che eternamente genera il Verbo, il Figlio a lui consostanziale. In unione col Figlio, il Padre eternamente “spira” lo Spirito Santo, che è l’amore nel quale il Padre e il Figlio reciprocamente rimangono uniti (cf. Gv 14, 10).
Dunque il Padre è nel mistero trinitario l’“inizio-senza-inizio”. “Il Padre da nessuno è fatto, né creato, né generato” (simbolo Quicumque). È da solo il principio della vita, che Dio ha in se stesso. Questa vita - cioè la stessa divinità - il Padre possiede nell’assoluta comunione col Figlio e con lo Spirito Santo, che sono a lui consostanziali.
Paolo, apostolo del mistero di Cristo, cade in adorazione e preghiera “davanti al Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Ef 3, 15), inizio e modello.
Vi è infatti “un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 6).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 23 ottobre 1985]
Il Vangelo di questa domenica (Lc 11,1-13) si apre con la scena di Gesù che prega da solo, in disparte; quando finisce, i discepoli gli chiedono: «Signore, insegnaci a pregare» (v. 1); ed Egli risponde: «Quando pregate, dite: “Padre…”» (v. 2). Questa parola è il “segreto” della preghiera di Gesù, è la chiave che Lui stesso ci dà perché possiamo entrare anche noi in quel rapporto di dialogo confidenziale con il Padre che ha accompagnato e sostenuto tutta la sua vita.
All’appellativo “Padre” Gesù associa due richieste: «sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno» (v. 2). La preghiera di Gesù, e quindi la preghiera cristiana, è prima di tutto un fare posto a Dio, lasciandogli manifestare la sua santità in noi e facendo avanzare il suo regno, a partire dalla possibilità di esercitare la sua signoria d’amore nella nostra vita.
Altre tre richieste completano questa preghiera che Gesù insegna, il “Padre Nostro”. Sono tre domande che esprimono le nostre necessità fondamentali: il pane, il perdono e l’aiuto nelle tentazioni (cfr vv. 3-4). Non si può vivere senza pane, non si può vivere senza perdono e non si può vivere senza l’aiuto di Dio nelle tentazioni. Il pane che Gesù ci fa chiedere è quello necessario, non il superfluo; è il pane dei pellegrini, il giusto, un pane che non si accumula e non si spreca, che non appesantisce la nostra marcia. Il perdono è, prima di tutto, quello che noi stessi riceviamo da Dio: soltanto la consapevolezza di essere peccatori perdonati dall’infinita misericordia divina può renderci capaci di compiere concreti gesti di riconciliazione fraterna. Se una persona non si sente peccatore perdonato, mai potrà fare un gesto di perdono o di riconciliazione. Si comincia dal cuore dove ci si sente peccatore perdonato. L’ultima richiesta, «non abbandonarci alla tentazione», esprime la consapevolezza della nostra condizione, sempre esposta alle insidie del male e della corruzione. Tutti conosciamo cosa è una tentazione!
[Papa Francesco, Angelus 24 luglio 2016]
Comprendere l’azione nello spirito di contemplazione
(Lc 10,38-42)
Betania è comunità ideale, coordinata da una donna [Marta: ‘signora’].
Il Volto amabile del Signore trapela nei contesti di soli fratelli e sorelle, ove si possono condividere scelte difficili.
Ma anche nei focolari in cui Gesù è capito, ci sono due modi diversi di accogliere il Figlio di Dio.
Alcuni mancano di qualcosa, «assorbiti per grande servizio» (v.40); altri fanno la scelta «buona».
«Parte buona» (v.42) è la Libertà personale, che nessuna intimidazione o fretta altrui potrà togliere via e opprimere.
Infatti Maria «addirittura» (v.39) stava seduta presso i piedi di Gesù e ascoltava.
La posizione è significativa, perché era quella del discepolo nei confronti del maestro.
Maria non ha un atteggiamento intimista astruso, ma sorprendente e gravemente trasgressivo [opportuno con Dio].
L’ospite infatti era accolto da soli uomini; le donne dovevano stare appartate e non comparire.
Nessuna guida spirituale avrebbe mai accettato una donna fra i suoi discepoli.
Ma qui si parla di accoglienza di Gesù e della sua Parola: quel recepire che qualifica le cose che stanno in fondo alla lista, invece che in cima.
«Marta era distratta in giro per il molto ‘servizio’...» (v.40).
‘Servire’ non è lo stesso che fare Comunione. Ciò la travolge, ed ella si fa «sopra» Gesù (v.40 testo greco).
Resta nell’affanno, nel turbamento; divisa nel cuore (v.41), attratta fra scelte opposte.
Presa dalla tensione, non capisce che ogni autentico rapporto nasce dall’Ascolto.
Non coglie l’essenziale: il ‘poco importante’ che fa star bene non è da trascurare - anzi è il fondamento del nostro essere e della gioia di vivere.
Invece delle «molte cose» (v.41) abbiamo bisogno di «Una soltanto» (v.42): essere nel proprio Centro e ospitare la Voce di carattere dimesso che si fa Regno pieno nell’intimo.
Curando prima gli inizi e non subito i termini, come traboccando di pienezza effusa in semplicità; poi ciascuno ha grandiose capacità di crescita e trasformazione.
Allora sovviene una Chiamata («Marta, Marta...»: v.41) ulteriore, che tintinna.
Appello dell’essere profondo, che incessantemente recupera dalla trascuratezza dell’essenziale.
La Vocazione nel Nome consente di fermarsi per incontrare noi stessi e gli altri, i nostri stati profondi e le motivazioni; onde capire e godere quanto già fatto o si fa, senza disumanizzare anzitempo.
Tutto ciò affinché ci riappropriamo del respiro dell’anima, del suo carattere - e non perdiamo la testa, mettendo sempre in piedi una gran confusione che ci toglie il fiato, e fa arrabbiare tutti.
Giungerà a sorprenderci persino una migliore “performance”, perché la differente Percezione trasmetterà pazienza, nervi saldi, lucidità per attendere i tempi maturi; determinazione anche nelle afflizioni; possibilità di ritrovare capacità innate.
Il Messaggio del Signore comunicherà il Giudizio del Crocifisso, e un ritmo opportuno.
Il suo Insegnamento donerà equilibrio, buona disposizione, facoltà di superare le opposizioni d’un mondo ambiguo che si agita per perpetuare se stesso - e non molla la presa.
L’istinto del Verbo dentro e la realtà provvidente costruiranno un binario tutto nostro anche attraverso perdite e cicatrici.
Anzi, quando i nostri minuti occupati diverranno vuoti e le ore lente si faranno incanto, miglioreremo persino tenuta e rendimento.
Resi sapienti e incisivi secondo il nostro Seme, non accuseremo Gesù di essere «lasciati soli a servire» (v.40).
Non gireremo più a vuoto, e i nostri gesti diverranno pregevoli: nitidi.
[Martedì 27.a sett. T.O. 8 ottobre 2024]
Due realtà di fedeli: Ascoltatori o distratti in giro
(Lc 10,38-42)
Betania è a pochi km dalla città santa di Gerusalemme: una comunità ideale di soli fratelli e sorelle, coordinata da una donna [Marta: “signora”].
Proprio a ridosso dell’ambiente ostile dei dotti e puri, il Signore non si lascia sequestrare da recinti sacri.
Tratto di un Padre che non rimane seduto in trono - ma sta alla porta e bussa.
Non si compiace d’intrallazzi: il suo Volto amabile trapela nei contesti che possono condividere scelte difficili.
Sorprende che il Figlio di Dio sia l’unico a entrare nel «villaggio», sebbene attorniato dai suoi (v.38).
Intimi, eppure incapaci d’insegnare e discernere, perché dipendenti.
A differenza degli Apostoli, solo Lui è in grado di liberarci - ed emancipare ancora - perché libero e affrancato.
In quella cultura era sommamente sconveniente accettare l’ospitalità di donne [di Lazzaro parla solo Gv].
Ma dove arriva Gesù i retaggi che discriminano le persone vengono sorvolati.
Tuttavia, anche nei focolari in cui il Messia è capito, ci sono due modi diversi di accogliere il Signore.
Alcuni mancano di qualcosa, «assorbiti per grande servizio» (v.40); altri fanno la scelta «buona».
«Parte buona» (v.42 testo greco) è la Libertà personale, che nessuna intimidazione o fretta altrui potrà togliere via e opprimere.
Infatti Maria «addirittura» (v.39 testo greco) stava seduta presso i piedi di Gesù e ascoltava.
La posizione è significativa, perché era quella del discepolo nei confronti del maestro.
Maria non ha un atteggiamento intimista, astruso e devoto, ma sorprendente e gravemente trasgressivo (opportuno con Dio).
L’ospite infatti era accolto da soli uomini; le donne dovevano stare appartate e non comparire.
Nessuna guida spirituale avrebbe mai accettato una donna fra i suoi discepoli.
Ma qui si parla di accoglienza di Gesù e della sua Parola: quel recepire che qualifica le cose che stanno in fondo alla lista, invece che in cima.
«Marta era distratta in giro per il molto servizio...» (v.40).
Servire non è lo stesso che fare Comunione.
Ella resta nell’affanno, nel turbamento; divisa nel cuore (v.41 testo greco), attratta fra scelte opposte, quasi buttata per aria.
Profilo che anche oggi riconosciamo: di titolati con un’agenda fittissima d’impegni; che appena svegli cominciano ad agitarsi e punzecchiare.
Sembra loro importante non far sentire se stessi e gli altri già ricchi, “perfetti” per la loro missione; colmi di risorse.
Sempre inquieti e dispersi su cose materiali - che poi li travolgono - si fanno «sopra» Gesù (v.40 testo greco).
E arrivano a sera senza aver mai trovato un cardine ideale che dia senso, nutra lo spirito, plachi l’anima, unisca gli sforzi al dialogo personale con Dio - almeno in linea d’ideali.
Ogni giorno agitati e insoddisfatti, questi tormentati faccendieri non ascolteranno i malfermi e insignificanti: mai distrarsi dal “grande” e rimandare.
Così purtroppo nessun muro o alcuna delle fatiche potrà sfumare.
Né concederanno ad alcuno di notare altre vie di Esodo personale, e occasioni che su due piedi non si vedono nell’immediato.
Presi dalla tensione, come Marta non capiscono che ogni autentico rapporto nasce dall’Ascolto.
Non colgono l’essenziale: il poco importante che fa star bene non è da trascurare - anzi è il fondamento del nostro essere e della gioia di vivere.
I sempre inquieti e praticoni restano purtroppo all’esterno, talora come opportunisti. E fanno rimanere (tutti) in trappola.
Così bisogna sottomettersi a mete affannose o stare fuori dai piedi, per evitare d’intralciare programmi agitati e indigesti - i quali ovviamente sopravanzano il Vangelo, così esiguo e inapparente.
Richiamo e Sintonia che viceversa dovrebbe precedere e accompagnare l’idea e l’azione.
Ciò che non sanno e non li riguarda diventa tutto banale.
Viceversa è l’attenzione, la preghiera, il desiderio (o il luogo e il tempo) che davvero potrebbero contribuire alla comprensione, all’innamoramento, all’equilibrio, e alla stessa efficace incisività delle opere.
Invece delle «molte cose» (v.41) abbiamo bisogno di «Una soltanto» (v.42 testo greco): essere nel proprio centro e ospitare la Voce di carattere dimesso che si fa Regno pieno nell’intimo.
Quindi, come traboccando di pienezza effusa in semplicità, poi ciascuno ha grandiose capacità di crescita e trasformazione.
I primi della classe non hanno mai voglia, né testa - e ormai neppure tempo - per curare gli inizi e non subito i loro termini.
Quindi non ascoltano la Parola nella Novità dello Spirito. (Chissà se la crisi globale sarà richiamo eloquente).
I leaders tuttofare sono appunto desiderosi di stabilire il maggior numero di appariscenze, legami, cordate e alleanze, troppe: nessuno di esse davvero importante - e forse solo per impressionare.
Il disagio sulla formazione, la vita e la pastorale è enorme, perché l’attaccamento ai ruoli taglia l’apporto degli stupori. Momenti felici, annidati nelle possibilità di ricambio, e - come vediamo - lasciando ovunque un senso di vuoto.
Allora sovviene una Chiamata («Marta, Marta...»: v.41) ulteriore, che tintinna.
Appello dell’essere profondo, che incessantemente recupera dalla trascuratezza dell’essenziale.
La Vocazione nel Nome consente di fermarsi per incontrare noi stessi e gli altri, i nostri stati profondi e le motivazioni; onde capire e godere quanto già fatto o si fa, senza disumanizzare anzitempo.
Tutto ciò affinché ci riappropriamo del respiro dell’anima, del suo carattere - e non perdiamo la testa, mettendo sempre in piedi una gran confusione che fa arrabbiare tutti.
Giungerà a tessere sorprese persino una migliore performance:
«Due boscaioli lavoravano nella stessa foresta ad abbattere alberi. I tronchi erano imponenti, solidi e tenaci. I due boscaioli usavano le loro asce con identica bravura, ma con una diversa tecnica: i primo colpiva il suo albero con incredibile costanza, un colpo dietro l’altro, senza fermarsi se non per riprendere fiato rari secondi. Il secondo boscaiolo faceva una discreta sosta ogni ora di lavoro. Al tramonto, il primo boscaiolo era a metà del suo albero. Aveva sudato sangue e lacrime e non avrebbe resistito cinque minuti di più. Il secondo era incredibilmente al termine del suo tronco. Avevano cominciato insieme e i due alberi erano uguali! Il primo boscaiolo non credeva ai suoi occhi. ‘Non ci capisco niente! Come hai fatto ad andare così veloce se ti fermavi tutte le ore?’. L’altro sorrise: ‘Hai visto che mi fermavo ogni ora. Ma quello che non hai visto è che approfittavo della sosta per affilare la mia ascia’. Il nostro spirito è come l’ascia, non bisogna lasciarlo arrugginire: ogni giorno va affilato un poco». (B. FERRERO, Il segreto dei pesci rossi, p.64).
L’Ascolto soppianterà lamenti, disistima, calcoli opportunistici ed esteriori; ragionamenti, rimpianti, e l’opinione attorno - anche su di noi - tutti nemici della Rinascita, quella che non blocca le energie intime.
Ci riconosciamo.
Le cose “nostre”, da regno dell’uomo, s’insediano e si riconoscono subito, perché tutte estranee - e tolgono il fiato.
Solo una differente Percezione trasmetterà pazienza, nervi saldi, lucidità per attendere i tempi maturi, determinazione anche nelle afflizioni; possibilità di ritrovare capacità innate.
Il Messaggio del Signore comunicherà il Giudizio del Crocifisso, e un ritmo opportuno.
Il suo Insegnamento donerà equilibrio, buona disposizione, facoltà di superare le opposizioni d’un mondo ambiguo che si agita per perpetuare se stesso (e non molla l’osso di bocca).
L’istinto del Verbo dentro e la realtà provvidente costruiranno un binario tutto nostro anche attraverso perdite e cicatrici.
Anzi, quando i nostri minuti occupati diverranno vuoti e le ore lente si faranno incanto, miglioreremo persino tenuta e rendimento.
Resi sapienti e incisivi secondo il nostro Seme, non accuseremo Gesù di essere «lasciati soli a servire» (v.40).
Non gireremo più a vuoto, e i nostri gesti diverranno pregevoli: nitidi.
Assorbiti, o Sorpresi
«Anche in questa domenica continua la lettura del decimo capitolo dell’evangelista Luca. Il brano di oggi è quello di Marta e Maria. Chi sono queste due donne? Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, sono parenti e fedeli discepole del Signore, che abitavano a Betania. San Luca le descrive in questo modo: Maria, ai piedi di Gesù, «ascoltava la sua parola», mentre Marta era impegnata in molti servizi (cfr Lc 10, 39-40). Entrambe offrono accoglienza al Signore di passaggio, ma lo fanno in modo diverso. Maria si pone ai piedi di Gesù, in ascolto, Marta invece si lascia assorbire dalle cose da preparare, ed è così occupata da rivolgersi a Gesù dicendo: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde rimproverandola con dolcezza: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una … sola c’è bisogno» (v. 41).
Che cosa vuole dire Gesù? Qual è questa cosa sola di cui abbiamo bisogno? Anzitutto è importante capire che non si tratta della contrapposizione tra due atteggiamenti: l’ascolto della parola del Signore, la contemplazione, e il servizio concreto al prossimo. Non sono due atteggiamenti contrapposti, ma, al contrario, sono due aspetti entrambi essenziali per la nostra vita cristiana; aspetti che non vanno mai separati, ma vissuti in profonda unità e armonia. Ma allora perché Marta riceve il rimprovero, anche se fatto con dolcezza? Perché ha ritenuto essenziale solo quello che stava facendo, era cioè troppo assorbita e preoccupata dalle cose da “fare”. In un cristiano, le opere di servizio e di carità non sono mai staccate dalla fonte principale di ogni nostra azione: cioè l’ascolto della Parola del Signore, lo stare - come Maria - ai piedi di Gesù, nell’atteggiamento del discepolo. E per questo Marta viene rimproverata.
Anche nella nostra vita cristiana preghiera e azione siano sempre profondamente unite. Una preghiera che non porta all’azione concreta verso il fratello povero, malato, bisognoso di aiuto, il fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Ma, allo stesso modo, quando nel servizio ecclesiale si è attenti solo al fare, si dà più peso alle cose, alle funzioni, alle strutture, e ci si dimentica della centralità di Cristo, non si riserva tempo per il dialogo con Lui nella preghiera, si rischia di servire se stessi e non Dio presente nel fratello bisognoso. San Benedetto riassumeva lo stile di vita che indicava ai suoi monaci in due parole: “ora et labora”, prega e opera. E’ dalla contemplazione, da un forte rapporto di amicizia con il Signore che nasce in noi la capacità di vivere e di portare l’amore di Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza verso gli altri. E anche il nostro lavoro con il fratello bisognoso, il nostro lavoro di carità nelle opere di misericordia, ci porta al Signore, perché noi vediamo proprio il Signore nel fratello e nella sorella bisognosi.
Chiediamo alla Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio, che ci insegni a meditare nel nostro cuore la Parola del suo Figlio, a pregare con fedeltà, per essere sempre di più attenti concretamente alle necessità dei fratelli».
[Papa Francesco, Angelus 21 luglio 2013]
«Nel brano di questa domenica, l’evangelista Luca narra la visita di Gesù a casa di Marta e di Maria, le sorelle di Lazzaro (cfr Lc 10,38-42). Esse lo accolgono, e Maria si siede ai suoi piedi ad ascoltarlo; lascia quello che stava facendo per stare vicina a Gesù: non vuole perdere nessuna delle sue parole. Tutto va messo da parte perché, quando Lui viene a visitarci nella nostra vita, la sua presenza e la sua parola vengono prima di ogni cosa. Il Signore ci sorprende sempre: quando ci mettiamo ad ascoltarlo veramente, le nubi svaniscono, i dubbi cedono il posto alla verità, le paure alla serenità, e le diverse situazioni della vita trovano la giusta collocazione. Il Signore sempre, quando viene, sistema le cose, anche a noi.
In questa scena di Maria di Betania ai piedi di Gesù, san Luca mostra l’atteggiamento orante del credente, che sa stare alla presenza del Maestro per ascoltarlo e mettersi in sintonia con Lui. Si tratta di fare una sosta durante la giornata, di raccogliersi in silenzio, qualche minuto, per fare spazio al Signore che “passa” e trovare il coraggio di rimanere un po’ “in disparte” con Lui, per ritornare poi, con serenità ed efficacia, alle cose di tutti i giorni. Lodando il comportamento di Maria, che «ha scelto la parte migliore» (v. 42), Gesù sembra ripetere a ciascuno di noi: “Non lasciarti travolgere dalle cose da fare, ma ascolta prima di tutto la voce del Signore, per svolgere bene i compiti che la vita ti assegna”.
C’è poi l’altra sorella, Marta. San Luca dice che fu lei a ospitare Gesù (cfr v. 38). Forse Marta era la più grande delle due sorelle, non sappiamo, ma certamente questa donna aveva il carisma dell’ospitalità. Infatti, mentre Maria sta ad ascoltare Gesù, lei è tutta presa dai molti servizi. Perciò Gesù le dice: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose» (v. 41). Con queste parole Egli non intende certo condannare l’atteggiamento del servizio, ma piuttosto l’affanno con cui a volte lo si vive. Anche noi condividiamo la preoccupazione di Santa Marta e, sul suo esempio, ci proponiamo di far sì che, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, si viva il senso dell’accoglienza, della fraternità, perché ciascuno possa sentirsi “a casa”, specialmente i piccoli e i poveri quando bussano alla porta.
Dunque, il Vangelo di oggi ci ricorda che la sapienza del cuore sta proprio nel saper coniugare questi due elementi: la contemplazione e l’azione. Marta e Maria ci indicano la strada. Se vogliamo assaporare la vita con gioia, dobbiamo associare questi due atteggiamenti: da una parte, lo “stare ai piedi” di Gesù, per ascoltarlo mentre ci svela il segreto di ogni cosa; dall’altra, essere premurosi e pronti nell’ospitalità, quando Lui passa e bussa alla nostra porta, con il volto dell’amico che ha bisogno di un momento di ristoro e di fraternità. Ci vuole questa ospitalità.
Maria Santissima, Madre della Chiesa, ci doni la grazia di amare e servire Dio e i fratelli con le mani di Marta e il cuore di Maria, perché rimanendo sempre in ascolto di Cristo possiamo essere artigiani di pace e di speranza. E questo è interessante: con questi due atteggiamenti saremo artigiani di pace e di speranza».
[Papa Francesco, Angelus 21 luglio 2019]
Nella vita della Chiesa, nei primi passi che essa compie, si riflette, in un certo modo, quanto era avvenuto durante la vita pubblica di Gesù, in casa di Marta e Maria a Betania. Marta era tutta presa dal servizio dell’ospitalità da offrire a Gesù e ai suoi discepoli; Maria, invece, si dedica all’ascolto della Parola del Signore (cfr Lc 10,38-42). In entrambi i casi, non vengono contrapposti i momenti della preghiera e dell’ascolto di Dio, e l’attività quotidiana, l’esercizio della carità. Il richiamo di Gesù: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42), come pure la riflessione degli Apostoli: «Noi… ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,4), mostrano la priorità che dobbiamo dare a Dio, Non vorrei entrare adesso nell'interpretazione di questa pericope Marta-Maria. In ogni caso non va condannata l'attività per il prossimo, per l'altro, ma va sottolineato che deve essere penetrata interiormente anche dallo spirito della contemplazione. D'altra parte, sant'Agostino dice che questa realtà di Maria è una visione della nostra situazione del cielo, quindi sulla terra non possiamo mai averla completamente, ma un po' di anticipazione deve essere presente in tutta la nostra attività. Deve essere presente anche la contemplazione di Dio. Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio.
Sant’Ambrogio, commentando l’episodio di Marta e Maria, così esorta i suoi fedeli e anche noi: «Cerchiamo di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada. Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la più grande, più perfetta opera» E aggiunge che anche «la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste», dalla preghiera (Expositio Evangelii secundum Lucam, VII, 85: PL 15, 1720). I Santi, quindi, hanno sperimentato una profonda unità di vita tra preghiera e azione, tra l’amore totale a Dio e l’amore ai fratelli. San Bernando, che è un modello di armonia tra contemplazione ed operosità, nel libro De consideratione, indirizzato al Papa Eugenio III per offrigli alcune riflessioni circa il suo ministero, insiste proprio sull’importanza del raccoglimento interiore, della preghiera per difendersi dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione in cui ci si trova e il compito che si sta svolgendo. San Bernardo afferma che le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito (cfr II, 3).
E’ un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza. Il brano degli Atti degli Apostoli (6,1-7) ci ricorda l’importanza del lavoro - senza dubbio viene creato un vero e proprio ministero -, dell’impegno nelle attività quotidiane che vanno svolte con responsabilità e dedizione, ma anche il nostro bisogno di Dio, della sua guida, della sua luce che ci danno forza e speranza. Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti. C’è una bella invocazione della tradizione cristiana da recitarsi prima di ogni attività, che dice così: «Actiones nostras, quæsumus, Domine, aspirando præveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur», cioè: «Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostro parlare ed agire abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento». Ogni passo della nostra vita, ogni azione, anche della Chiesa, deve essere fatta davanti a Dio, alla luce della sua Parola.
[Papa Benedetto, Udienza Generale 25 aprile 2012]
Abbiamo appena letto nel Vangelo secondo Luca l’episodio dell’ospitalità concessa a Gesù da Marta e Maria. Queste due sorelle, nella storia della spiritualità cristiana, sono state intese come figure emblematiche riferite, rispettivamente, all’azione e alla contemplazione: Marta è occupatissima nei lavori di casa, mentre Maria è seduta ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola. Possiamo cogliere, da questo testo evangelico, due lezioni.
Innanzitutto, va notata la frase finale di Gesù: “Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Egli sottolinea così, con forza, il valore fondamentale ed insostituibile che, per la nostra esistenza, ha l’ascolto della Parola di Dio: essa dev’essere il nostro costante punto di riferimento, la nostra luce e la nostra forza. Ma occorre ascoltarla.
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito. Purtroppo la nostra vita quotidiana rischia o addirittura esperimenta casi, più o meno diffusi, di inquinamento interiore. Ma il contatto di fede con la parola del Signore ci purifica, ci eleva e ci ridona energia.
Perciò, bisogna che conserviamo sempre davanti agli occhi del cuore il mistero dell’amore, con cui Dio ci è venuto incontro nel Figlio suo, Gesù Cristo: l’oggetto della nostra contemplazione è tutto qui, e di qui proviene la nostra salvezza, il riscatto da ogni forma di alienazione e soprattutto da quella del peccato. In sostanza, siamo invitati a fare come l’altra Maria, la Madre di Gesù, la quale “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). È a questa condizione che non saremo uomini a una sola dimensione, ma ricchi della stessa grandezza di Dio.
Ma c’è una seconda lezione da imparare; ed è che non dobbiamo mai vedere un contrasto tra l’azione e la contemplazione. Infatti, leggiamo nel Vangelo che fu “Marta” (e non Maria) ad accogliere Gesù “nella sua casa”. Del resto, la Prima Lettura di oggi ci suggerisce l’armonia fra le due cose: l’episodio dell’ospitalità concessa da Abramo ai tre misteriosi personaggi inviati dal Signore, i quali, secondo una antica interpretazione, sono addirittura immagine della Santa Trinità, ci insegna che anche con i nostri più minuti lavori quotidiani possiamo servire il Signore e stare a contatto con lui. E, poiché ricorre quest’anno il XV centenario della nascita di San Benedetto, ricordiamo il suo celebre motto: “Prega e lavora”, Ora et labora! Queste parole contengono un intero programma: non di opposizione ma di sintesi, non di contrasto ma di fusione tra due elementi ugualmente importanti.
Ne consegue per noi un ammaestramento molto concreto, che si può esprimere in forma interrogativa: fino a che punto siamo capaci di vedere nella contemplazione e nella preghiera un momento di autentica carica per i nostri quotidiani impegni? e, d’altra parte, fino a che punto siamo capaci di innervare fin nell’intimo il nostro lavoro con una lievitante comunione col Signore? Queste domande possono servire per un esame di coscienza e diventare stimolo per una ripresa della nostra vita di ogni giorno, che sia insieme più contemplativa e più attiva.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 20 luglio 1980]
Nel Vangelo odierno l’evangelista Luca racconta di Gesù che, mentre è in cammino verso Gerusalemme, entra in un villaggio ed è accolto a casa di due sorelle: Marta e Maria (cfr Lc 10,38-42). Entrambe offrono accoglienza al Signore, ma lo fanno in modi diversi. Maria si mette seduta ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola (cfr v. 39), invece Marta è tutta presa dalle cose da preparare; e a un certo punto dice a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (vv. 41-42).
Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare - e questo è il problema - la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato. Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di pietra. No. L’ospite va ascoltato. Certo, la risposta che Gesù dà a Marta – quando le dice che una sola è la cosa di cui c’è bisogno – trova il suo pieno significato in riferimento all’ascolto della parola di Gesù stesso, quella parola che illumina e sostiene tutto ciò siamo e che facciamo. Se noi andiamo a pregare - per esempio - davanti al Crocifisso, e parliamo, parliamo, parliamo e poi ce ne andiamo, non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: questa è la parola-chiave. Non dimenticatevi! E non dobbiamo dimenticare che nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite. Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: “Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? - L’ospite di pietra! - Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo - ecco la parola: ascoltarlo -, dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.
Così intesa, l’ospitalità, che è una delle opere di misericordia, appare veramente come una virtù umana e cristiana, una virtù che nel mondo di oggi rischia di essere trascurata. Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità. Si dà vita a varie istituzioni che provvedono a molte forme di malattia, di solitudine, di emarginazione, ma diminuisce la probabilità per chi è straniero, emarginato, escluso di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo: perché è straniero, profugo, migrante, ascoltare quella dolorosa storia. Persino nella propria casa, tra i propri familiari, può capitare di trovare più facilmente servizi e cure di vario genere che ascolto e accoglienza. Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da tanti problemi - alcuni dei quali non importanti - che manchiamo della capacità di ascolto. Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi, farvi una domanda, ognuno risponda nel proprio cuore: tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i vostri nonni, gli anziani? – “Ma i nonni dicono sempre le stesse cose, sono noiosi…” – Ma hanno bisogno di essere ascoltati! Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace.
La Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio premuroso, ci insegni ad essere accoglienti e ospitali verso i nostri fratelli e le nostre sorelle.
[Papa Francesco, Angelus 17 luglio 2016]
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male (Papa Paolo VI)
People dragged by chaotic thrusts can also be wrong, but the man of Faith perceives external turmoil as opportunities
Un popolo trascinato da spinte caotiche può anche sbagliare, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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